Ogni giorno sfamano giornalisti, politici, funzionari e visitatori: sono le mense (pardon, ristoranti) delle istituzioni Ue. Un servizio egalitario, anche se con qualche eccezione, che cerca di venire incontro a tutte le esigenze alimentari. In Consiglio ci sono le settimane dedicate alle cucine dei vari paesi membri, in Commissione a quelli candidati. I prezzi di un piatto oscillano tra i 4,80 euro e i 13. Ma gli italiani spesso evitano la portata più conveniente: la pasta
Questo articolo è tratto dal nostro mensile Cibo, disponibile sulla app di Domani e in edicola
Primo, secondo, contorno, e poi frutta e per i più golosi anche il dolce. Di tutto un po’, e un po’ di tutto, perché il cibo non sempre mette tutti d’accordo. Preferenze personali, tradizioni nazionali, abitudini consolidate fanno della tavola un punto di incontro a volte non semplice e l’Unione europea quando si tratta di menù tiene fede al credo alla base del progetto di integrazione: “Uniti nella diversità”. Inclusa quella culinaria.
Ecco allora che le istituzioni Ue offrono una gran varietà di opzioni per la pausa pranzo: zuppa, pasta, secondi di carne, secondi di pesce, reparto vegetariano, proposta dello chef ogni giorno diversa, piatti vegani, e addirittura zone dove ciascuno può assemblare il proprio piatto a proprio piacimento, con la scelta degli ingredienti che più preferisce.
Non mense, ristoranti
Nella capitale dell’Unione europea non c’è istituzione che non abbia la propria mensa. Pardon, ristorante. Perché è così che si chiama ogni posto in cui ci si reca per la pausa pranza. Ammesso che si riesca a trovarla, la pausa. Perché non è raro imbattersi in uomini o donne con vassoio ricolmo di tutto punto fuori stanza pasti, direzione ufficio, per una boccone davanti al pc ma più valido del solito panino. A proposito, per chi vuole, c’è anche la formula sandwich, ovviamente. Perché non sia mai che con tante opzioni, ci sia qualcuno che si senta discriminato in fatto di cibo.
Prima regola: munirsi di vassoio, e poi andare a ritirare ciò che si desidera mangiare. Formula e funzionamento dei ristoranti di parlamento, Commissione e Consiglio Ue sono praticamente gli stessi, e segue il canone qui descritto: scelta variegata a seconda di voglie ed esigenze di regimi alimentari.
Ogni giorno, da lunedì a venerdì, funzionari, giornalisti accreditati, visitatori e anche politici usufruiscono del servizio di ristorazione interno proprio di ogni edificio istituzionale dell’Unione europea.
Si può scegliere studiando il menù affisso ogni giorno fuori dall’ingresso, oppure decidere di rifiutare ogni tipo di “spoiler” e avventurarsi alla scoperta di ciò che si affaccia dai diversi banconi, o ancora – ma questo vale principalmente per il ristorante del Consiglio – guardare l’insieme di piatti giù pronti e messi uno accanto all’altro all’ingresso in bella mostra, per esporre già agli avventori, e non solo su carta, cosa passa al convento.
Pochi ingredienti
Riso, pollo, bistecca, patate in ogni versione (salate, dolci, fritte, lesse, al forno, duchessa, a cubetti, sotto forma di purè), peperoni sono una costante. Perché se da una parte si tende a privilegiare la politica dell’offerta variegata, il modo di metterla in pratica tende ad essere declinata con ingredienti standard.
Che si vada a mangiare in Commissione, in parlamento o in Consiglio, non fa alcuna differenza: la lista delle pietanze appena citate sono non mancano mai nel menù dell’Ue a tavola. Lo stesso vale per il pesce: per gli amanti del genere è raro trovare qualcosa che non sia il solito salmone e il solito merluzzo.
Anche se capita anche di poter trovare calamari o frutti di mare. Con meno frequenza rispetto al “saumon” e al “cabillaud”. A proposito, niente paura: se non sapete il francese c’è sempre la traduzione del piatto almeno anche in inglese.
Alla fine, per i frequentatori abituali, c’è sempre la sensazione di mangiare sempre le stesse cose, anche se con una ventaglio a disposizione di cinque opzioni. Anche perché, quando non si sceglie di mangiare pasta, come gli italiani schizzinosi e orgogliosi, ogni secondo, che si tratti di carne e pesce, può essere offerto in versione piatto unico accompagnato da riso e verdure.
Ma accontentare proprio tutti non è cosa facile, del resto. E allora cosa c’è di più sicuro che andare su cose semplici, difficili da sbagliare? Del resto si tratta pur sempre di ristoranti interni, e non di ristoranti stellati, per quanto i bandi per la gestione delle cucine segua scrupolosi requisiti di qualità. Termine, quest’ultimo, che rischia di sollevare discussioni senza fine.
Quello che si mangia nei ristoranti delle istituzioni è davvero buono?
Se si porrà la domanda a un italiano la risposta sarà senz’altro all’insegna della bocciatura della pasta, la vera religione di stato.
Penne al pesto o spaghetti “salsa bolognese” (il modo con cui si designa il ragù) tendono a essere ignorati per partito preso da molti dei frequentatori di nazionalità italiana. Anche se, va detto, l’opzione è quella che se non fa proprio felice umore e stomaco è senza dubbio quella che fa meglio al portafogli, visto che è la più economica.
Perché il prezzo di una portata oscilla dai 4,80 euro ai 13 euro, con il piatto di pasta all’interno della fascia più bassa. Una bistecca con patatine può costare anche 12 euro, mentre un piatto di salmone grigliato con riso e verdure fino a 15 euro.
Alla fine Commissione, parlamento e Consiglio praticano grosso modo le stesse tariffe, uguali per tutte senza distinzioni di tesserini: giornalisti, visitatori, funzionari pagano tutti lo stesso.
Quello che cambia è il modo di saldare il conto: in Commissione la stessa cassa accetta pagamento in contanti e carta, in parlamento ci sono casse diverse (solo carta, solo contanti, cassa e contanti), in Consiglio si è scelta la politica «cash free».
È bene tenerlo a mente, per evitare di dover bloccare la fila, dover chiedere a un collega di pagare per voi o, peggio, rinunciare al pranzo perché sprovvisti di bancomat. Meglio dunque scaricare sul proprio smartphone la apposita app per il pagamento via telefono, sempre a portata di mano per controllare mail di lavoro anche in pausa pranzo. Scene tipiche di ognuna delle mense delle istituzioni comunitarie.
Sensibilizzare
I ristoranti interni delle istituzioni sono pensati per tutti, e hanno il vantaggio di essere a misura di tutti i gusti. In Belgio, per ragioni geografiche e climatiche, scordatevi di trovare l’olio di oliva. Tutto viene condito con salse e salsine di varia natura, mentre all’interno delle istituzioni si potrà sempre trovare un bottiglia di questo prodotto tipico dell’area mediterranea. E poi si può provare l’esperienza “etnica” senza doversi andare a ricercare posti in giro per la città.
A cadenza regolare in Consiglio si tengono le settimane dedicate alla cucina di uno degli stati membri dell’Ue. Specialità lituane, ciprote, irlandesi, tedesche, italiane. Un modo per conoscere l’Europa a tavola, che viene sposato anche in Commissione, dove spesso, oltre ai soliti reparti pasta, carne, pesce, veggie, è possibile assaggiare un piatto proveniente da uno degli stati membri o anche paesi europei non Ue tra candidati o legati da particolari accordi di partenariato (Albania, Turchia, Montenegro).
Ma capita anche di partecipare a gare di solidarietà. Quando nel 2016 il terremoto colpì il centro Italia distruggendo molti comuni, la Commissione per una settimana organizzò nel proprio ristorante una raccolta fondi a sostegno dell’Italia proponendo ogni giorno un piatto di amatriciana a cui, su base volontaria, si potevano aggiungere due euro al prezzo di listino da devolvere interamente alle popolazioni delle aree colpite. Può persino succedere che ci si mobiliti con azioni di sensibilizzazione contro gli sprechi alimentari con tanto di punti vendita appositi.
Una politica sposata in parlamento europeo, dove le mozioni contro la lotta alle vivande nel cassonetto negli ultimi anni non sono mancate. Nel bel mezzo della mensa un piatto di carne con verdure all’apparenza normale, ma uno speciale addetto è lì a spiegare che si tratta di cibi non proprio di primissima scelta ma comunque commestibili e buoni.
Perché una verdura con meno colore o con qualche macchia non è sinonimo di deperimento. Insomma, apparenza e aspetto non sono tutto, la lezione compresa nel prezzo al momento di riempire il vassoio. Anche perché a tavola più dell’occhio occorre convincere il palato.
I piatti dei pezzi grossi
I “palazzi” europei non sono dunque il ritrovo di grigi funzionari e tecnocrati, ma grazie alle loro “aree ristoro” si mostrano per un luogo di apertura, incontro, e uguaglianza. Perché nonostante in Consiglio ci sia anche un ristorante solo per alti funzionari e in Commissione una serie di mense per gli addetti ai lavori, non è raro incontrare i “pezzi grossi”.
Donald Tusk, nelle vesti di presidente del Consiglio europeo (dicembre 2014-novembre 2019), era solito mangiare nel ristorante comune con i suoi collaboratori per pranzi di lavoro informali, non curante della presenza dei giornalisti accreditati e degli altri presenti. Anche lui, con quello che offriva la mensa.
Mentre in Commissione, non mancano commissari seduti a uno dei tanti tavoli della sala. Dove non siedono mai i capi di stato e di governo. Per loro altro trattamento, come previsto in caso di ricevimenti ufficiali.
Per eventi di questo tipo si ricorre ad altre soluzioni, e ben altri menù, meno standard e più ricercati. Quando accade che i leader dell’Ue si ritrovano a Bruxelles per i vertici del Consiglio europeo entrano in gioco i grandi cuochi. Assortimento di tapas composto da prosciutto crudo e fichi, fois gras, seguiti da involtini di melanzana grigliata con ricotta, tagliata di vitella accompagnato da un tortino di patate con pomodori e basilico, una delle sequenze di portate servite ai Ventisette in occasione di una riunione.
O ancora, antipasto a base di asparagi bianchi belgi, di stagione, con gamberi di acqua dolce, per lasciare spazio al pesce, un filetto di San Pietro, con mousse di cioccolato al latte e caramello al burro salato.
I menù cambiano, anche a seconda delle previsioni di giornata, ma resta il fatto che in per i leader non ci sono ristoranti bensì servizio al tavolo negoziale con ricette più elaborate e degne di presidenti e primi ministri. Privilegi culinari riservati a pochi, a cui si aggiungono vini pregiati che invece nei ristoranti per dipendenti, funzionari e addetti ai lavori non è possibile trovare.
Caste europarlamentari
A proposito di “privilegi della casta”, il parlamento dispone di ristoranti destinati ai soli eurodeputati, con menù diversi da quelli offerti nella “mensa pubblica” e a prezzi da vip anziché popolari. Un esempio? Vitello alla marengo rivisitato con verdure di stagione glassate a 28,80 euro, o controfiletto “Simmental” intero arrosto con pepe a 21,93 euro. Lo stesso prezzo, quest’ultimo, richiesto per mangiare variazione di asparagi verdi e bianchi, spugnole fritte e uovo in camicia.
E per gli ospiti di eccezione? Niente paura, ci sono ristoranti speciali appositamente per loro. A Bruxelles l’europarlamento conta dieci saloni multifunzionali dotati di sistemi audio e videoconferenza per eventi e ricevimenti organizzati dai deputati e dall'Istituzione stessa. Hanno una capienza che va da 12 a 35 posti a sedere, e offrono vari menù ad hoc per gli ospiti d’eccezione. In questi speciali saloni la politica resta comunque fedele a sé stessa: possibilità di assaggiare e degustare le tradizioni culinarie dei paesi ospitanti nelle tre sedi di lavoro del parlamento (Francia, Belgio, Lussemburgo), nonché quelle degli altri stati membri.
In questo contesto, i servizi di ristorazione del parlamento propongono anche alcuni prodotti nazionali, regionali o locali in occasioni limitate e molto specifiche, principalmente durante le festività natalizie verso la fine dell'anno solare. Il menù è composto da piatti a buffet e “à la carte” comprensivi di prodotti di stagione.
Conformemente ai contratti di concessione tra il parlamento europeo e i fornitori di servizi di ristorazione nelle tre sedi di lavoro, nonché al regolamento finanziario, i prezzi dei menu si basano sui prezzi di mercato (tenendo conto dei prezzi degli ingredienti alimentari, delle materie prime, materiali, prodotti e servizi, nonché le retribuzioni del personale dei fornitori).
Una rivoluzione, quella dell’istituzione direttamente eletta dell’Ue, avviata nel 2013, quando si è deciso di smettere di finanziare pranzi di lavoro, ricevimenti e pause pranzo con il bilancio dell’Unione europea ma aprire a servizi esterni e dare in concessione la ristorazione.
© Riproduzione riservata