A partire dalla fine degli anni Cinquanta, gran parte dei flussi turistici europei verso l’Italia si è concentrata nelle principali città d’arte (Roma, Firenze e Venezia) e nel tratto di costa compreso tra le province di Ravenna e Pesaro. Come è ovvio, quello che mangiavano quei turisti durante quelle vacanze dal loro punto di vista era per definizione “cucina italiana”.

Il fatto è che la cucina proposta dagli alberghi romagnoli era schematica e per molti versi rigida; fino all’inizio degli anni Ottanta la cucina rappresentava la voce di spesa più importante per le strutture che fornivano la pensione completa e di conseguenza era fondamentale contenere i costi. Per ottenere questi risparmi gli albergatori romagnoli spesso ricorsero agli acquisti collettivi di materie prime ed erano proprio questi acquisti collettivi a determinare l’uniformità dei menù settimanali.

Sempre uguale

In tutti gli alberghi della riviera romagnola per circa vent’anni (dal 1960 al 1980) si sono mangiate le stesse cose negli stessi giorni: mercoledì piatto freddo, giovedì pasta al pomodoro, venerdì pesce, sabato pasta al ragù, domenica lasagne e così via. Il boom turistico della Romagna era soprattutto basato sulla gestione famigliare delle strutture ricettive e normalmente in cucina ci stava la moglie o la madre dell’albergatore, quindi la tendenza era quella di proporre una cucina semplice e il più possibile ripetitiva per evitare problemi, dal momento che ad occuparsene erano quasi sempre figure non professionalizzate.

In questo contesto potevano anche esserci differenze forti dal punto di vista qualitativo, perché c’erano madri e mogli più brave e altre meno brave in cucina, ma il canovaccio era sempre uguale e soprattutto rigido. Non c’era spazio per la cucina del territorio, ammesso che esistesse una cucina del territorio in Romagna negli anni del boom economico. Come ci ha spiegato Alberto Capatti, fino agli anni Ottanta nessun dépliant turistico della riviera menzionava la piadina come prodotto tipico.

Cos’è la cucina italiana

Milioni di tedeschi, olandesi, belgi, scandinavi che passavano le loro vacanze in Romagna identificavano la cucina italiana con i menù semplici e ripetitivi che gli alberghi con pensione completa servivano durante le canoniche due settimane di villeggiatura. Di conseguenza, se a qualcuno di loro fosse capitato di voler provare un ristorante italiano una volta tornato a casa, non potevano che aspettarsi la stessa proposta gastronomica. I ristoranti italiani in Europa, che iniziarono a prendere piede solo a partire dagli anni Settanta, proponevano una cucina molto simile a quella degli alberghi romagnoli, perché questo chiedevano i loro clienti.

Il turismo e la ristorazione alberghiera hanno creato l’immagine della cucina italiana all’estero, quantomeno nei principali paesi europei. Proprio quella ristorazione, alle prese con stretti vincoli di bilancio e con una professionalità tutta da costruire, ha finito per implementare le aspettative di coloro che esprimevano la domanda di cucina italiana all’estero. E di conseguenza, anche l’offerta. A partire da una sessantina di anni fa i ristoranti italiani di Francoforte, Amsterdam, Parigi, Londra, Stoccolma o Vienna hanno iniziato a proporre menù estremamente limitati, che di fatto coincidevano con la cucina degli alberghi romagnoli con poche aggiunte o deviazioni. E proprio questa semplicità e questa ripetitività ne garantirono il successo.

Ma ci furono altri elementi positivi che potrebbero derivare da questa dimensione casalinga; perché proprio dalla casa, dai gesti e dalle economie domestiche, infatti, nasce la sublimazione dello scarto e del recupero, che deriva proprio dalla radice povera di questa cucina. In ultima analisi, si tratta di un vantaggio economico, perché aumenta l’efficienza del sistema nel suo complesso.

Ma oltre a questo, la bassa formazione media ha creato la necessità, da parte del legislatore, di implementare una normativa igienica che è oggi la più rigida e stringente nel panorama europeo. I nostri ristoranti sono probabilmente i più sicuri dal punto di vista igienico e questo dipende da una formazione teorica mediamente più traballante.


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