«La moda è la disciplina che consente alla vita di liberarsi attraverso le sue stesse forme. La filosofia a sua volta è solo il respiro che consente al pensiero di liberarsi vivendo attraverso le forme più disparate dell’immaginazione».

(dall’introduzione di La vita delle forme)


Devo ringraziare la mia professoressa di Storia della miniatura e delle arti minori, Maria Grazia Ciardi Dupré, che al tempo, davvero lontano, in cui studiavo Storia dell’arte all’università di Firenze mi ha fatto leggere una serie di autori che si sarebbero rivelati estremamente utili quando, dopo aver praticato la critica d’arte militante, ho deciso che la moda era più interessante, per la sua capacità di stare dentro il tempo, di essere radicata nell’“ora”.

Per fare alcuni esempi, grazie a Ciardi ho letto i libri di Walter Benjamin, Aby Warburg, George Kubler, che poi sarebbero stati strumenti teorici fondamentali per dare consistenza alla mia lettura della moda. Tra questi autori c’era anche l’Henri Focillon de La vita delle forme: «L’opera d’arte è un tentativo verso l’unico, si afferma come un tutto, come un assoluto, e nello stesso tempo appartiene a un sistema di relazioni complesse».

Anche il libro di Emanuele Coccia e Alessandro Michele uscito per HarperCollins si intitola La vita delle forme. Il sottotitolo è Filosofia del reincanto: «La moda è la disciplina che consente alla vita di liberarsi attraverso le sue stesse forme. La filosofia a sua volta è solo il respiro che consente al pensiero di liberarsi vivendo attraverso le forme più disparate dell’immaginazione».

Il valore delle forme

Naturalmente la continuità con il lavoro di Focillon è anzitutto nel riconoscimento del valore delle forme che, mentre costellano la nostra esistenza, stabiliscono e costantemente ci comunicano l’anti-linearità del tempo, quell’anti-linearità di cui la moda è considerata l’espressione più emblematica – potrei sottolineare, nella mia prospettiva autobiografica, che lo è appunto più dell’arte.

Nel 2015 Alessandro Michele aveva iniziato a rendere pubblico il suo lavoro per Gucci proprio con una riflessione sul tempo. La presentazione della collezione d’esordio con il brand fiorentino manifestava per la prima volta la volontà di Michele di dare importanza alla parola, la stessa intenzione che l’ha evidentemente portato fino al libro scritto con Emanuele Coccia.

Nella press release di quella sfilata, redatta con il supporto del compagno, Giovanni Attili, professore di Teoria urbana alla Sapienza di Roma, la questione del tempo era affrontata attraverso il pensiero di Giorgio Agamben, che nel suo saggio Che cos’è il contemporaneo? definisce la moda una porta tra «il suo essere o il suo non-essere-più-alla moda», considerando quindi i tempi della moda come un «non ancora» e un «non più».

Un antico trattato

L’adesione alle riflessioni di Agamben serviva a Michele anche per prendere posizione rispetto a quell’ansia del nuovo che agita molti di coloro che la moda la fanno e la commentano. Scrive oggi Michele: «Ho invertito i tempi, usando il “prima” e fondendolo con l’“adesso” e aggiungendo persino “un prima del prima”: è stata questa alchimia a permettermi di attraversare il mio tempo».

La nuova Vita delle forme si presenta come un antico trattato: copertina rigida con titolo e nomi degli autori a rilievo sostenuti da un motivo ornamentale a capitello. Il libro non ha immagini. Nella nota in cui spiega che i rispettivi contributi possono intrecciarsi nella stessa pagina (in tondo quelli di Michele, in corsivo quelli di Coccia), i due autori forniscono, come riferimento per l’assenza di illustrazioni, i manoscritti del Talmud o della Bibbia. Testi sacri aniconici.

Le pagine sono 214, più quelle dedicate alle «costellazioni testuali», bellissimo modo per definire una bibliografia che certamente rimanda solo a una ristrettissima scelta tra i testi che hanno alimentato la riflessione di Coccia e Michele giunta fino a questo volume.

Il libro è diviso in due parti. La prima, “Stanze”, celebra la moda come forma di filosofia attraverso sette capitoli: Filosofia, Ambiguità, Animismo, Design, Collezione, Hollywood, Gemelli. La seconda parte, “Conversazioni sulla soglia”, ripropone proprio i testi che hanno accompagnato le presentazioni delle collezioni di Alessandro Michele come direttore creativo di Gucci.

Narrazione e rivelazione

Testi che sono dissertazione, racconto, dichiarazione di poetica, che usano le parole dei filosofi e sono infine presa di posizione. Metto in fila i titoli, perché sono una lista (e Michele ama le liste) che è in sé narrazione e rivelazione: Il contemporaneo è l’intempestivo, Détournement, Carte de Tendre, Campi di riattivazione poetica, Partiture rizomatiche, Scavare nel paesaggio, Lanterne magiche, Il Giardino dell’alchimista, L’atto di creazione come atto di resistenza, Cyborg, Leo e Perla, La maschera come taglio tra visibile e invisibile, Nuove forme di soggettivazione, Maschile plurale, Un rito che non ammette repliche, Epilogo, Ouverture of something that never ended, Aria, Nove lettere piene di desiderio, Specula, Cosmogonie, Twinsburg.

Il libro è stato preparato durante l’anno e mezzo in cui Michele è stato fermo, dal novembre 2022, quando ha lasciato Gucci, all’inizio del suo nuovo incarico come direttore creativo di Valentino, nel marzo scorso.

Gli abiti come terminale

Questa pausa è certamente stata per lui un’occasione per ripensare al suo lavoro passato e per posizionarsi nei confronti di quello futuro, ma lo dev’essere inevitabilmente stata anche per riflettere sulla sua identità pubblica, su ciò che aveva rappresentato per molti di noi, che si erano riconosciuti in quella libertà inventiva in cui originale e copia si mescolavano e in cui la l’antica Roma era attraversata dal punk.

E poi c’erano state anche le conseguenze del tempo della pandemia, che aveva obbligato alla censura del nostro corpo e degli abiti ma che aveva anche portato Michele alla consapevolezza della necessità di trasformare le ritualità della moda e di dare un ritmo nuovo al lavoro. Tra fragilità, potenzialità, incertezze, scommesse. La possibilità improvvisa di avere e fare spazio era diventata il territorio della consapevolezza di sé e della propria disciplina.

Scrive oggi Emanuele Coccia nell’introduzione: «È nella capacità di trasformare le nostre vite e di restituire loro la libertà di parlare e di trasformarsi, associandosi con altri corpi, in mille altre forme, che la moda sembra imporsi come la forma d’arte più universale del nostro tempo».

Questo libro così assoluto nella sua esteriorità e nella sua sostanza pone la questione della moda e del suo valore. La pone come un cristallo irradiante. A margine di una pagina ho scarabocchiato un appunto: la moda è un sistema ibrido, superficiale. Curioso di tutto e poroso a ogni suggestione. Un sistema in continuo aggiornamento di cui gli abiti sono un terminale.

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