La poetessa ha vinto con L’amore da vecchia, presentato da Maria Grazia Calandrone: «Con una grazia senza pietà, l’autrice trattiene il timbro cristallino dell’infanzia, arriva a mettere nero su bianco la rasserenante uguaglianza fra persona e persona»
Vince la prima edizione del Premio Strega Poesia Vivian Lamarque, autrice di L’amore da vecchia (Mondadori), con 33 voti su 98 espressi. Seguono in graduatoria: Umberto Fiori, Autoritratto automatico (Garzanti), con 24 voti; Silvia Bre, Le campane (Einaudi), con 17 voti; Stefano Simoncelli, Sotto falso nome (Pequod), con 14 voti; Christian Sinicco, Ballate di Lagosta (Donzelli), con 10 voti.
L’opera vincitrice è stata scelta dagli Amici della poesia, un corpo votante composto da cento donne e uomini di cultura che si occupano a vario titolo di poesia e che comprende anche i componenti del Comitato scientifico del Premio: Maria Grazia Calandrone, Andrea Cortellessa, Mario Desiati, Elisa Donzelli, Roberto Galaverni, Valerio Magrelli, Melania G. Mazzucco, Stefano Petrocchi, Laura Pugno, Antonio Riccardi, Enrico Testa e Gian Mario Villalta.
Le motivazioni
È stato il Comitato scientifico, lo scorso maggio, ad annunciare al Salone internazionale del libro di Torino i cinque libri finalisti. Questa la motivazione, redatta da Maria Grazia Caladrone, con cui ha ammesso alla finale l’opera risultata vincitrice:
«Se è vero che la poesia è un continuo approssimarsi a qualcosa che non sappiamo, Vivian Lamarque compie la sua approssimazione in libri di lievissima crudeltà come quest’ultimo, L’amore da vecchia.
Con una grazia senza pietà, l’autrice trattiene il timbro cristallino dell’infanzia, arriva a mettere nero su bianco la rasserenante uguaglianza fra persona e persona. L’io poetico esposto da Lamarque desidera infatti essere un io collettivo, senza dichiarazioni gigantesche, scrivendo anzi di minime cose, trattando gli astri come cose comuni, avvicinando a sé la grandezza del cosmo per renderla abitabile, confidenziale, come sono elementari le cose reali.
Ammesso che ne abbiano uno, compito dei poeti è soprattutto quello di segnalare il limite delle parole, costruire un erbario vivente di parole alle quali la terra del proprio pensiero e, soprattutto, della propria esperienza, dia nuova linfa. Parole che verdeggiano e rivivono dunque sulla pagina come verdeggiano e rivivono le piccole piante raccolte in luoghi strani come la tomba di Emily Dickinson. Certo, abbiamo paura del tempo che ci lascia morire, ma intanto possiamo far rivivere quello che mai è veramente morto, le parole comuni insieme all’erba, perché i poeti rubano senso e parole ai propri stessi sogni.
Infine, Lamarque descrive la poesia come desiderio di mettere ordine alfabetico nel caos della vita, svelando così uno dei segreti emotivi della metrica, la necessità di sistemare in schemi sillabici il vivo e vitale disordine cosmico.
Così, in una pirotecnica mischia di diminutivi, invenzioni, latinismi e rime interne, Lamarque mostra le cose come sono, con una nudità nella quale si specchiano i nostri segreti e le parole vivono, mosse dal vento leggero di un’invincibile, quasi mai disperata, vitalità».
© Riproduzione riservata