«E che dovrei fare? Cercarmi un protettore? Trovarmi un padrone? Arrampicarmi oscuramente, con astuzia, come l'edera che lecca la scorza del tronco cui si avvinghia, invece di salire con la forza? No, grazie. Dedicare versi ai ricchi come qualsiasi opportunista? Fare il buffone nella speranza vile di vedere spuntare sulle labbra di un ministro un sorriso che non sia minaccioso? No, grazie».

A pronunciare queste parole colme di ribellione è Cyrano de Bergerac, nel monologo che fa nell’ottava scena del secondo atto, nell’opera di Edmond Rostand. È l’ispirazione letteraria da cui nasce “Grazie ma no grazie”, la canzone con cui Willie Peyote torna al festival di Sanremo. Nel 2021 – quando l’Ariston era deserto a causa del Covid – aveva vinto il premio della critica ed era arrivato sesto.

Quest’anno ha già vinto il premio virtuale per il testo più impegnato, anche per assenza totale di concorrenza (visto che gli altri parlano quasi solo di buoni sentimenti o di fragilità emotiva): «Dovresti andare a lavorare e non farti manganellare / Nelle piazze, grazie ma no grazie».

Grazie, ma no grazie

Guglielmo Bruno – vero nome di Willie Peyote, 39 anni – mantiene la cifra stilistica dell’ironia («e tu vorresti che la gente ti capisse (…) c’hai provato anche più volte dei Jalisse», canta), ma senza rinunciare dunque all’impegno sociale. «La canzone parla di tutte quelle situazioni in cui ti senti dire qualcosa e ti cadrebbero le braccia, ma per educazione rispondi “Grazie, ma no grazie”», ha spiegato nell’intervista della vigilia alla Rai.

E quali sono queste dichiarazioni? Cerchiamo di sintetizzarle in un elenco puntato, rileggendo e rielaborando il testo:

  • «Vai a lavorare, che manganellate non ne prendi».
  • «Certa gente non fa un cazzo, tanto poi li mantengo con le mie tasse».
  • «Dovresti dare meno ascolto ai sentimenti: usa il cervello».
  • «Perché non facciamo una rimpatriata? Una cena di classe, come ai bei vecchi tempi?».
  • «Quando c’era lui si stava meglio»

Questa canzone rischia di diventare la perfetta colonna sonora delle cene di famiglia, magari durante la vigilia di Natale, quando inevitabilmente qualche vecchio zio tira fuori un discorso sull’attualità («C’è chi dice che non si può più dire niente / E poi invece parla sempre: almeno sii coerente»).

Fra tanti che declinano in modi diversi la parola “amore”, Willie Peyote si distingue. E potremmo immaginare una situazione di questo tipo, in una riunione con qualche agente che gli dice: «Se vuoi vincere Sanremo, porta una ballad romantica». E lui che risponde: «Grazie, ma no grazie».

Sulla riva del fiume

ANSA

La musica di Willie Peyote si ascrive nel largo fenomeno del rap, anche se poi alcune trovate sia musicali, sia di stile, escono dai confini più classici del genere. Mai dire mai (la Locura), la canzone del Sanremo del 2021, aveva una base elettronica e un ritornello orecchiabile, su un testo altrettanto politico. Sembrava fatta apposta per movimentare il pubblico dell’Ariston (che però, come detto, quell’anno non c’era).

Classe 1985, torinese, ha un nome d’arte fra Wile E. Coyote, il suo nome Gugliemo e il peyote, la pianta allucinogena originaria del Messico. Ha esordito come solista nel 2011 con l'album Il manuale del giovane nichilista, seguito da Non è il mio genere, il genere umano nel 2013. La sua discografia include anche Educazione sabauda (2015), Sindrome di Tôret (2017), Iodegradabile (2019) e Pornostalgia (2022).

La canzone di quest’anno a Sanremo sarà inclusa in una nuova edizione di “Sulla riva del fiume”, il suo ultimo ep, che uscirà venerdì 14 febbraio in una versione ampliata con quattro canzoni inedite.

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