La coda inaspettata del festival di Sanremo prende il via dalle parole di Sangiovanni, il cantante 21enne che a pochi giorni dalla sua seconda partecipazione al festival ha comunicato la sua intenzione di prendersi una lunga pausa dall'attività, annunciando il rinvio della data di uscita del nuovo disco e del concerto di presentazione di ottobre. A metà febbraio sui suoi social così scriveva: «Non riesco più a fingere che vada tutto bene e che sia felice di quello che sto facendo. A volte bisogna avere il coraggio di fermarsi. Non ho le energie fisiche e mentali in questo momento per portare avanti il progetto. Voglio stare bene per condurre al meglio la musica vista come “lavoro”». In molti, a cominciare dalla sua discografica Caterina Caselli, hanno espresso comprensione e sostegno verso il giovane artista veneto.

Allo stesso modo, Mr. Rain, rapper con cui Sangiovanni ha collaborato, in un'intervista al quotidiano il Messaggero pochi giorni fa ha messo in evidenza le difficili condizioni lavorative di chi fa musica: «Siamo sopraffatti da pressioni che ci rendono schiavi di un sistema che corre troppo veloce: un artista è costretto a pubblicare una canzone dietro l’altra perché sennò finisce nel dimenticatoio. Non ha senso. Viviamo in un algoritmo che quasi ci obbliga a pensare a tutto quanto tranne che a noi stessi». Anche Mr. Rain ha annunciato, dopo la pubblicazione dell'ultimo disco Pianeta di Miller, che si prenderà un non definito periodo di pausa dalla musica.

Parlare di salute mentale per musicisti e cantanti non è più un tabù?

Restart – a safe space for music minds è la prima associazione che si occupa in modo specifico di salute mentale nel mondo della musica. Il progetto è nato a fine 2019 da un'idea di Flavia Guarino, che da molti anni si occupa di organizzazione di concerti e da qualche tempo gestisce una propria agenzia di booking. Dopo aver conosciuto durante un festival a Brighton l'esperienza di Music Support UK, una delle più importanti organizzazioni europee dedicate all'aiuto di artisti e lavoratori della musica, ha coinvolto Michela Galluccio, psicologa, e Azzurra Funari, anche lei psicologa e promoter, per creare una realtà simile anche in Italia. Hanno messo insieme un gruppo di una decina di terapeuti volontari, a offrire consulenza psicologica ai molti professionisti del mondo musicale: le prime due sedute sono gratuite, le seguenti a prezzi ridotti per tutti i membri dell'associazione. Inoltre, regolarmente si svolgono attività collettive, come workshop e gruppi di autoaiuto, spesso organizzati all'interno di festival ed eventi.

Restart ha intercettato le condizioni di disagio crescente tra i lavoratori dello spettacolo, tematica poi esplosa durante i mesi della pandemia, quando per lunghi periodi la sospensione di tour, concerti ed eventi dal vivo ha messo a nudo la precarietà strutturale delle professioni che ruotano attorno alla musica.

«In quei mesi noi abbiamo offerto gratuitamente supporto ad artisti e addetti ai lavori colpiti dalle sospensioni», racconta Guarino. «Con la pandemia è cambiata molto la percezione riguardo questi temi. Quando abbiamo cominciato c'era scetticismo, e il permanere di uno stigma verso le problematiche legate alla salute mentale. Questo tanto nelle aziende che in contesti marcatamente creativi, perché si tende a pensare che chi lavora in ambienti legati a una passione, come la musica, di base non lavori mai».

E invece, quello che è emerso in modo forte durante la pandemia, è stata la difficile condizione di chi si guadagna da vivere con la musica, spesso oscurata dal successo di pochi nomi che si fanno notare e che compaiono in televisione, acclamati nei talent o in seguitissimi eventi come Sanremo. Si parla poco del precariato, delle scarsissime tutele, dei contributi non pagati e di cachet pagati in nero. Per molti anni attorno a club e festival, si è sviluppata un'estesa area grigia di lavoratori sottoposti a condizioni di lavoro precarie e poco sicure.

E quello è stato il periodo in cui si sono sviluppate tutta una serie di iniziative proto-sindacali, dalle manifestazioni di Bauli in Piazza al coordinamento La musica che gira, fino a Nuova Musica, associazione di musicisti legati alla sperimentazione. Gruppi più o meno informali che hanno portato avanti rivendicazioni comuni, in un settore che per qualche tempo si è illuso di poter agire unito, ottenendo tuttavia molto poco, se non qualche occasionale bonus d'emergenza. Un settore di cui in realtà la pandemia ha accelerato la crisi, portando alla chiusura di club e locali, all'accrescersi di un sistema oligarchico in cui grandi etichette e agenzie di booking saturano tutti gli spazi, facendo soffocare i movimenti underground e tutto quello che non è facilmente omologabile e vendibile.

L’ansia

Il rapper Ghemon, in un suo post sui social in risposta a Sangiovanni, ha messo l'accento proprio su questi aspetti. Artisti giovanissimi e con poca esperienza vengono sottoposti a enormi pressioni per conformarsi a modelli commerciali già collaudati, rassicuranti dal punto di vista economico. E chi ci sta può proseguire, gli altri rinunciano o si perdono. Fino a che punto è possibile reggere? «Abbiamo bisogno dei dischi di un altro Tenco, non del suo tragico finale. Lo dico perché magari potevo essere io, se non avessi tenuto botta», riflette Ghemon. È fin troppo facile scontrarsi con chi sta sopra gli artisti e ne decide le sorti e l'esposizione, e il rischio di finire dimenticati è una fonte di ansia costante.

In questo contesto, il lavoro di Restart appare ancora più importante. «Al momento abbiamo circa 200 associati, numero in continuo aumento. La cosa interessante è che in molti si avvicinano a noi tramite passaparola, segno che in tanti hanno trovato il nostro servizio utile». Tra chi si rivolge a Restart ci sono musicisti, artisti, produttori, agenti, manager, promoter, in proporzione simile. Le motivazione per cui questi professionisti chiedono aiuto possono essere diverse, ma hanno delle peculiarità anche legate allo specifico contesto italiano. «Nel Regno Unito, i problemi di musicisti e lavoratori della musica sono più legati a dipendenze, alcolismo e consumo di droghe. In Italia c'è un fortissimo problema legato alla percezione di se stessi e del proprio lavoro. Il nostro è un mercato periferico, dove ci sono molti meno soldi, e questa cosa genera frustrazione. C'è meno spazio di quello che può sembrare da fuori, e chi lavora in questo ambito sente costantemente il timore di ritrovarsi fuori dal giro».

È una situazione che avrebbe bisogno di cambiamenti strutturali e di un'attenzione diversa verso i lavoratori dello spettacolo. «La vera soluzione implica uno stravolgimento radicale del modo di concepire questo mercato e secondo me siamo ancora molto lontani da tutto ciò», ammette con amarezza Flavia Guarino. «Quello che può funzionare oggi è cambiare l'approccio a questo lavoro, viversela con serenità trovando soddisfazioni per quanto è possibile, senza immaginare una terra promessa che non esiste». Almeno per il momento.

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