L’ottava puntata del ciclo “L’Italia intorno ai film”. Il personaggio di Joe Bradley giocava a poker, abitava in via Margutta e portava in Vespa una principessa: così al cinema veniva rappresentato un cronista del ’53. Come davvero era il lavoro degli inviati in quell’anno e come vanno le cose settant’anni dopo quelle Vacanze Romane: un mestiere con più barriere tra chi racconta e chi viene raccontato
Quando Gregory Peck appare per la prima volta, sono trascorsi 17 minuti di film. Sua altezza reale la principessa Anna è già andata a Londra, ad Amsterdam e a Parigi, c'è stata una parata ai Fori imperiali per salutarla - lei sempre sorridente, mai stanca - e ha partecipato al ballo ufficiale, senza carrozze, si capisce, senza zucche, ma la scarpetta destra si è sfilata lo stesso, perché forse gli sceneggiatori volevano dirci che c’è comunque qualcosa di Cenerentola, in questa storia.
In 17 minuti di film Anna aveva stretto la mano al nunzio apostolico, in molte lingue aveva salutato certi ambasciatori, aveva gridato basta e aveva pianto, non ne può più di quella vita fatta di costrizioni reali. S’era seduta sul retro del carretto di un tale Domenico Pizzatti, trasportatore di bevande, bottiglie, qualcosa del genere, e si era regalata un giro di libertà, le sue Vacanze Romane.
Il fascino del giornalista
Insomma. Quando Gregory Peck appare, porta il nodo della cravatta slacciata, fuma, cambia due carte a poker ed è bellissimo. Cala un tris di sette ma non gli basta. Resta con 5mila lire in tasca e la mattina dopo alle 11 e 45 deve andare a una conferenza stampa. Un giornalista. Ecco chi è. Joe Bradley fa il giornalista a Roma, che vita deve essere, come si fa a non desiderarla, chissà come ci si arriva. Quando lo domandi in giro, siamo nell’estate del ‘53, ti rispondono che il giornalista «si fa facendolo». Che significa? Boh, arrangiati. Ma non sarà molto diverso nel ‘63, nel ‘73, nell’83, metti le scarpe e gira, cerca notizie, impara a cercarti un numero di telefono, un indirizzo, impara a far la faccia tosta e vai a suonare a un citofono, trrr, salve, vorrei farle una domanda, oppure impara ad aspettare che la persona giusta esca da un portone, che entri in un ascensore, impara a seguirla, impara a chiedere a una madre che piange la foto di suo figlio ucciso per sbaglio in strada. Dopo: sono arrivate le scuole.
I giornalisti nel 1953
Vacanze romane esce in America il 20 agosto del ‘53, fanno settant’anni tra qualche giorno. Nei cinema italiani arriva sotto Natale e Gregory Peck si presenta come il più affascinante dei cronisti, nei film a quei tempi si dice ancora reporter. In effetti quei tipi hanno tutti una vita spericolata. Anche i colleghi di Joe Bradley in America. Soprattutto i colleghi di Joe Bradley in America. Cedric H. Belfrage, per esempio. È il direttore del National Guardian, inglese, e mentre Gregory Peck fa il fico a piazza di Spagna, lui viene arrestato negli uffici del suo giornale a New York. È stato interrogato dal comitato McCarthy e si è rifiutato di confermare o smentire la propria appartenenza al partito comunista. William Oates, corrispondente dell’Associated Press, viene condannato dal governo di Praga. Resta in carcere tre mesi. Il critico cinematografico del Corriere della sera scrive che «colleghi rischierebbero la prigione, per un colpo simile». Ma intende il colpo di Gregory Peck, passare un giorno intero in giro per Roma con una principessa, starle accanto pensando di estorcerle un’intervista che vale 5mila dollari, piano piano invaghirsene, fino a rinunciare al colpo, nonostante una serie di foto scattate con un diabolico accendino finto.
Che mondo, che vita. Portare in Vespa una principessa, vivere in via Margutta 51, rubare immagini e non usarle, ladro e gentiluomo, fare il pirata ed il signore. Che vita da mascalzoni e cavalieri. Non tutti, eh. Nei giorni del film, le cronache raccontano che gli italiani residenti in Francia stanno ricevendo la visita di un giornalista che si presenta a nome di un settimanale milanese, chiede loro un’intervista, il permesso di scattare foto, offre un abbonamento per 2500 franchi alla rivista, afferra i soldi e chi lo vede più. Con un nome inventato, fa lo stesso colpo presentandosi altrove come un medico. Lo denunciano.
Una denuncia prende pure il direttore di quel settimanale che ha scritto del rifiuto di Gina Lollobrigida a interpretare un film di Antonioni, aggiungendo che «metteva la sua conturbante bellezza al servizio di chi paga di più», ahia, mentre Ingrid Bergman querela la signora Elin Bygt Rybrant quando vede l’intervista che le ha dato, pubblicata sul giornale, ma in prima persona, come se l’avesse scritta lei. Non tutto si sana in tribunale. Fra i giornalisti del ‘53, il record è di Ulisse Reverel, in Uruguay. Il presidente del consiglio nazionale, Martinez Trueba, lo sfida a duello. Con una pistola. Ha la colpa di aver scritto dei pezzi particolarmente duri. La settimana prima si erano dati appuntamento per sfidarsi a pugni, ma non s'erano stufati abbastanza. Quando venne fuori la notizia che si erano sparati l’uno contro l’altro come nel West, il capo della polizia dovette dimettersi.
Invece Gregory Peck, vuoi mettere. Porta sulla coscienza il più grande imbroglio mai spacciato dal cinematografo. Addirittura se ne può stare un giorno intero lontano dalla redazione, in strada. «Voi non dovete andare a lavorare?» gli chiede Audrey Hepburn. Dopo: sono arrivati i turni per internet.
È vero, deve farsi prestare dei soldi, però abita in via Margutta 51, tra gli artisti, le botteghe, gli antiquari, le gallerie d’arte, un bilocale adesso si comprerà comodamente a 800-900 mila euro. I turisti americani fanno tuttora un salto per andare a vedere il palazzo e il giardino dove fu girato il film: per molto tempo hanno trovato una pila di ponteggi.
Le barriere del 2023
Vallo a girare, Vacanze Romane nel 2023. Primo: devi trovare un giornalista che non metta il selfie fatto con la principessa in una storia Instagram, su Twitter o come si chiama adesso. Secondo: devi trovare una principessa davvero sconosciuta, e che riesca a eludere non solo le guardie del corpo, ma pure l’ufficio stampa, il portavoce, i mille filtri nati come barriera tra il mestiere di chi racconta e chi viene raccontato, in ogni settore, la politica, gli spettacoli, lo sport.
I Gregory Peck adesso li tengono rinchiusi in un vagone del treno, se nell’altro c’è il ministro. «Sempre meglio che lavorare» è la frase che si ripetono nel loro mondo i giornalisti, un po’ scaltri, un po’ istrioni, un po’ auto-ironici, se lo ripetono oggi come allora, tranne i più giovani, che la pensione non la vedranno mai. Si sono ridotti gli spazi per le inchieste, quelli per le querele invece sono aumentate. Forse Gregory Peck troverebbe il modo di raccontare lo stesso la giornata della principessa, ci farebbe un podcast, chi lo sa, chiederebbe dieci righe in più perché cento non gli bastano, e il giorno dopo andrebbe a vedere se il pezzo l’ha ripreso Dagospia.
Qualche anno dopo, al cinema è andata meglio a William Thacker-Hugh Grant, il piacione che a Notting Hill incontra Anna (pure lei) stella del cinema statunitense, e alla fine delle Vacanze Romane versione londinese, si sente dire che lei non se ne va, rimane con lui. Invece, quando Audrey Hepburn torna nel suo mondo, quando la sala si svuota, Gregory Peck volta le spalle e avanza verso la camera, ecco, anche se ci ha imbrogliato sul giornalismo, glielo perdoniamo, perché viene verso di noi a dirci che il meglio della vita sta nei giorni inafferrabili. Il mestiere continua a conservare un suo fascino misterioso. I giornalisti in Italia sono 105mila. Gli oncologi seimila e cinquecento.
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