«The most titled waterpolo team in the world», come si legge nella biografia della Pro Recco su X, già potrà ritenersi soddisfatto se riuscirà a iscriversi al prossimo campionato. Messa in questo modo fa effetto, ma tant’è: come si è guadagnato titoli e paginate per i suoi trionfi e record, vincitore seriale come nessuno, oggi il club fa notizia perché, dopo il disimpegno comunicato dal munifico patron Gabriele Volpi, non ha alcuna certezza sul suo domani.

Fallire no, non è questo il rischio, ma ripartire con nulla in mano è più che una probabilità. Risale a due settimane fa l’annuncio dell’uscita di Orlean Invest, la holding di Volpi, dal club. Recchese, 81 anni, ex giocatore di pallanuoto e già proprietario dello Spezia, Volpi è una figura imprenditoriale chiacchierata, che però nello sport ha ottenuto risultati formidabili e, nella pallanuoto, di fatto senza precedenti. La Pro Recco era una società già ricca di tradizione e trofei anche internazionali prima che Volpi iniziasse a gestirla nel 2000, ma da allora ha cambiato marcia, diventando nel contempo un punto di riferimento internazionale e un mostro capace di mangiare sé stesso.

Perché un dopo-Volpi all’altezza non c’è, non può esserci, e in queste due settimane di contatti a Recco se ne sono accorti tutti. Volpi si era già dimesso da presidente nel 2012, ma erano dimissioni di protesta (contro Fin e Len), quelle che si annunciano ma non valgono nulla e la crisi fu passeggera, perché i soldi c’erano ancora. Ora non più: «Dobbiamo ridimensionare» è il mantra del presidente Maurizio Felugo, che ha già spiegato l’intenzione di lasciare liberi i giocatori che vorranno andarsene e di voler ripartire dai giovani, patrimonio tecnico ma anche sociale per una cittadina che, a prescindere dai problemi relativi all’impiantistica, negli ultimi vent’anni ha avuto nel club un eccellente volano in termini di notorietà, oltre che ricadute positive sulla comunità.

Felugo è ancora alla ricerca di imprenditori (come Antonio Gozzi, presidente di Federacciai e patron dell’Entella, già in passato nel CdA della Pro Recco) pronti ad accollarsi un club i cui costi si alleggeriranno parecchio, ma l’obiettivo ora è principalmente quello di salvare il titolo sportivo e la gestione.

Di tornare al successo se ne riparlerà poi, e così il conto dei trofei, almeno per un po’, pare destinato a fermarsi qui, ai 36 scudetti e alle 17 coppe Italia, alle 11 Champions League e alle 9 Supercoppe europee del settore maschile, oltre a una Lega Adriatica, più scudetto, Champions e Supercoppa europea femminile. Trofei, titoli, record per il Real Madrid della pallanuoto, che ha magari anche cercato, facendo di necessità virtù in termini di piscine (quella di casa, a Punta Sant’Anna, è scoperta), di fuggire la notorietà periferica e diventare la squadra d’Italia, giocando le gare di Champions a Bologna, a Torino, a Milano.

Ora che, a testa china, la Pro Recco annega nel proprio destino, viene facile ripensare che la colpa sia dei troppi sogni di gloria realizzati, il tutto mentre, alle Olimpiadi, nel Settebello azzurro ci saranno sette giocatori recchesi che, se vorranno, potranno andare altrove (il capitano Di Fulvio, Condemi, Del Lungo, Echenique, Fondelli, Iocchi Gratta e Presciutti). Una situazione che pare ricalcare quella dei calciatori della Juventus nel 2006, alla vigilia del Mondiale, nell’estate di Calciopoli.

Il ct Alessandro Campagna qualche preoccupazione ce l’ha, e in effetti più di una società di quelle che hanno subito recentemente la Pro Recco sta monitorando la situazione: l’An Brescia, con un messaggio di sublime ambivalenza, si è definita «vicina» alla Pro Recco, e «disponibile ad accogliere gli atleti che vorranno continuare a giocare nel campionato italiano».

Le briciole

Del resto, quando si raccontano storie di successo, troppo spesso si è portati a pensare che la presenza di un club dominante e con grandi capacità di investimento porti benefici a cascata su tutto il movimento. In realtà, nella quasi totalità degli sport di squadra a carattere non professionistico (cioè tutti, se si eccettuano il calcio maschile sino alla Lega Pro e le massime divisioni di pallacanestro maschile e calcio femminile), non funziona così. Gli esempi sono molteplici e li si possono ritrovare facilmente in diverse discipline: al cospetto di un’egemonia, agli altri non resta che raccogliere le briciole, investendo comunque più di quanto raccolgono, o provare a rilanciare per poi trovarsi, come conseguenza, a doversi ripensare non tanto per riuscire a vincere, ma anche solo per restare a galla, definizione quanto mai precisa per la pallanuoto.

La ripresa dell’attività post-Covid, nel 2020, significò ad esempio, per alcune società, l’opportunità di ripartire attraverso l’autoretrocessione senza essere sanzionate dalla Fin, e fu il destino che scelse lo storico Circolo Canottieri Napoli (da allora in A2), mentre la Sport Management di Busto Arsizio – nata a Verona nel 1987, rilanciata in Lombardia una decina di anni fa proprio con l’obiettivo di essere antagonista della Pro Recco – ricominciò dalla B, dopo avere cullato sogni e speranze fuori scala.

Il punto è che lo sport basato sul mecenatismo funziona solo fino a quando regge l’equilibrio competitivo, peraltro mai garantito perché il paradigma delle leghe centralizzate, che in qualche modo lo salvaguardano, non è culturalmente italiano né europeo. Il limite, così, è che poi tutto orbiti attorno al Sole di turno.

Parliamo però di modelli ormai insostenibili, eppure in uno sport come quello italiano, vecchio per strutture e organizzazione – a partire dalla dicotomia dilettantismo-professionismo – e pure sotto l’aspetto fiscale, si è faticato a ripensare il minimo (le tutele lavorative degli atleti), figurarsi un intero sistema. La Pro Recco non muore, ma la sua era finisce così. Per chi suonerà la prossima sirena?

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