Ci si può innamorare anche di un colore: è quello che è successo a Maggie Nelson. In Bluets, un libro cult che mescola esperienza personale e teoria critica, racconta tutte le sfumature, storiche e filosofiche di questa passione
«Blue trascends the solemn geography of human limits» scandisce una delle voci che abitano il fotogramma di colore blu che come un monolite compone l’ultimo film di Derek Jarman, Blue, uscito nel 1993. Affetto da Aids, e morto l’anno dopo per l’aggravarsi dei suoi sintomi, Jarman lavorò al suo ultimo film mentre era quasi cieco a causa della malattia e i suoi occhi gli permettevano di vedere solo nei toni del blu: così in questo straordinario testamento artistico Jarman ripercorre la sua vita al profilarsi della morte attraverso un’immersione totale nel blu, quel particolare blu oltremare, International Klein Blue, creato dall’artista francese Yves Klein, che campeggia come profezia di infinito per tutta la durata dal film.
Attorno allo stesso colore, alle sensazioni che questo genera e alle immagini che veicola, ruota Bluets di Maggie Nelson (nottetempo con la traduzione di Alessandra Castellazzi), una scrittrice che mescola critica, narrativa e poesia e che poggia il suo sguardo su argomenti come il desiderio, la sofferenza o l’identità sessuale, su temi accademici come il ruolo dell’arte femminile nella New York School of Poets, o investigativo-autobiografici come nell’eccezionale Jane: A Murder, una sorta di memoir in versi sull’omicidio di sua zia Jane Mixer.
Pubblicato nel 2009, Bluets è diventato pian piano un libro di culto (per il passaparola tra i lettori ma anche grazie alle condivisioni su Instagram e TikTok) ed è certamente testimonianza del modo peculiare di procedere di Nelson, capace di incantare il lettore attraverso un miscuglio di esperienza personale e teoria critica.
L’amore per un colore
Bluets, nella cui epigrafe potrebbe figurare l’invocazione che apre il film di Jarman, «O Blue come forth, O Blue arise, O Blue ascend, O Blue come in», nasce dalla fine di un amore e dal dolore che provoca questa perdita: ma la mente umana ragiona in modo a volte imperscrutabile e così Nelson racconta di essersi innamorata di qualcos’altro, di un colore, il blu oltremare, il blu di Yves Klein che già aveva predetto le forme della fine a Jarman (che però, esposto in tutta la sua forza alla Tate di Londra, non genera le sensazioni attese: «Davanti – scrive Nelson – a questi dipinti, o proposizioni, blu, sentendo il blu irradiare in maniera così incandescente da darmi l’impressione che mi toccasse, forse persino ferisse, i globi oculari, ho scritto una sola parola sul mio taccuino: troppo. Avevo fatto tutta quella strada e riuscivo a malapena a guardare»).
Il libro si apre con la confessione di Nelson («E se cominciassi dicendo che mi sono innamorata di un colore? Se lo raccontassi come una confessione; se ne parlassi tormentando un fazzoletto?»), ma in poche pagine si unisce alla sua storia anche una sorta di biografia del blu perché parlando della sua fascinazione Nelson racconta la storia del colore, di come sia diventato simbolo di sacralità, degli studi sui colori di Newton e Goethe (il suo Werther si ucciderà proprio con addosso un cappotto blu, replica di quello che indossava la sera del primo ballo con la sua amata), dei tuareg la cui pelle si impregna dei suoi pigmenti, racconta il blu di Cézanne e quello degli splendidi fiordalisi della pittrice Joan Mitchell, «appassionata cromofila», l’ossessione per il fiore azzurro dell’Enrico di Ofterdingen di Novalis («esso mi sta di continuo nel cuore»), ma anche il blu di Leonard Cohen (il suo «famous blue raincoat») e di Billie Holiday che sapeva come «vedere il blu in maniera via via più satura finisce per avvicinare all’oscurità».
Antidoto e veleno
Il dolore e le riflessioni di Nelson si attorcigliano attorno alle sfumature del colore, come se ogni piano della sua vicenda personale finisse per essere pervaso dai pigmenti di un blu che non consola, ma invita a ripensare e rivedere ogni cosa.
Sia eventi personali (per esempio un’amica che ha avuto un tragico incidente: «i suoi occhi, l’unica parte del corpo che potesse muovere, erano di un azzurro pallido e penetrante. Avevo paura. Anche lei. Il blu stava pulsando») che le riflessioni più astratte e la forma stessa del libro che leggiamo (il libro, composto da 240 proposizioni numerate, rimanda per struttura all’opera di un filosofo che torna spesso nel ragionamento di Nelson e che è stato autore, nei mesi che precedettero la sua morte, proprio di un libro sui colori, Ludwig Wittgenstein).
E se, come recita ancora il film di Derek Jarman, «blue is darkness made visible», anche Bluets rappresenta un tentativo, riuscito, di rendere concrete e palpabili le invisibili pulsazioni che il colore blu scatena nella mente della sua autrice e, pur senza ignorare la violenza di questa monomania, offre la prova plastica di come la letteratura, in questo caso attraverso la fissazione per un colore, possa provare a tenere insieme i pezzi e le schegge di una vita intera.
Platone intendeva il colore come pharmakon, insieme antidoto e veleno (ancora più drastici i fanatici della Riforma religiosa che «distrussero le vetrate colorate delle chiese, perché le consideravano idolatre e degenerate»), e attorno a questa parola che unisce simbolicamente la vita e la morte, Nelson costruisce alcune belle pagine teoriche, muovendo dal Fedro di Platone dove è anche la parola scritta a essere definita pharmakon, quando Socrate e Fedro si chiedono se la parola scritta uccida la memoria o l’aiuti: alla domanda se è possibile mantenere vivo l’oggetto di cui si parla trasferendolo sulla pagina (come «non ucciderlo con la parola» si chiedeva Goethe), questo libro offre una risposta affermativa grazie alla sua limpidezza e al suo oscillare ondivago tra slanci poetici e pura carnalità, un moto che replica, naturalmente, la vita stessa.
Nelson scrive che la ricerca può anche svanire in «un abbaglio spirituale» e Bluets è in effetti una coraggiosa indagine su come la scrittura possa tenere insieme i fili che compongono ogni vita, ma fa presagire anche il pericolo, come ha scritto Wittgenstein, che «prima o poi le spiegazioni finiscono»: eppure sta proprio in questo rischio la natura più profonda di questo libro, un’invocazione al blu che è anche modo per scoprire, riparare o ignorare angoli segreti della propria anima.
Bluets (Nottetempo 2023, pp. 108, euro 14) è un libro di Maggie Nelson
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