Dopo Marche, Umbria e Abruzzo, ora anche dal Piemonte arriva un attacco alla legge 194 e al diritto all’aborto. La regione ripropone un bando che consentirà ai movimenti antiabortisti di entrare ufficialmente in consultori e ospedali. Sabato 17 in programma proteste a Torino e altre città piemontesi
Anche la regione Piemonte vuole distinguersi, insieme a Marche, Umbria e Abruzzo per sferrare l’ennesimo attacco alla legge 194 sull’interruzione di gravidanza. E lo fa in piena emergenza Covid-19, riproponendo un bando che consentirà ai movimenti antiabortisti di entrare ufficialmente nei consultori e negli ospedali dove si praticano gli aborti.
La strategia di queste regioni amministrate dal centrodestra è chiara: non potendo attaccare frontalmente la 194, poiché legge dello stato, tentano in tutti i modi di depotenziarla, di frapporre ostacoli e di rendere l’aborto non un diritto garantito, accessibile e sicuro, ma un percorso ad ostacoli che spesso induce la donna a cercare altre strade o a rivolgersi a strutture private, o addirittura all’estero.
Gli attacchi alla 194 si sono susseguiti nel corso degli anni, ma mai come oggi trovano un terreno fertile fra i decisori politici di molte Giunte regionali e comunali di centrodestra che assumono provvedimenti che sono di fatto un chiaro ostacolo alla libera scelta di abortire.
Obiezione di coscienza che in alcune regioni praticamente impedisce alle donne di ricorrere all’interruzione volontaria di gravidanza (ivg) nel territorio di residenza; limitazione dell’accesso all’aborto farmacologico in day hospital o nei consultori, rendendo difficoltoso e mortificante quel percorso; assegnazione di sportelli informativi all’interno degli ospedali e nei consultori ad associazioni antiabortiste; mozioni che istituiscono “bonus” per la donna che decide di non abortire; introduzione di registri comunali dei bambini non nati; cimiteri dei feti, recita di rosari davanti agli ospedali, cartelloni pubblicitari con slogan falsi e terrorizzanti che hanno l’unico scopo di colpevolizzare le donne che scelgono di interrompere la gravidanza, sono solo alcuni degli strumenti messi in atto da politici integralisti e da movimenti conservatori e oscurantisti che hanno una visione del mondo di stampo medievale.
Per fronteggiare questi e altri attacchi ai diritti, a Torino 40 associazioni hanno creato la rete “ + di 194 voci”, rete per l’autodeterminazione , nata per i difendere i diritti delle donne, quelli LGBT, quelli dei lavoratori e delle lavoratrici, degli immigrati, per vivere in un ambiente migliore.
Gli appuntamenti femministi per sabato 17
Per questo + di 194 voci per sabato 17 aprile ha indetto, insieme alla rete NonUnaDiMeno, una manifestazione che per tutto il giorno riempirà il centro di Torino: dalle 11 alle 13 l’appuntamento è in piazza Castello, sotto il palazzo della Regione, mentre dalle 15 alle 18 il ritrovo è nella vicina piazza Carignano, luogo storico in cui si sono tenute ultimamente tutte le manifestazioni a sostegno dei diritti.
Presidi analoghi si stanno organizzando in quasi tutti i capoluoghi di provincia della regione: Asti, Alessandria, Biella, Verbano Cusio Ossola, Cuneo. Reti di altre regioni sostengono l’iniziativa e si collegheranno da remoto con le piazze di Torino.
La rete + di 194 voci ha deciso di scendere in piazza perché ritiene inaccettabile la presenza dei movimenti antiabortisti, ma anche di qualsiasi altra associazione di volontariato, in un luogo come il consultorio o l’ospedale in cui si pratica l’ivg, che deve essere laico, sicuro, anche rispetto alla privacy, accogliente e non giudicante per la donna che decide di interrompere una gravidanza e che merita rispetto, attenzione, comprensione, ma soprattutto nessun giudizio per una scelta che è sua e solo sua.
È vero che la legge all’articolo 2 prevede la possibilità che i consultori, sulla base di appositi regolamenti o convenzioni si avvalgano, per i fini previsti dalla legge, della collaborazione volontaria di idonee formazioni sociali di base e di associazioni del volontariato, ma l’ingresso di queste formazioni sociali deve riguardare solo i servizi post parto e venire in aiuto di una maternità che può essere difficile per i più vari motivi.
È inaccettabile che i movimenti antiabortisti, gli stessi che al Congresso delle famiglie a Verona nel 2019 o davanti agli ospedali sgranano i rosari, accendono candele ed espongono feti di plastica accompagnati da un cartellino con la scritta “L’aborto ferma un cuore che batte” possano essere di aiuto e di supporto ad una donna che si è recata al consultorio per abortire.
È la struttura pubblica invece che deve essere potenziata e messa in grado di garantire, sempre nel rispetto della dignità e della riservatezza della donna e della sua autodeterminazione, e quando lei lo consenta, un supporto e offrire soluzioni che possano far sì che la sua scelta sia libera e per quanto possibile, priva da qualsiasi condizionamento. In questo senso la manifestazione di sabato va oltre alla semplice protesta per un bando anacronistico e contro le donne, ma chiede che ai consultori, Cenerentola della sanità pubblica, vengano assegnate risorse economiche e umane per essere rilanciati come luoghi accoglienti, aperti, accessibili, rispettosi della libertà delle donne e delle soggettività LGBTQIA+.
Lotta per i diritti
Non solo quindi difesa della 194 ma richiesta che i diritti sessuali e riproduttivi nel nostro paese siano considerati diritti fondamentali della persona e che l'accesso gratuito alla contraccezione ed alle cure ginecologiche di ogni genere; l'accesso davvero sicuro, gratuito e garantito all’ interruzione di gravidanza, un' educazione sessuale nelle scuole per una sessualità consapevole, consultori accoglienti e dotati di tutte le risorse necessarie, consultori agibili anche per le donne della terza età, diventino realtà e non vuote parole come lo sono oggi.
Le Reti che promuovono l’iniziativa chiedendo a tutti e tutte le partecipanti di mantenere il massimo distanziamento e di partecipare solo con la mascherina e di non portare bandiere di partiti, sindacati e delle singole associazioni «per non far sì – scrivono- che i nostri corpi siano terreno di propaganda politica».
Nel 1978 abbiamo, con le lotte di tante donne, conquistato una legge di civiltà, non siamo disposte oggi ad arretrare neanche di un millimetro, ma vogliamo l’aborto sia sempre di più libero, sicuro, accessibile!
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