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Mercoledì 31 marzo l’Italia parteciperà con il ministro Luigi Di Maio alla Ministeriale su clima e sviluppo organizzata dal Regno Unito come prima tappa del percorso di avvicinamento alla Cop26 di Glasgow (prevista dal 1° al 13 novembre). L’incontro sarà la prima occasione per rilanciare un impegno forte dell’Italia in un anno unico per il nostro paese, che vede la presidenza del G20 e l’organizzazione della Cop26 congiuntamente al Regno Unito.

Il primo passo risiede nel riconoscere che, in un mondo fortemente interconnesso e interdipendente, risolvere la questione dei vaccini o della riduzione delle emissioni a casa nostra è una condizione tanto necessaria quanto insufficiente per garantire la nostra stessa sicurezza e prosperità. Le stime del Fondo Monetario Internazionale (FMI) non lasciano dubbi di fronte al bisogno finanziario dei paesi emergenti di 2,5mila miliardi di dollari per rispondere alla pandemia.

In particolare, il continente africano registra da solo un bisogno di 345 miliardi di dollari. La salute e la ripresa dell’Africa potrebbero diventare una chiave di svolta per una nuova architettura globale che sia più resiliente agli shock e più equa, in cui l’azione per il clima ne fa da traino.

L’Africa

Come mostrano i dati della Commissione economica per l’Africa delle Nazioni Unite (UNECA), da inizio pandemia i paesi africani contano oltre 70 mila perdite umane, una perdita di 30 milioni di posti di lavoro, la prima recessione in 25 anni con una perdita di Pil del 2,6 per cento, deficit fiscali al massimo storico con oltre l’8 per cento del Pil e la povertà è di nuovo in aumento. Tutto ciò porta a forti pressioni sul debito, in particolare per i paesi dell’Africa sub-sahariana già in difficoltà pre-pandemia, e che ancora nel 2020 hanno speso di più per pagare il debito che per l'assistenza sanitaria.

Se questa è una situazione di crisi molto difficile, dobbiamo ricordare che la sfida più imponente per scala, intensità e frequenza rimane quella del cambiamento climatico. I paesi africani sono già oggi tra i più esposti alle perdite e i danni del clima, stimati fino al 9 per cento del Pil nel 2019, e dell’inquinamento dell’aria, legato da solo a 600 mila morti l’anno. Sono però gli impatti attesi, come ad esempio la perdita del 40 per cento di disponibilità di acqua nell’Africa meridionale occidentale al 2050, che fanno impallidire gli impatti della pandemia.

La strategia dell’UNECA si traduce così in tre livelli di azione: primo, dare risposta immediata alla crisi attraverso l’iniezione di liquidità; secondo, sostenere una ripresa verde; e terzo, ripensare il modello di governance globale. Per garantire liquidità e spazio fiscale occorre estendere l’attuale sospensione dei pagamenti del debito fino a fine 2021, idealmente fino a fine 2022, ed elargire le riserve speciali del Fmi riallocandole per i paesi più colpiti dalla pandemia e più vulnerabili al cambiamento climatico. Ciò porterebbe ad una iniezione di liquidità di 650 miliardi di dollari. La ripresa sostenibile dei paesi emergenti e vulnerabili passa poi dal ruolo delle Banche multilaterali di sviluppo, a condizione che i loro mandati siano allineati agli obiettivi dell’Accordo di Parigi e la loro capacità finanziaria aumentata per rispondere ai bisogni presenti e futuri.

In tutto questo l'energia gioca un ruolo chiave ancor di più in un continente con un deficit di accesso all'elettricità del 62,5 per cento. A condizione che sia rinnovabile. Le analisi dell’UNECA mostrano che, ad esempio, in Sud Africa le rinnovabili possono creare fino a 250 per cento di posti di lavoro in più nel breve termine, e fino a 420 per cento di valore economico in più nel lungo termine, rispetto ai combustibili fossili. Trend simili valgono anche per gli altri paesi africani.

Primi segnali

Segnali incoraggianti arrivano dai gruppi di lavoro e di studio del G20, sotto la guida del ministero delle Finanze e Banca d’Italia, che stanno esaminando le opzioni sul tavolo per supportare le economie più vulnerabili e definire una tabella di marcia pluriennale per la finanza sostenibile. Ma occorrerà fare molto di più per garantire che il nuovo spazio fiscale e le riforme delle Banche multilaterali siano adeguate a finanziare una ripresa verde rispetto ai bisogni e ai rischi climatici.

L’evento sulla finanza per il clima di Venezia di luglio sarà perciò un momento importante per focalizzare le scelte in avvicinamento al vertice G20 di fine ottobre a Roma sotto la leadership internazionale di Mario Draghi. Questo sarà il momento decisivo del 2021 perché senza progressi dei G20, la Cop26 di Glasgow sarebbe di fatto compromessa. Arrivare ai tavoli negoziali senza impegni concreti di nuove risorse e nuove riforme, ovvero senza la fiducia dei paesi vulnerabili, segnerebbe il fallimento della Cop26 in partenza. 

La credibilità dell’Italia dipenderà in larga misura da scelte interne. Il nostro aiuto pubblico allo sviluppo (APS) è in calo da anni, con lo 0,24 per cento del reddito nazionale lordo nel 2019. Un impegno importante, seguendo l’esempio della Francia, sarebbe quello di puntare a raggiungere il target europeo dello 0,7 per cento, fissato per il 2030, nel 2025.

La finanza

All’interno di questo schema, la finanza internazionale per il clima deve giocare un ruolo chiave, facendo perno su tre leve. Occorre innanzitutto valutare il raggiungimento del volume impegnato alla Cop21 dal governo Renzi di 4 miliardi fino al 2020 e aprire un dialogo per stabilire un nuovo obiettivo ambizioso post 2020, da annunciare entro la Cop26, all’interno di una riforma più ampia delle linee guida sulla cooperazione e dei ruoli dei vari attori pubblici e privati. Secondo, occorre raddoppiare il volume impegnato nel 2019 in occasione della prima ricapitalizzazione del Fondo verde per il clima, dunque impegnando ulteriori 300 milioni di euro. Terzo, l’importante contributo di 30 milioni di euro per il Fondo per l’adattamento impegnato dal governo Conte 2 a fine 2020 dovrebbe essere ripetuto e impegnato in forma pluriennale fino al 2025 e più in generale occorre assicurare il bilanciamento dei contributi per l’adattamento con quelli di mitigazione.

Infine, serve un impegno importante per scorporare la finanza pubblica da tutti i combustibili fossili. Il G20 italiano e la Cop26 sono i momenti ideali per un impegno concreto di esclusione degli investimenti fossili da parte di Cassa depositi e prestiti, SACE (che nel 2019 ha garantito più di 4 miliardi di investimenti fossili, soprattutto in Africa, e un trend simile è stato confermato per il 2020) e dei seggi italiani nei Consigli d’amministrazione delle Banche multilaterali. Sulla scia di impegni analoghi della Banca europea per gli investimenti, del Regno Unito e dell’amministrazione Biden. Non possiamo più aspettare.

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