Il 20 marzo scorso il presidente Recep Tayyip Erdogan ha firmato il decreto di recesso dalla Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne e la violenza domestica, detta Convenzione di Istanbul, che diventerà efficace dal 1° luglio 2021. Il ministro della Famiglia, del lavoro e dei servizi sociali Zehra Zumrut Selcuk ha motivato la decisione, dichiarando che i diritti delle donne sono garantiti nella legislazione nazionale, e in particolare nella Costituzione.

Nei fatti, lo stato non dà attuazione a tale legislazione. La situazione delle donne in Turchia è di vera e propria emergenza. Secondo l’associazione “Fermeremo il Femminicidio”, in Turchia sono state uccise nel 2019 almeno 474 donne, nel 2020 le vittime sono state almeno 300, e 77 dall’inizio di questo anno. La maggior parte di loro sono state uccise dal partner o ex, da familiari o da sconosciuti che volevano avere una relazione con loro. Tanto le forze dell’ordine quanto i giudici non rispondono adeguatamente alle richieste di aiuto delle donne e sono numerosi i casi di uomini che ricevono una pena ridotta perché simulano un comportamento rispettoso davanti alla Corte.

Anche in Europa

Molti stati dell’Est Europa – Bulgaria, Slovacchia e Ungheria – hanno deciso di non dar corso alla ratifica della Convenzione, di fatto rigettandola. Inoltre, la Polonia ha annunciato di volere recedere dalla Convenzione di Istanbul e avviato la relativa procedura. Eppure, in questi i paesi i femminicidi sono tragicamente presenti. È ampiamente dimostrato ormai che un’organizzazione sociale fondata sulla diseguaglianza dei rapporti di potere tra uomini e donne, favorisce i femminicidi e le violenze contro le donne in generale. La negligenza delle autorità non fa che favorire l’aggravarsi del problema, legittimando assuefazione e tolleranza verso la violenza contro le donne. Ancora oggi, la violenza di genere, che è violazione dei diritti umani, è prima di tutto un problema culturale. La posizione ferma delle Istituzioni è fondamentale, in ogni paese, per poter eliminare questa cultura.

L’appello

Per tutti questi motivi, in qualità di rappresentanti della rete accademica Un.i.r.e. per l’attuazione della Convenzione di Istanbul, lo strumento per contrastare e prevenire la violenza di genere voluto dal Consiglio d’Europa, interpretiamo la decisione di Turchia, Ungheria e Polonia come un attacco contro i valori fondamentali sui quali si fonda l’Unione europea e che tutti gli Stati membri sono tenuti a salvaguardare. Per questo ci rivolgiamo alle istituzioni nazionali, al Consiglio d’Europa, all’Unione Europea, affinché:

  • Si attivino tutte le iniziative utili a contrastare le decisioni dei paesi che vogliono indebolire la Convenzione di Istanbul, se necessario anche con azioni forti, come la possibile esclusione dalla distribuzione di fondi e/o sovvenzionamenti o con sanzioni;
  • Si solleciti la ratifica della Convenzione di Istanbul presso i paesi europei che sinora l’hanno soltanto firmata;
  • Si proceda con l’approvazione della Convenzione di Istanbul da parte dell’Unione europea;
  • Si adottino tutti i provvedimenti necessari per attuare la Convenzione di Istanbul in ogni sua parte, in particolare nelle attività di prevenzione, educazione, formazione e sensibilizzazione per costruire una cultura della parità di genere.

Il nostro appello non vuole essere soltanto la doverosa denuncia di quanto sta accadendo in Europa sul tema della violenza contro le donne, bensì vuole riaffermare il necessario impegno di tutti ad attuare in ogni sua parte la Convenzione di Istanbul, a partire da quelle azioni di prevenzione sociale e culturale che da tempo noi stiamo perseguendo con forza e convinzione nella scuola e nell’università italiana.

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