Nei giorni scorsi, la Camera dei deputati ha votato la proposta di legge 1987 (nelle cronache chiamata “Salva Milano” perché mirata a legittimare un insieme di progetti realizzati e autorizzati a Milano) che ci preoccupa molto come urbaniste e urbanisti, e che sta generando sconcerto anche tra professionisti, accademici, amministratori pubblici e comuni cittadini impegnati nell’immaginare e guidare processi difficili di cambiamento sociale, economico e ambientale delle città italiane.

La proposta di legge, passata all’esame del Senato, propone un’”interpretazione autentica” che invece snatura il senso di articoli legislativi di assoluta limpidezza, i cui contenuti sono fondanti per la cultura e la prassi di governo del territorio (art 41 quinquies della Legge Urbanistica Nazionale e art 8 comma 2 del DIM 1444/1968), anche attraverso l’introduzione di modifiche al discusso testo unico dell’edilizia del 2001, già corresponsabile di un processo di banalizzazione del progetto e del rinnovamento delle città italiane a questione essenzialmente edilizia. Le interpretazioni proposte mettono ora a rischio le condizioni necessarie a rigenerare le città secondo principi di qualità dello spazio urbano, di conversione ecologica e di equità ed uguaglianza nel diritto alla città da parte di tutti.

La proposta di legge, infatti, cancella l’obbligo del piano attuativo, ovvero di un progetto organico esteso alle parti di città interessate da trasformazioni, elimina la necessità di valutare il nuovo carico insediativo e, di conseguenza, di reperire le aree e realizzare i servizi pubblici e le infrastrutture per i nuovi abitanti, per delle trasformazioni che - recita la proposta di legge - avvengano in “aree già urbanizzate” per altezze che eccedano i 25 metri. Inoltre, la proposta equipara a semplici ristrutturazioni edilizie la sostituzione di edifici demoliti con nuovi edifici aventi sagoma, sedime e funzioni del tutto diversi, così sottraendo ai Comuni quote consistenti di oneri di urbanizzazione essenziali per riqualificare e adattare le città a sempre nuovi e pressanti bisogni sociali. Tutto ciò potrà essere peraltro autorizzato in assenza di qualunque discussione pubblica, invece richiesta dalla pianificazione attuativa.

La norma proposta dà compimento e radicalizza un processo di rinuncia all’urbanistica, ovvero alla cultura tecnica e politica che per secoli ha guidato la costruzione e, più di recente, la rigenerazione delle città italiane, riducendola a una semplice operazione edilizia: la città, con ogni evidenza, è intesa dalla proposta di legge come mera somma di edifici. Legittimando la prassi che ha reso possibili a Milano interventi edilizi fuori misura e disconnessi dal contesto esistente, la legge non solo spunta le armi – su un piano politico e culturale – all’azione urbanistica volta a migliorare la qualità della vita nelle città di tutta Italia, ma prospetta anche difficoltà gestionali e finanziarie per i Comuni, in particolare per i più fragili, esponendoli alle pressioni degli operatori immobiliari più aggressivi.

Come membri della Società Italiana degli Urbanisti, come studiosi, docenti e cittadini, sentiamo l’urgenza di invitare i senatori e le senatrici della Repubblica a considerare la delicatezza della materia in discussione e a sospendere un processo decisionale che solleva i dubbi di tanti colleghi e amministratori di ogni parte d’Italia, e i cui esiti rischiano di aprire contenziosi per gli interventi del passato e incertezze per le trasformazioni urbane del futuro. Riteniamo indispensabile aprire una discussione informata e consapevole tra politici ed esperti, con le comunità locali e la società civile, nella direzione di un nuovo patto civile, responsabile nei confronti dell’intero paese e delle sue città.

Riteniamo che i limiti della legislazione attuale rispetto alle nuove esigenze di rigenerazione delle città debbano essere valutati in chiave di progresso e innovazione, non certo attraverso “interpretazioni autentiche” che fanno arretrare di oltre cinquant’anni la cultura urbanistica italiana.

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