- Sono gli storici a dover scrivere la storia. E non serve alla comprensione dei fatti spegnere ogni luce sulla drammatica scena del confine orientale negli anni 40, e illuminare solo le tragedie delle foibe e dell’esodo.
- Bene sarebbe che nell’anniversario dell’invasione italiana della Jugoslavia dalle istituzioni italiane giungesse un inequivocabile messaggio di distensione e di riconoscimento delle pesanti responsabilità che gravano ancora sul nostro Paese.
- Il cosiddetto confine orientale andrebbe finalmente osservato con uno sguardo altro e alto: una frontiera di secolare convivenza fra culture, lingue, religioni, stili di vita differenti. Non un muro, ma un ponte che consenta di guardare ad un futuro pacifico.
Si avvicina l’80esimo anniversario dell’invasione italiana della Jugoslavia. Quell’evento – 6 aprile 1941 – rappresentò l’inizio di un’oppressione e poi di una repressione sanguinosa. Le vittime jugoslave dell’occupazione, della contestuale aggressione nazista e dei crimini dei collaborazionisti si contano nella cifra di oltre un milione di morti.
La legge 92 del 2004 recita, all’art. 1, che «la Repubblica riconosce il 10 febbraio quale “Giorno del ricordo” al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell’esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale». In questi diciassette anni, ben lungi da un lavoro di costruzione di una memoria, se non condivisa, quantomeno complessiva, si è sviluppata un’azione a largo raggio delle destre, in particolare le destre estreme, tesa a imporre il dramma delle foibe e dell’esodo come una sorta di una narrazione alternativa e contrapposta alla storia della Resistenza.
Tale azione politica e culturale a tutt’oggi in corso ha come presupposto necessario l’estrapolazione delle drammatiche vicende dal contesto e perciò la consapevole rimozione delle finalità della legge in merito alla “complessa vicenda del confine orientale”. Ferma rimanendo – questo sia assolutamente chiaro – la condanna e la riprovazione per l’orribile vicenda delle foibe, come più volte ribadito dall’Anpi nazionale, e assieme la drammatica memoria dell’esodo, va sottolineato che l’obiettivo reale delle destre estreme è la costruzione di un mito vittimario fascista. Dietro questa complessa operazione si cela un paradossale capovolgimento della storia, per cui il fascismo italiano, responsabile dell’aggressione alla Jugoslavia, sarebbe stato in realtà vittima dell’aggressione jugoslava in una realtà ucronica in cui sono state radicalmente rimosse l’invasione, le violenze, l’impunità dei criminali di guerra, le complicità con il Terzo Reich.
L’operazione di illusionismo consiste nello spegnere ogni luce sulla drammatica scena del confine orientale, mentre i fari si illuminano soltanto per le tragedie delle foibe e dell’esodo.
Tutto qui per gli illusionisti? No. Rimane da disinnescare il pericolo rappresentato dalle fonti della conoscenza della verità sui fatti, cioè la ricerca storica, ove questa non confermi la vulgata della destra, e rivestire di autorità istituzionale la versione illusionista attribuendo alle medesime istituzioni il compito inquietante di stabilire una volta per tutte un’unica verità, negando la quale ci si pone in automatico al fuori di qualsiasi legittimità. Detto in breve, non sono gli storici che scrivono la storia, ma lo Stato.
La mozione di Fratelli d’Italia
L’incarnazione di questo disegno si trova nella mozione proposta dal gruppo di Fratelli d’Italia, approvata il 23 febbraio dal Consiglio regionale del Veneto e preceduta da un’analoga mozione del 2019 del Consiglio del Friuli-Venezia Giulia.
Nel documento si premette che «tra il 1943 ed il 1947 sono stati assassinati e infoibati dal regime comunista jugoslavo oltre 12.000 italiani». Ma il regime inizia alla fine del 1945; nel periodo precedente si è in presenza di un movimento di resistenza contro l’occupazione nazifascista. Eppure questa grottesca svista proclama la vacuità, la vanità e la presunzione di sostituire alla ricerca storica una artefatta verità politico-istituzionale.
Né va meglio con le vittime delle foibe, dichiarate nel numero di 12.000 – ovviamente senza citare alcuna fonte –, per cui qualsiasi altro calcolo formulato in base agli elementi di ricerca si rivela “riduzionista”. È il caso del “Vademecum per il giorno del ricordo”, esplicitamente attaccato come “riduzionista” dalla mozione. Il testo, davvero equilibrato, a cura di un gruppo di autorevoli storici, stima un numero di vittime inferiori di circa la metà rispetto a quello dichiarato dalla mozione.
Tra tali storici c’è da segnalare la presenza di Raoul Pupo, uno dei massimi studiosi dell’argomento, già relatore ufficiale al Quirinale nel Giorno del ricordo. Sia chiaro che il dramma delle foibe rimane esecrabile sia che le vittime siano state 12.000, sia che siano state un numero inferiore. Ma che le 12.000 vittime diventino verità assoluta e inconfutabile per decisione del Consiglio regionale del Veneto pena l’incorrere nella sua scomunica, è francamente imbarazzante per un Paese civile.
L’esegesi del testo della mozione potrebbe continuare a lungo, smontando omissioni e veri e propri falsi di cui è costellata. Conviene però soffermarsi su qualche punto ulteriore, ove si afferma che ci si impegna «a sospendere ogni tipo di contributo finanziario e di qualsiasi altra natura (…) a beneficio di soggetti pubblici e privati che, direttamente o indirettamente, concorrano con qualsiasi mezzo o in qualsiasi modo a diffondere azioni volte a macchiarsi di riduzionismo, giustificazionismo e/o di negazionismo nei confronti delle vicende drammatiche quali le foibe e l’esodo, sminuendone la portata e negando la valenza storica e politica di questa enorme tragedia».
Ma con chi ce l’hanno gli estensori della mozione? Lo si scopre in una delle premesse: «in occasione delle celebrazioni del Giorno del Ricordo ogni anno vengono organizzati numerosi convegni di natura negazionista o riduzionista con la presenza di presunti storici, a cura principalmente dell’Anpi, con il sostegno talvolta di amministrazioni locali compiacenti e di partiti politici presenti in Parlamento, con il solo fine di sminuire o addirittura negare il dramma delle foibe e delle drammatiche vicende correlate». In sostanza coloro che propongono una visione difforme da quella imposta nella mozione sarebbero sanzionabili: l’Anpi, gli storici («presunti»), le amministrazioni locali («compiacenti»), i partiti politici.
Lettera a Mattarella
Nella gabbia – invero zoppicante – della mozione è imprigionata, in sostanza, la libertà di ricerca e le libere iniziative promosse in questa direzione dalle forze sociali e politiche. Quanto basta perché un rilevantissimo numero di storici e di istituti di ricerca abbia inviato una lettera aperta al Presidente della Repubblica in cui si denuncia «un rischio gravissimo per la libertà di ricerca, il libero dibattito scientifico, e più in generale per la libertà di espressione del nostro Paese». In sostanza, la mozione di Fratelli d’Italia è in violenta rotta di collisione – un riflesso pavloviano? - con l’art. 21 della Costituzione che recita: «Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione».
E ancora: nella mozione si richiama la legge 115 del 2016 «con la quale si attribuisce rilevanza penale alle affermazioni negazioniste della Shoah» con l’evidente intenzione di estenderne l’ambito anche versus i “negazionisti” e “riduzionisti” delle foibe, nella cieca ignoranza del disposto della legge che considera la norma sulla negazione della Shoah come una circostanza aggravante dei delitti di natura tipicamente neofascista di propaganda razzista.
Finito? Neanche per idea. Nella mozione si denuncia, in breve, la non sufficiente presenza del dramma delle foibe e dell’esodo nei programmi di formazione. Come se nei programma di formazione ci si soffermasse, viceversa, sulle «complesse vicende del confine orientale». Ma quando mai si parla nelle scuole dell’invasione della Jugoslavia? Gli italiani in Jugoslavia si resero responsabili di incendi, fucilazioni, stragi, rappresaglie di ogni genere. E del fascismo di confine?
Fu proprio in quei territori che i fascisti presentarono il loro volto più violento per un lungo periodo che prese avvio dall’inizio degli anni Venti: una sistematica politica di oppressione e snazionalizzazione delle minoranze slovene e croate e di persecuzione degli antifascisti. Il 20 settembre 1920 a Pola Benito Mussolini affermò fra l’altro: «Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino, ma quella del bastone». E dell’occupazione tedesca del Trentino Alto Adige e del Friuli Venezia Giulia? Dopo l’8 settembre il Friuli Venezia Giulia fu occupato e amministrato dal Terzo Reich, collaborazionisti cosacchi compresi, in armonia con i fascisti locali ovviamente subalterni e fu luogo di ulteriori atrocità che videro protagonisti non solo i tedeschi, ma anche i fascisti italiani, fra cui quelli della X Mas. E dei criminali di guerra italiani rimasti a tutt’oggi impuniti?
Questo fu il contesto in cui si consumò il dramma delle foibe e successivamente dell’esodo istriano, fiumano e dalmata e, assieme, prese corpo la questione dell’espansionismo jugoslavo a fronte di una guerra che l’Italia, fra gli altri, aveva dichiarato, uscendone sconfitta l’8 settembre 1943 e redenta per quanto possibile dalla Resistenza. Andò molto peggio alla Germania e al Giappone.
La foglia di fico dell’ultranazionalismo
Le foibe e l’esodo sono tragedie sconvolgenti che richiedono la massima serietà nella ricerca storica, nell’attribuzione delle responsabilità, e nell’approccio politico affinché non diventino la bandiera di una fazione e la foglia di fico di un ultranazionalismo irredentistico di tipo novecentesco. E questo è il cuore del problema che abbiamo davanti: dietro il racconto di una storia riscritta, cancellata, inventata, semplicemente violentata si nasconde una ruggine vendicativa e sciovinista che costituisce un pericolo per il nostro Paese e per i Paesi confinanti. Per i firmatari della mozione e per quella rilevantissima parte delle destre che condivide la sostanza di quelle tesi il Novecento non è stato il secolo breve ma è invece un secolo così lungo che continua tutt’oggi, nell’anno del Signore 2021.
Il cosiddetto confine orientale andrebbe finalmente osservato con uno sguardo altro e alto: una frontiera di secolare convivenza fra culture, lingue, religioni, stili di vita differenti. Non un muro, ma un ponte che consenta di guardare ad un futuro pacifico e di progresso di civiltà, mettendo a valore le straordinarie ricchezze culturali di quella terra.
Bene sarebbe che proprio in questa prospettiva, nella circostanza dell’anniversario dell’invasione italiana della Jugoslavia proprio dalle istituzioni italiane giungesse un inequivocabile messaggio di distensione e di riconoscimento delle pesanti responsabilità che gravano ancora sul nostro Paese.
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