Si vuole rilanciare il servizio pubblico? Si facciano atti concreti, ma rapidamente, a salvaguardia di una Rai che comincia a correre qualche rischio per il suo futuro. Un tavolo permanente è sicuramente una proposta che può funzionare, ma è da mettere in campo rapidamente, mentre sul destino della più grande azienda culturale del paese da parte del governo è ancora buio pesto.

A quanto ammonterà il canone per gli anni futuri dopo il taglio populista di 400 milioni di euro che, se confermato, metterebbe in ginocchio definitivamente l'azienda? Quale sarà la modalità di esazione? Quale futuro ha un'azienda che per finanziare una ipotesi di piano industriale deve vendere ulteriori quote di RaiWay per poi fonderla con Ei Towers, con ulteriore perdita pubblica di possesso di una infrastruttura? E come garantire l’indipendenza dal potere politico?

La Rai è in stallo da ben prima di maggio: scarsità dell'offerta, poca sperimentazione, una narrazione del Paese sempre più piatta ed omologata, una esposizione debitoria ingente, un grave ritardo nella digitalizzazione dei processi. A tutto questo dobbiamo aggiungere una situazione debitoria che continua ad essere preoccupante. Sino ad oggi, anche questa maggioranza pare più interessata alla consueta logica spartitoria a danno di un destino industriale e culturale della Rai che, senza interventi responsabili, sembra segnato.

Il nuovo contratto

Intanto si potrebbero applicare subito i criteri di indipendenza del Media Freedom Act senza attendere il 2025. Ma se davvero il governo Meloni volesse rimettere il servizio pubblico al centro del sistema informativo e culturale, dovrebbe fare subito un’operazione chiara: rivalorizzare le competenze interne, e consentire un rinnovo del contratto di lavoro che abbia il consenso dei suoi quadri, impiegati ed operai.

E Invertire finalmente una tendenza che dura da troppo tempo: quella di considerare e trattare questa grande azienda più come una stazione appaltante che come un centro produttivo eccellente, capace di realizzare da sé i propri contenuti.

L’iniziativa

Ecco perché il prossimo 23 settembre le lavoratrici ed i lavoratori della Rai scioperano, perché reclamano a pieno diritto il rinnovo del contratto e perché sono preoccupati per il futuro del proprio lavoro e del destino di un’azienda che deve tornare ad esercitare il suo ruolo trainante nel mondo dell'informazione e della produzione culturale.

La rivendicazione di un giusto contratto, a partire da un congruo recupero salariale, riguarda anche il ruolo che questa azienda, e quindi le sue lavoratrici ed I suoi lavoratori, ha nel paese e per il paese. Nel 2027 scadrà la convenzione che assegna alla Rai il compito di assolvere al servizio pubblico radio televisivo, con la relativa assegnazione dei proventi del canone. Non possiamo arrivare a quella data con un'azienda che, sempre più, viene percepita come un problema invece che una risorsa. Mentre la Rai è una risorsa del paese per la sua grande tradizione e per il patrimonio di competenze, saperi e conoscenze che poche altre aziende possono vantare.
Già in passato abbiamo assistito, da più parti, al dibattito sulla privatizzazione di suoi segmenti.

Oggi, a questa tentazione, va sommata la rivendicazione di altri soggetti che ritengono di assolvere, per la propria quota parte, al compito di servizio pubblico. È per questo che noi chiediamo un giusto contratto per i lavoratori ed un disegno chiaro che rimetta la Rai al centro del nostro sistema informativo e culturale, che sia riconoscibile come pluralista e democratico.
Lo abbiamo chiesto ai governi passati, lo chiediamo all’attuale.

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