La destra avvia il cantiere per modificare la legge sulla governance. Un segnale alle opposizioni per sbloccare la partita sulla presidenza. Per ora il campo largo resta unito
Nomine, ma anche aperture alle opposizioni. La mossa della maggioranza per chiudere la partita della Rai passa dalla carota e dal bastone: avanti tutta con le nuove nomine, ma dialogo sulla riforma della legge sulla governance. La chiave è nella nota sibillina diffusa dalla maggioranza ieri in mattinata. «In attesa di regole che tengano conto, per il sistema nel suo complesso e per il servizio pubblico, delle previsioni che dovranno entrare in vigore entro il 2025, riteniamo che debbano essere applicate le norme vigenti senza indugi, a tutela delle prerogative del Parlamento, del pluralismo e della funzionalità del servizio pubblico», hanno scritto Giorgia Meloni, Matteo Salvini, Antonio Tajani e Maurizio Lupi.
Insomma, il 26 si procederà alla nomina dei sei consiglieri scelti dalla politica, ma contestualmente si aprirà il cantiere della riforma della legge sulla governance: una concessione alle opposizioni, in particolare al Movimento 5 stelle che da tempo spinge per organizzare gli Stati generali del servizio pubblico.
A brevissima distanza dalla nota di maggioranza è uscita quella della presidente della commissione di Vigilanza. «Finalmente i leader di centrodestra si dicono pronti al dibattito sulla riforma del servizio pubblico nel solco del Media Freedom Act europeo» ha scritto Barbara Floridia. «Abbiamo tutti il dovere di dare il paese una legge in linea con i principi del Media Freedom Act europeo e capace di slegare definitivamente la Rai dal rapporto asfissiante con il governo di turno». Insomma, per i Cinque stelle c’è ormai uno scalpo da vantare. Ma vuole intestarsi la concessione anche il Pd: i dem apprezzano che la maggioranza abbia deciso di aprire a una riforma della Rai, ma il partito ribadisce che non intende avallare un «rinnovo» del cda prima che si cambi la legge, fa sapere in serata la segretaria Elly Schlein. Facciano le nomine da soli, dunque, con il rischio di mandare a vuoto l’elezione del presidente.
La partita del M5s
La linea ufficiale è che le opposizioni rimarranno unite. Niente fughe in avanti, la tempistica della nota di Floridia è una coincidenza, basta con la sponda che i contiani hanno offerto alla Rai meloniana nel suo primo anno di vita. Il Movimento non voterà Simona Agnes, la consigliera d’area azzurra che da tempo sogna la presidenza. Per il momento, per la pupilla di Gianni Letta non ci sono i voti dei due terzi di commissione necessari a confermare la scelta. Si potrebbe procedere con l’interim al consigliere anziano del Consiglio d’amministrazione di viale Mazzini, ma l’apertura di oggi della maggioranza smuove una situazione che era stagnante ormai da qualche tempo.
Se il segnale è stato mandato, ora sotto il cavallo morente e a palazzo Chigi aspettano un riscontro. E c’è già chi mormora che le opposizioni non siano poi così unite. Diverse voci attribuiscono al Movimento l’ambizione inconfessabile del Tg3: un desiderio che significherebbe intestarsi l’intero pacchetto, visto che nessuno allo stato attuale riesce a immaginarsi la redazione separata da Mario Orfeo. Una via più praticabile invece potrebbe essere quella della direzione di Rainews: lì c’è Paolo Petrecca in scadenza a fine novembre. Andrà trovato un sostituto, e tutto sommato i meloniani non sono così dispiaciuti di lasciare una redazione che a taccuini chiusi qualcuno non esita a definire «un centro sociale».
Ufficialmente, però, i canali della trattativa sono ancora chiusi. «Certo, mancano dieci giorni al 26, che in politica sono un’eternità». Tutto si può aggiustare, insomma: «Ma gli accordi sono tra partiti, nessuno tratta con Mazzini». Tradotto, il patto andrebbe siglato tra Giorgia Meloni e Giuseppe Conte, che potrebbe a un certo punto – magari quando i riflettori sulle nomine di viale Mazzini si saranno abbassati – fornire i due voti di cui c’è ancora bisogno in commissione di Viglianza per eleggere Agnes. E allora “Telemeloni” sarebbe completa.
Anche se la linea da contrapporre alle accuse di occupazione è sempre la stessa: «Telemeloni non esiste. Il miglior rispetto che possiamo avere anche nei confronti del governo è dimostrare che possiamo lavorare liberamente» dice il direttore Cinema e Serie tv Adriano De Maio (attribuito all’area pentastellata) presentando la nuova stagione. Bruno Vespa si era lamentato del traino dei film che ha scelto: «Un concetto che non esiste più».
Quel che esiste, invece, è il tempo che scorre: l’azienda ha bisogno di una guida, qualcuno al timone. «Nessuno si prende la responsabilità di una firma per nulla che sia fuori dall’ordinario, non riusciamo neanche a far partire i programmi» raccontano da viale Mazzini. Ora il traguardo sembra a portata, perfino quello di completare il mosaico della governance con il tassello della presidente.
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