Centocinquanta film da attrice, due da regista selezionati al festival di Cannes, una carriera internazionale costellata di premi tra cui due coppe Volpi. L’impavida Valeria Golino ama da sempre le sfide e le eroine indomite e scandalose come Modesta, la protagonista del capolavoro “anarchico” di Goliarda Sapienza, pronta a infrangere ogni tabù per conquistare la sua libertà. Un romanzo che continua a trionfare sull'oblio in cui doveva essere confinato, grazie ad un'appassionante serie Sky, in anteprima in questi giorni al cinema.

Cos'è che l’ha spinta verso la regia? Non bastava la recitazione?

Ho avuto la fortuna di lavorare con persone piene di talento che hanno nutrito il mio gusto cinematografico. La regia è un desiderio che ho tenuto nascosto per anni. Ho iniziato il mestiere di attrice a 17 anni, e sono arrivata alla regia solo a 45, non osavo. Forse per pudore o per senso di inadeguatezza.

Lei sembra destinata a raccontare Goliarda Sapienza, ha adattato il suo romanzo sugli schermi e ora sta per interpretarla nel prossimo film di Mario Martone. Crede nella sincronicità?

Credo al destino, ogni volta che diventa necessario, come direbbe Modesta. A un certo punto, quando devi dare un senso alle cose, una ragione al caos, c'è il destino. Ho conosciuto Goliarda prima con il regista Citto Maselli, poi personalmente. Da giovane mi hanno proposto di interpretare Modesta in due progetti su L'Arte della gioia che sono sfumati. Poi è arrivato il momento… è bello pensare che c’è questo filo invisibile tra di noi, dà un senso alle cose.

Che ricordo ha di lei? Dicono che poteva essere dura e scostante.

L’ho conosciuta a 18 anni, dovevo girare Storia d'amore di Citto Maselli, il suo ex marito, e mi ha aiutato molto con la dizione, avevo l'accento napoletano. Era molto affettuosa con me, ma sentivo che poteva sbottare da un momento all'altro, allora cercavo di compiacerla.

Spesso i maestri di recitazione fiutano e manipolano le emozioni dei loro allievi.

Non ho mai fatto scuole, ho imparato sul set lavorando con colleghi che involontariamente mi hanno insegnato molto. A Los Angeles ho seguito come uditrice alcune lezioni di Stella Adler. Il mio ex, Benicio del Toro, era il suo pupillo. Era cattivissima, impauriva tutti, e io mi facevo piccola piccola. Probabilmente anche Goliarda Sapienza pensava che la regola era sbatacchiare gli studenti per tirarli fuori dalla loro zona di conforto.

Lei è mai stata "sbatacchiata" dai suoi registi, e da regista come si comporta con i suoi attori?

Sono stata sbatacchiata fin dal mio primo film, da Lina Wertmüller, che mi voleva molto bene e me ne diceva di tutti i colori, a Citto Maselli, per non parlare di Antonio Capuano che non mi risparmiava nulla e quasi sempre aveva ragione. Se c’è una sana tensione creativa e mi sento voluta bene e rispettata come persona, non mi offendo affatto. Da regista cerco di capire di che cosa ha bisogno l'attore nel momento in cui si espone, il mio metodo ha poco a che vedere con la severità.

Difficile non essere severi sul set, soprattutto su una serie così ambiziosa e con tempi produttivi strettissimi.

Mi circondo spesso di collaboratori che non sono concilianti, anzi mi mettono in difficoltà, ma è stimolante scoprire di essere nel torto, o dover convincere che ho ragione io. Il confronto è fondamentale, altrimenti l’autore rischia di fagocitare tutto.

Come un’adolescente che deve scontrarsi coi propri genitori per definirsi.

Non l'avevo mai pensata in questi termini, però ora che me lo dice, è vero, continuo a immaginarmi giovanissima, e che devo oppormi a qualcosa. Però non mi sono mai ribellata ai miei genitori, ho fatto sempre quello che volevo senza mai entrare in guerra con loro.

La regia ha molto a che vedere con la megalomania, no?

Sicuramente, e va tenuta a bada. Se incominci a pensare che quello che fai è bellissimo, è la fine. Rischi, e non solo umanamente, perché cominci a fare quello che pensi che gli altri vogliano da te. La soddisfazione non produce bellezza, è un sentimento arido da cui cerco di stare alla larga.

Il suo film trasuda sensualità. Un regista uomo sarebbe stato capace di tradurre l’erotismo di cui è intriso il romanzo di Goliarda Sapienza?

Certo, diversamente da me, e anche un'altra regista donna avrebbe fatto qualcosa di diverso. Ci sono donne che quando parlano di sesso sono molto più estreme e provocatorie di me. Goliarda era molto più hardcore. Ci sono passaggi sul desiderio intimo delle donne nell’Arte della gioia che sono veramente scabrosi, io sono molto più pudica di lei, mi piace l'eros ma non la morbosità.

A proposito di erotismo, lei ha iniziato in un periodo in cui le attrici in Italia erano soprattutto corpi da guardare dal buco della serratura, all’estero c’erano Meryl Streep e Isabelle Adjani, qui Fenech e Muti.

Sono arrivata dopo, nel peggior periodo del cinema Italiano. Non c'erano ruoli per le donne. Almeno la Muti ha avuto gli anni ‘70, in cui oltre alla commedia all’italiana c’erano ancora autori interessanti come Marco Ferreri. Alla fine, facendo lo slalom tra i brutti progetti, siamo rimaste veramente poche superstiti di quel periodo: Margherita Buy, io, Laura Morante, Isabella Ferrari.

E ha vissuto situazioni spiacevoli quando andava a fare i casting?

Era un malcostume. Ovunque, in Italia, in Francia, in America, c'erano individui che si comportavano male e hanno abusato del loro potere per anni. Ognuno si barcamenava come poteva per rimanere integro. Quando fiutavo certe situazioni, me ne andavo a gambe levate, ma non per questo mi sentivo meno umiliata. Erano anni, nel bene e nel male, con un'etica molto diversa, quello che oggi ci sembra offensivo non è detto che lo fosse all'epoca. Il nudo era un po’ ovunque e le relazioni con una grande differenza d’età non avevano nulla di scandaloso. Io stessa a 19 anni stavo con Peter Del Monte che ne aveva 43, e non perché mi avesse sedotto lui, no, al contrario l’ho cercato io, e lui, poverino, cercava di scappare via da me.

Com'è andata a Hollywood? Perché se n'è andata via?

Sono restata lì dodici anni, lavoravo, stavo bene, mi divertivo ed ero anche fidanzata. Poi è arrivato Fabrizio Bentivoglio, il rapporto a distanza diventava sempre più difficile, così sono tornata per cercare di curare quella relazione. Non pensavo alla carriera, ho fatto quello che la mia natura mi spingeva a fare in quel momento.

Contrariamente a molte sue colleghe è riuscita a superare egregiamente la barriera dei 40, qual è il segreto?

Ho superato anche la barriera dei 50 anni, e ora vediamo cosa succede con quella dei 60. Oggi molte attrici interpretano ruoli interessanti dopo i 50, ed è una vera vittoria perché quando ho cominciato io, a 55 anni ti facevano fare la nonna o personaggi marginali. Le cose sono finalmente cambiate, e ne approfitto insieme alle mie amiche. C’è tutta una generazione di grande talento che non è più ghettizzata, e questo anche grazie alle serie televisive che hanno aperto le porte a molti personaggi femminili complessi e interessanti.

Lei si considera in qualche modo una femminista?

Credo di avere insito in me la forza delle donne della mia infanzia: mia madre, la mia matrigna. Ideologicamente erano forti, avevano combattuto per i loro diritti, e io ho assorbito la loro forza come un dato di fatto. Non sono però praticante, non posso definirmi femminista, lo sono naturalmente senza militanza, un po' come Modesta è pansessuale.

Ma rappresentare donne forti e ribelli è anche una scelta politica, no?

Chiaro, ma sarei anche molto interessata a raccontare una donna che non è per niente così. L'arte non è un manifesto di come si dovrebbe essere. Il personaggio di Modesta non è edificante, è un freak ed è questo il bello. Prima solo gli uomini avevano il privilegio di interpretare i freak, ora anche le donne possono essere nel torto e avere un'etica ambigua.

Dopo questo tour de force con la serie di che cosa ha voglia?

Vorrei prima di tutto vivere, e poi vorrei fare un film. L’arte della gioia è stato un tale allenamento che fare un film mi sembra una passeggiata. È un lavoro che mi ha provata, ero una bella donna prima di finire questa serie, tutti mi dicevano che dimostravo molti meno anni, adesso non me lo dicono più.

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