- Le favole sul modello Roma raccontate da chi, come Carlo Calenda, si informa nei conciliaboli. Crescita e nessuna inchiesta giudiziaria, sindaci molto votati e popolari.
- Bettini aveva guidato l’opposizione comunista in Campidoglio contro le giunte di Sbardella su una linea anti-consociativa che aveva invece prevalso a Milano ed a Napoli. Dopo il 2008 furono i giovani, e non lui, a scegliere la via trattativista dell’opposizione di Alemanno.
- Oggi Gualtieri fa bene a ricordare criticamente la vicenda delle dimissioni dal notaio propugnate da Renzi per cacciare Marino. Mi sarei aspettato che Marino apprezzasse. Fummo in pochi a criticare il Pd in quel momento.
Caro direttore, in questi ultimi anni la sinistra, e il campo democratico, non hanno avuto fino in fondo la capacità e forse la volontà di una seria e serena ricostruzione delle vicende politiche e amministrative romane degli ultimi trent’anni anni.
La lunga stagione di governo del centrosinistra dal 1993 al 2008 è stato il tentativo delle forze riformiste di Roma (socialiste, cristiane e ambientaliste) di far uscire la città dal marasma del vecchio regime politico dei vecchi partiti crollato all’inizio degli anni Novanta e di collocarla in una prospettiva europea, proprio in concomitanza con i trattati di Maastricht. Questo è stato il cosiddetto “modello romano”.
I protagonisti
Protagonista di quella stagione è stata una classe dirigente diffusa di donne e uomini di cui mi onoro di aver fatto parte, guidata da personalità come i sindaci Francesco Rutelli e Walter Veltroni che mi ha scelto come assessore all’Urbanistica. Goffredo Bettini è stato l’animatore della candidatura di Rutelli che è venuta fuori in un momento drammatico della situazione di Roma ed è stato, come capogruppo e poi assessore, il punto di riferimento politico di quella esperienza amministrativa. Con Veltroni sindaco si è dedicato alla costruzione dell’Auditorium e alla Festa del cinema.
Nel 2008 quella esperienza delle giunte di centrosinistra si è interrotta anche se il Pd ha ottenuto il 41 per cento e oltre 600mila dei voti a Roma, un record assoluto, con Veltroni nella veste di candidato premier del centrosinistra e di sindaco uscente, a conferma del giudizio popolare positivo sul suo operato da sindaco. Stava tuttavia iniziando l’epoca del populismo e della disintermediazione, allora colorata di nero, che ha portato Gianni Alemanno alla carica di sindaco.
L’arrivo della destra
Alemanno, anche suo malgrado, ha insediato in Campidoglio un direttorio di correnti di partito di Alleanza nazionale che in breve divenne la ragione della sua crisi politica e del proliferare di nuovi comitati d’affari.
Nel Pd romano, nato da poco, si è aperta una discussione e un’aspra battaglia interna tra chi riteneva che l’opposizione ad Alemanno non dovesse essere “frontista” ma trattativista e istituzionale, mirante a strappare spazi di potere per l’opposizione; e chi riteneva che alla battaglia consiliare si dovesse accompagnare una forte iniziativa di massa ed un netto “no” a ogni deriva consociativa.
Paradossalmente sono stati proprio alcuni dei dirigenti politici più giovani e formatisi nelle seconde linee del “modello romano” i fautori della linea “consociativa”, i quali rivendicavano il loro protagonismo e una rottura coi gruppi dirigenti della stagione precedente i quali invece (Bettini, il sottoscritto e altri) si collocavano su una linea di netta e radicale opposizione.
Quando Carlo Calenda parla di Roma dovrebbe avere l’umiltà di farsi raccontare la storia recente. In quegli anni non so cosa facesse Calenda, noi eravamo a Roma a combattere Alemanno, battagliando anche dentro il Pd.
Il sindaco marziano
Poi c’è stata l’esperienza di Ignazio Marino: si è posto come un “marziano”, un alieno rispetto alla politica. Ma aveva di fronte un Pd egemonizzato da una componente consociativa. Il conflitto tra queste due estreme tendenze è stato letale e si è risolto nella grottesca commedia o tragedia del notaio. Sono testimone diretto che Bettini, che certo è stato uno degli inventori della sua candidatura, non è stato poi mai concretamente coinvolto, come molti di noi, dalle scelte di Marino.
Nel 2013 tutti aspettavano la candidatura di Nicola Zingaretti che poi, come poche settimane fa, non si è materializzata per improvvise e oggettive circostanze politiche. Marino, che ha ottenuto peraltro un alto consenso nel voto, è stato quindi frutto di una fase molto complicata ed è arrivato senza un’adeguata preparazione politica della coalizione.
Oggi Roberto Gualtieri fa bene a ricordare criticamente la vicenda delle dimissioni dal notaio propugnate da Matteo Renzi. Sono dichiarazioni che mi sarei atteso Marino apprezzasse.
Allora siamo stati in pochi a dire che quella scelta era assurda e a dire che Marino non aveva saputo o voluto farsi carico di fare politica ma era rimasto abbarbicato a uno stigma, il marziano, che lo rendeva astratto e a volte solitario. Tutto questo ha contribuito non poco all’avvento di Virginia Raggi.
Idee per la rinascita
Adesso inizia una nuova stagione. La rinascita di Roma si gioca su tre linee. Una proposta di riforma della “governance” metropolitana che conferisca strumenti e mezzi adeguati per una transizione eco-digitale con un carattere sociale e democratico, non autoritario e non di classe. Un programma per la stessa transizione eco-digitale che metta al centro un modello di gestione dei rifiuti, di trasporto pubblico e di rigenerazione urbana, umano e sostenibile. Uno schieramento riformista che promuova una classe dirigente ampia, non raccolta solo dalle correnti interne. Un’estetica nuova dello stesso Pd, con una lista “democratica” (coi migliori) e per metà civica (con i più radicati e rappresentativi esponenti di un mondo democratico vasto ma esterno al Pd attuale). Solo unendo questi ingredienti si potrà aprire una fase nuova davvero e superare le incrostazioni del passato recente.
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