Thomas Jolly, 42 anni, francese di Rouen, è il direttore artistico della cerimonia di venerdì. Il suo orologio sarà puntato sul 26 luglio ormai da un po’ di tempo, la data della cerimonia inaugurale delle Olimpiadi di Parigi. Che emozione ha provato quando ha saputo che avrebbe diretto la cerimonia di apertura e di chiusura?

Devo ammettere che è una storia davvero folle perché non mi aspettavo nulla di tutto ciò. L'organizzazione di Parigi 2024 ha dichiarato alla stampa che la cerimonia si sarebbe tenuta sulla Senna nel novembre 2021. Allo stesso tempo, il giornale sportivo francese L'Équipe ha intervistato più artisti sul significato e le idee che la cerimonia olimpica aveva per loro. Sono stato consultato, con mia grande sorpresa. Ho detto molto spontaneamente quello che mi sentivo di dire. Ed è stato proprio grazie a questo articolo che l'organizzazione di Parigi 2024 mi ha chiamato per fissare un incontro. Ne sono poi seguiti di ulteriori, incentrati sulla possibile ricerca di artisti per riflettere sulla cerimonia. Finché finalmente nel settembre 2022 mi hanno comunicato che mi volevano come direttore artistico. Ho provato un'immensa gioia. È davvero un grande onore e privilegio essere alla direzione artistica di queste 4 cerimonie. Infatti ci saranno l'apertura e la chiusura olimpica, più le due paralimpiche. Dunque, è un'immensa responsabilità. Ho messo in pausa tutta la mia vita, ho annullato dei progetti. Ho dato le dimissioni come direttore del teatro di Angers. Ho assunto l'incarico di direttore artistico nel dicembre 2022. Un immenso privilegio.

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Per la prima volta la cerimonia si terrà fuori da uno stadio. Come le è venuta l'idea di allestirla lungo la Senna?

Credo che sia un'idea eccellente. Non è stata mia, perciò posso dirlo. Trovo meraviglioso il fatto di poter aprire la cerimonia a beneficio di tutti gli spettatori e le spettatrici. E di rendere Parigi la scena di questa cerimonia. È stata concepita lavorando con i monumenti della città. Se l’avessimo fatta dentro uno stadio avremmo potuto accogliere tra le 60.000 e le 80.000 persone. Lungo la Senna esiste l'opportunità di avere 100.000 spettatori paganti e altre centinaia di migliaia di biglietti gratuiti: devo ringraziare Thierry Reboul per l’idea. Riuscite ad immaginare 100.000 persone che assistono allo stesso evento insieme? Credo sia una cosa fantastica. La seconda cosa incredibile è la scenografia. Non ho bisogno di costruirne una. È la città di Parigi, e che scenografia. Come Roma e Firenze che sono città splendide. Parigi lo è anche per la sua storia, per la Senna e i monumenti. Si può investire artisticamente sulle finestre, sui tetti. L'arrivo delle delegazioni in barca sarà come una grande armata, una sfilata, un ponte che entrerà e attraverserà la città. Sarà una sfida, certo. Credo che sarà innanzitutto un'occasione di condivisione. Sarà davvero affascinante se il tempo sarà bello. Ma anche se sarà brutto, sarà unica.

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Il nostro Festival a Castelfranco Emilia parla di Sfide, dentro e fuori lo sport, lei come ha preparato la sua? Quanto tempo fa ha iniziato? Da chi è stato affiancato?

Dormire è la prima cosa da fare. Dormire e riposare per recuperare energie e avere il supporto di chi ti circonda. Questa è sempre stata la mia idea, anche quando ho dovuto dirigere progetti più piccoli, all'opera e così via. Per me è importante avere una buona squadra. Sono il direttore artistico della cerimonia ma non vuol dire che sarò solo io a mettere in scena tutte le cerimonie. Devo fare affidamento su altri talenti, altri artisti. È una grande collaborazione fra persone di talento, per mostrare la diversità della creatività presente in Francia. È un lavoro che ti perseguita. Ecco perché è importante dormire. Perché anche quando dormi, puoi fare dei sogni o degli incubi. È un lavoro totalizzante, quotidiano, 24 ore su 24, 7 giorni su 7. La mia dedizione è stata totale. Mi penso come uno sportivo che si prepara per una prova, per una volta sola, una giornata sola. Il mio caso è simile perché lo spettacolo sarà unico. Un giorno e basta. È allora che bisogna essere i migliori. Si possono stabilire molti ponti tra la cultura, gli artisti e gli sportivi. Per questo il vostro festival è molto interessante. Si possono stabilire molte occasioni di dialogo. La preparazione è più o meno la stessa per un artista, sia esso un attore come me, o per la cerimonia come in questo caso.

Nella sua carriera di regista teatrale ha mai incontrato qualche sconfitta? Ne ricorda una in particolare? È vero che sono il trampolino verso nuove vittorie?

Sì, è assolutamente vero. Mi ricordo di una mia opera che mi sono perso. Mi sono perso il mio spettacolo. È stato complicato vivere quel momento. È è stato doloroso ma è stato il mio battesimo del fuoco. Perché ora io e l'opera ci comprendiamo benissimo. La padroneggio, oggi ho il controllo completo. Quindi sì. I fallimenti capitano, specialmente quando si tratta di arte, le certezze non esistono. Mi piace il dubbio creativo e penso che il dubbio stesso sia creativo. Ma il fallimento è sempre dietro l’angolo. Se sappiamo come usarlo, io credo che i progressi siano più rapidi. Ma davvero non è facile vivere quei momenti.

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In una sua intervista lei dice che la cultura è uno strumento necessario per vivere insieme. Come si coniuga quest’idea con il mondo dello sport e in particolare con le Olimpiadi?

Nell'antichità cultura e sport sono stati gli elementi fondatori e unificatori della città, secondo me non è una coincidenza. Si trattava di giochi teatrali e giochi sportivi. Ci sono stati giochi artistici e sportivi che hanno unito le persone. Penso che nel tempo molte cose siano cambiate. I Giochi olimpici sono scomparsi e poi riapparsi in epoca moderna. Il teatro non è mai scomparso, ha assunto forme diverse ma è sempre stato presente. Penso che avvenga anche al giorno d'oggi, è qualcosa che si trova al centro di ciò che ci rende cittadini e cittadine. Le persone hanno voglia di vivere insieme delle emozioni o delle storie perché l'empatia fa parte delle caratteristiche principali della nostra specie. Gli sportivi, come gli artisti, ci permettono di generarne. Lo sport ha dei vantaggi perché ha più sponsor, ha un'economia e un'industria dietro di sé. Accade meno per la parte artistica, ma l’importante è che al cuore di queste due attività ci sia la nostra caratteristica di raccontare storie e di sperimentare emozioni condivise. Sono convinto che la cultura permetta al nostro pensiero di non cessare, ma di continuare a circolare, ad agitarsi. Perché il mondo è complicato, perché stare insieme è complicato. Perché non è immediato mettere in discussione noi stessi per essere in comune. La democrazia non può essere data per scontata, Stare insieme, la pace, non sono cose ovvie. Richiedono un lavoro mentale. La cultura per me è questo. Anche lo sport serve per farci incontrare e unirci. Ancora una volta ci sono molti punti in comune. Quindi questa cerimonia olimpica ha un bellissimo messaggio. I paesi interrompevano la guerra per fare i Giochi olimpici. Era l'intenzione originaria. I guerrieri potevano fermarsi e comunque competere l'uno contro l'altro. In antichità i Giochi venivano anche indetti per scongiurare un'epidemia. È sorprendente vedere come i Giochi siano nati nella pace, dalla voglia di guarire la società. E penso che sia ancora vero oggi.

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Lei non puoi darci anticipazioni sulla cerimonia, ma ce la descrive con 3 aggettivi?

Direi... politica, allegra, festosa, e audace. O originale. Non lo so, è difficile. Vi spiego cosa intendo. Per la prima volta la cerimonia esce dagli stadi e si trova in una nuova cornice, allora ho chiesto e ho avuto il permesso di sconvolgere la struttura stessa dell’evento. Normalmente c'è una parte artistica, una parte dedicata alla parata delle delegazioni, infine tutti gli elementi del protocollo, come i discorsi e così via. Ho chiesto che i tre elementi venissero mescolati e fusi per creare qualcosa di nuovo. Sarà una cerimonia dinamica. Quindi sarà audace e originale perché ho deciso di cambiare sia il luogo sia la struttura dell'evento. Ma direi anche politica, allegra, festosa, audace e originale. Non sono tre, ma cinque.


(Questa intervista è nata dalla partecipazione di Thomas Jolly al Festival della Sconfitta di Castelfranco Emilia)

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