- I professionisti della salute mentale possono aiutarci a trovare un modo di convivere con questo «ospite indesiderato».
- Ma un quarto degli italiani che vorrebbe sostegno psicologico non può permetterselo e la politica esita a intervenire per aiutarli.
- Seppur non risolutivo è stata una beffa ed un’occasione mancata non approvare il bonus psicologo. Il segno che non è vero che è andato tutto bene.
Tornare al via. La carta imprevista che nessuno vorrebbe pescare dal mazzo o la casella da cui nessuno vorrebbe passare come in tanti giochi di società: dal Gioco dell’Oca al Monopoli. Tornare al via però è anche la sensazione più diffusa in queste settimane, all’alba del terzo anno di pandemia di Covid-19, dopo anni che hanno messo a dura prova la nostra capacità di adattamento e sopportazione.
Abbiamo avuto paura, tanta, durante quella che chiamavamo fase uno. Poi, nella fase due abbiamo avuto l’impressione di essere usciti dalla tempesta, che ce l’avevamo fatta, investendo psichicamente in maniera messianica sui vaccini grazie ai quali stiamo comunque evitando le forme più gravi di malattia.
Non-ritorno alla normalità
Invece, rieccoci ancora qui confusi, stanchi e arrabbiati, tutti a guardarci intorno con sospetto, con ansia, cercando di allontanare quella voce di sottofondo che mette più che mai in dubbio il ritorno alla nostra vita di prima. Mentre sto scrivendo la nebbia persistente di queste settimane nella prima zona rossa lodigiana dove tutto ha avuto inizio per l’Italia e l’Occidente, sembra prendersi gioco di noi ricordandoci che l’uscita definitiva dalla pandemia non è all’orizzonte.
«Dobbiamo abituarci a convivere forzatamente con un ospite scomodo e non ben accetto». Sono le parole, e l’insegnamento, di alcuni dei pazienti che quotidianamente incontro come psicologo all’interno del Dipartimento oncologico e di cure palliative dell’Asst di Lodi, e nessuno meglio di loro sa cosa vuol dire convivere con un ospite maligno.
Chi fa esperienza di un trauma come la malattia oncologica spesso mette in atto meccanismi di fuga: «È impossibile, non è vero, non sta accadendo a me». Queste modalità difensive, se non elaborate, possono dare vita a processi psichici disfunzionali come il pensiero paranoide, mettendo in dubbio la realtà ed andando rabbiosamente alla ricerca di un colpevole da attaccare (le istituzioni, i virologi, la comunità scientifica, Big Pharma, peccetera) soprattutto da parte di coloro che sostengono una posizione no-vax.
I dati di questa quarta ondata che derivano dall’elevatissimo numero di tamponi, oltre ad essere testimonianza dell’efficacia dei vaccini nel proteggerci dall’evoluzione mortale della malattia, ci dicono due cose. La prima è che dobbiamo abituarci ad una nuova postura mentale contemplando la possibilità di contagiarci senza che questo causi gravi rischi per la nostra salute.
Solo attraverso questo atteggiamento psichico possiamo tornare con fiducia e speranza alle relazioni, alla socialità, alla vita. La seconda riguarda proprio la miriade di tamponi richiesti da persone che non hanno alcun sintomo e nessuna indicazione clinica tale per cui è necessario effettuare un tampone e che – come testimoniano centinaia di farmacisti e infermieri – arrivano in preda all’ansia e all’angoscia.
Richieste d’aiuto, inascoltate
Ora, anche la complessità di queste situazioni, sono la fotografia di una pandemia di psicopatologie e sofferenze psichiche largamente diffuse tra giovani e famiglie con cui faremo i conti anche quando il Covid sarà diventato endemico. Depressione, disturbi d’ansia, disturbi alimentari, tentativi di suicidio.
A chiedere aiuto, adesso, sono soprattutto gli adolescenti, ma anche la fascia 18-35 dove la richiesta è aumentata del 100 per cento. Davanti a un’ondata dall’impatto devastante, le richieste di aiuto sono aumentate del 40 per cento, ma in molti non hanno potuto curarsi.
Secondo le stime del Consiglio nazionale degli psicologi, c’è un 27 per cento degli italiani – tra quelli che vorrebbero intraprendere un percorso psicoterapeutico – che finora non ha mai avuto le possibilità economiche per cominciarlo. E c’è un 21 per cento che quel percorso lo aveva già intrapreso, ma ha dovuto rinunciarci per colpa della crisi.
La risposta pubblica non è sufficiente. L’Italia ha circa cinquemila psicologi dipendenti del Sistema sanitario nazionale, quasi un terzo rispetto all’organico medio degli altri paesi dell’Unione europea. Il governo ha avviato un piano di assunzioni straordinarie che però sconta ancora una volta la burocratica lentezza della pubblica amministrazione. Anche per questo molti sono costretti a rivolgersi ai terapeuti che fanno libera professione.
In questi due anni ci sono stati una pioggia di benefici economici quasi per tutto. Dal bonus bici e monopattini al super bonus edilizio, dal bonus terme alle agevolazioni per vacanze e occhiali da vista. All’ultimo minuto, nella legge di bilancio, è saltato l’emendamento alla manovra che prevedeva un bonus per la terapia psicologica. Seppur non risolutivo è stata una beffa ed un’occasione mancata per dare un segno importante e potente. Il segno che non è vero che è andato tutto bene. Avremmo posto l’attenzione su un problema reale e preso in mano una questione che vediamo farsi sempre più urgente.
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