- Il problema dell’accesso ai vaccini dei paesi poveri dovrebbe essere affrontato il 18 marzo prossimo nel terzo incontro del Framework Working Group del G20 a presidenza italiana. Ed è un problema molto serio.
- Lasciare l’Africa senza vaccini per un tempo più o meno lungo, equivale a rendere elevatissimo il rischio che si sviluppino varianti del virus resistenti ai vaccini sviluppati nei paesi ricchi.
- La migliore soluzione anche per contrastare il tentativo di utilizzare i vaccini come strumento di geopolitica, talvolta mascherata come azione filantropica, è quella coordinata e cooperativa.
Mentre continuano le discussioni sul ‘nazionalismo vaccinale’, con le sue buone o cattive ragioni, è bene ricordare che non potrà esservi soluzione alla pandemia se i paesi più poveri non saranno coinvolti in una strategia di vaccinazione su scala globale. Questo problema dovrebbe essere affrontato il 18 marzo prossimo nel terzo incontro del Framework Working Group del G20 a presidenza italiana. Ed è un problema molto serio.
Il mondo non sarà salvo se i paesi poveri e l’Africa in particolare non saranno salvi anzitutto perché, come apprendiamo dagli scienziati, in popolazioni non protette il virus si riproduce molto velocemente, nel giro di poche ore se non di minuti. A ogni riproduzione il virus può mutare, mettendo a rischio l’efficacia dei vaccini somministrati. Lasciare l’Africa senza vaccini per un tempo più o meno lungo, equivale a rendere elevatissimo questo rischio, dal quale, vista la facilità di movimento tra continenti, non saranno al riparo neanche i paesi più ricchi.
Una questione di convenienza
Non vi sono, però, soltanto i rischi per la salute. Attraverso vari canali, a iniziare dalle catene globali del valore, possono esservi costi economici rilevantissimi per il mondo occidentale. Tra i numerosi studi, citeremo quello, recente, del Cepr da cui risulta che sui paesi più ricchi si scaricherebbe il 49 per cento della riduzione di Pil mondiale, con un costo oscillante tra 0,2 e 2,6 trilioni di dollari, a seconda degli effetti sulle catene globali del valore. L’entità di queste cifre è tale che sarà facilmente conveniente anche la più costosa delle attività di prevenzione, fino a 10 o 100 volte!
Ciò non vuol dire che occorre dare priorità ai paesi più poveri nella vaccinazione o che siano sicuramente sbagliate le idee – e le iniziative – di coloro che, in vari ruoli, si oppongono oggi all’esportazione di vaccini al di fuori dell’Europa. Vuole, però, dire che è necessario elaborare un piano che preveda soluzioni appropriate per questo problema. Tali soluzioni, come sempre quando vi è una forte interdipendenza nei destini dei soggetti coinvolti, dovrebbero essere fortemente cooperative.
In realtà nel pieno dei lockdown, ad aprile scorso, un tentativo di coordinamento mondiale fu effettuato. L’iniziativa ACT-Accelerator si proponeva di migliorare le strutture sanitarie nei paesi più poveri e, al suo interno, l’iniziativa multilaterale COVAX-AMC ambiva a coordinare la vaccinazione in 92 paesi a reddito medio e basso, assicurando la copertura del 20 per cento circa della popolazione.
Queste iniziative hanno incontrato numerosi problemi, ad iniziare dal fatto che i paesi avanzati hanno fatto mancare i finanziamenti promessi e più in generale, hanno seguito logiche di promozione degli interessi nazionali, talvolta malintesi. Una delle radici di queste negative tendenze è l’ormai ben nota insufficienza della produzione di vaccini, che favorisce la corsa al loro accaparramento il cui esito più probabile è l’accrescimento delle rendite dei possessori dei brevetti.
Le criticità dell’attuale regime dei diritti di proprietà intellettuale sono state sottolineate da molti ma, come giustamente ha scritto su Domani Ugo Pagano, il problema è più generale perché riguarda la condivisione della conoscenza. In ogni caso, oggi è necessario accrescere rapidamente la produzione di vaccini e, vista la situazione di stallo in cui, anche dopo la riunione dell’11 marzo, si trova il Wto rispetto alla richiesta – originariamente avanzata da India e Sud Africa – di sospendere la protezione dei brevetti, occorre farlo nell’attuale regime di diritti di proprietà intellettuale.
La produzione di vaccini è molto complessa e per incentivarla l’analisi economica ha individuato due politiche, entrambe caratterizzate dall’assunzione di rischi: prenotare dosi in eccesso come nel caso del vaccino contro lo pneumococco nel 2007 (pull funding), ovvero finanziare ingenti investimenti in ricerca e in impianti (push funding). Stati Uniti e Regno Unito hanno seguito entrambe le strade, rispettivamente con Johnson & Johnson e Oxford-AstraZeneca. Ma questo non è stato sufficiente e ora la strada maestra appare quella degli accordi tra case farmaceutiche, coinvolgendo soprattutto quelle che hanno già effettuato investimenti ad hoc, magari per vaccini che non sono andati a buon fine. Il ruolo dei governi resta centrale sia per facilitare l’adeguamento degli impianti sia per cercare di evitare l’abuso di posizioni dominanti che in questi casi costituisce un serio pericolo. L’accordo tra Merck e Johnson & Johnson del 2 marzo scorso con la supervisione dell’amministrazione Usa è un esempio di questa strategia, anche se la limitata trasparenza che avvolge accordi come questo rende difficile individuare chi si appropria delle rendite che si generano in questa situazione di posizione di sostanziale monopolio.
Cinque volte tanto
Accrescere la produzione è certamente il primo impescindibile passo. Ma occorre anche stabilire a che ritmi e in che misura i vaccini dovranno affluire ai paesi più poveri e soprattutto attraverso quali canali, quando la produzione sarà in grado di soddisfare le ordinazioni già in essere. Si può ricordare che paesi come il Canada possono vaccinare cinque volte la loro popolazione con i quantitativi prenotati.
La migliore soluzione anche per contrastare il tentativo di utilizzare i vaccini come strumento di geopolitica, talvolta mascherata come azione filantropica, è quella coordinata e cooperativa. A gestirla potrebbe essere un soggetto come COVAX, che acquisti i vaccini e poi li allochi ai paesi poveri secondo un programma e in base a priorità eticamente accettabili (ad esempio, il criterio della popolazione) e attuabili, avendo concordato la ripartizione dei costi.
Ma ancora prima e più urgentemente, il piano dovrebbe considerare la necessità di dotare quei paesi delle strutture necessarie per somministrare i vaccini, ad esempio attraverso l’ACT-Accelerator, per non trovarsi con fiale non inoculabili.
Dunque, le difficoltà non mancano, ma affrontarle e superarle è una drammatica necessità, La speranza è che dall’incontro del G20 del 18 marzo arrivi qualche segnale incoraggiante.
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