- Per riformare il sistema, bisogna escludere dal settore le aziende private che perseguono il profitto. Il settore dovrebbe essere riservato all’operatore pubblico o al privato sociale (terzo settore, aziende benefits, fondazioni).
- Le Rsa devono essere collocate nel comune di residenza degli anziani. Occorre una rivoluzione umana: case di riposo comunali dove anche la popolazione, gli amici, i vicini, oltre alla famiglia, possano accedere.
- Va riformato anche il lavoro: per risparmiare sui costi è costume delle Rsa utilizzare cooperative di lavoro, composte in larga misura da persone immigrate, pagate anche solo tre euro all’ora.
Fra gli effetti più tristi e incresciosi della pandemia va indubbiamente annoverato l’elevato numero di vittime nelle residenze per gli anziani, le Rsa, che sono così balzate sventuratamente agli onori della cronaca.
I fatti sono stati talmente gravi da provocare una reazione indignata, che è giunta a chiederne la chiusura; affermazione perentoria da non prendere alla lettera, ma da tradursi in un risoluto impegno ad evitare ogni ricovero che non sia assolutamente indispensabile, rafforzando a questo scopo sia l’assistenza domiciliare, sia le possibili soluzioni alternative. Questa riforma dovrebbe realizzarsi sulla base di quattro principi fondamentali.
Primo. Escludere dal settore le aziende private che perseguono il profitto. Il settore dovrebbe essere riservato all’operatore pubblico o al privato sociale (terzo settore, aziende benefits, fondazioni). Poiché oggi è presente una discreta quota di aziende private for profit, questo principio andrà realizzato nel tempo, iniziando a non concedere più concessioni ai privati e avviando un graduale processo di riconversione. Lo scopo di questa proposta è iniziare a dar vita ad una vera e propria “Seconda Economia” in un campo che per sua natura dovrebbe escludere una logica economicistica e dove invece dovrebbe prevalere una dimensione di attenzione alla persona, dunque un’economia al servizio dell’uomo.
Secondo. Le Rsa oggi sono molto costose. A Milano mediamente il ricovero di un anziano costa alla famiglia almeno 2.000 euro. Una certa quota, la parte sanitaria, è a carico del fondo regionale che in Lombardia contribuisce attualmente per il 40% del costo totale. I sindacati tanto a livello regionale che nazionale chiedono un intervento statale più massiccio o perlomeno un contributo maggiore.
Si tratta, evidentemente, di cifre significative. Per questo andrebbe realizzato un grande fondo mutualistico regionale, per il quale chiedere il concorso di tutti i cittadini dai 18 ai 65 anni; il versamento di una quota annua di 200/300 euro a persona sarebbe sufficiente per coprire le spese di ricovero per tutti i casi indispensabili.
Si potrebbe iniziare coi fondi contrattuali già in essere e con una campagna di adesioni volontarie. Poi man mano si completerà il sistema. Il mutualismo, a differenza delle tasse pubbliche, è un onere connesso a uno scopo preciso controllabile e prevede la gestione degli interessati.
Il personale
Terzo. Le Rsa devono essere collocate nel comune di residenza degli anziani. A Milano, per fare un esempio, succede a volte che alcuni anziani siano inseriti in strutture a 30 o 40 chilometri di distanza (nel pavese o nel cremonese) perché le rette sono inferiori. Ma in questo modo si allontana l’anziano dalla sua comunità. Invece l’anziano è membro tanto della sua famiglia quanto della comunità di residenza.
Il Pio Albergo Trivulzio, la tradizionale casa milanese per gli anziani, alla sua fondazione era collocata al centro di Milano e così l’Ospedale Maggiore, la Ca’ Granda (che in pratica era l’Ospizio dei poveri). Questo per dire l’attenzione che la città aveva nei confronti delle sue persone bisognose. Ora invece si mettono in posti lontani, possibilmente poco visibili, in modo che non siano di peso. Occorre una rivoluzione umana: case di riposo comunali dove anche la popolazione, gli amici, i vicini, oltre alla famiglia, possano accedere e visitare gli anziani, mantenendo rapporti con loro.
Quarto. Da ultimo una grande riforma deve riguardare anche il personale. Per risparmiare sui costi è costume delle Rsa utilizzare cooperative di lavoro, composte in larga misura da persone immigrate. Conosco delle situazioni di Rsa dove questi immigrati vengono pagati tre euro all’ora. E soprattutto gli si chiede esclusivamente il lavoro “fisico”, quasi che le Rsa fossero una fabbrica produttiva. Il lavoro in una casa di riposo è certamente anche un lavoro materiale, ma è innanzitutto lavoro con le persone, lavoro che ha una dimensione relazionale, affettiva, di attenzione essenziale: è la parte più rilevante del lavoro.
So che si tratta di proposte radicali che richiedono un impegno di molti e un cambiamento generale di mentalità. Ma pensiamo che le cose debbano rimanere sempre uguali? Non crediamo che sia ora di occuparsi seriamente degli anziani che crescono continuamente di numero esprimendo bisogni che spesso non trovano risposta o solo risposte miserrime?
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