Benché si tratti di semplici comunicati stampa – gli atti ufficiali sono secretati per ragioni di sicurezza – quelli della Corte penale internazionale lasciano intravedere un quadro probatorio di grande rilevanza. Come dimostrano le precedenti incriminazioni internazionali dei più alti livelli politici: sarà un cammino lungo e incidentato ma la strada appare segnata
Ci sono fondati motivi per ritenere che non sia possibile individuare alcuna chiara necessità militare o altra giustificazione» per le restrizioni poste all’accesso delle operazioni di soccorso. Appaiono ineccepibili le dichiarazioni che accompagnano la decisione della Camera preliminare della Corte penale internazionale di accettare la richiesta del procuratore della scorsa primavera e di emettere dei mandati di arresto con riferimento alla situazione palestinese.
Benché si tratti di semplici comunicati stampa – gli atti ufficiali sono secretati per ragioni di sicurezza – essi lasciano intravedere un quadro probatorio di grande rilevanza. Ma procediamo con ordine.
Il 20 maggio scorso il procuratore Khan aveva reso irritualmente pubblica la richiesta di cinque mandati di arresto nei confronti di tre leader palestinesi (Sinwar, Haniye e Al-Masri, rispettivamente: vertici politici di Hamas e comandante delle Brigade di Al-Qassam) e di due leader israeliani (Netanyahu e Gallant, rispettivamente premier israeliano ed ex ministro della Difesa).
L’irritualità era dovuta al fatto stesso di rendere nota la richiesta prima della relativa approvazione da parte dei giudici, ma la scelta era presumibilmente giustificata da una strategia di più ampia portata volta a contenere la drammatica escalation del conflitto in corso. Sullo sfondo della sostanziale perduranza, da un lato, della crisi degli ostaggi catturati il 7 ottobre, dall’altro, dell’offensiva militare e dei suoi drammatici effetti della popolazione civile a Gaza, la Camera preliminare ha emesso, il 21 novembre 2024, tre dei cinque mandati di arresto richiesti, specificamente nei confronti di Netanyahu, di Gallant e di Al-Masri, dal momento che di Sinwar e di Haniye era stato frattanto accertato il decesso.
Il provvedimento non era scontato, soprattutto perché nelle settimane seguenti l’annuncio del procuratore erano giunte, dinanzi alla Corte, un numero eccezionale di richieste interlocutorie, da parte di Stati, organizzazioni non governative, esperti indipendenti, e diverse tra esse peroravano il difetto giurisdizionale della Corte. I giudici della Camera preliminare, con due circostanziate decisioni che accompagnano l’emissione dei mandati, sgomberano chiaramente il campo da tali obiezioni, rammentando che sebbene Israele non compaia tra i 124 Stati che hanno ratificato lo Statuto della Corte internazionale, la Palestina ha provveduto in tal senso, e i crimini oggetto di indagini sono stati presuntivamente compiuti da cittadini dello Stato palestinese (con riferimento agli attacchi del 7 ottobre) oppure sul territorio riferibile a quest’ultimo (con riferimento alla reazione israeliana), e che il c.d. «criterio della territorialità» e quello della c.d. «nazionalità dell’accusato» sono indiscutibilmente riconosciuti come legittimi tanto dal diritto internazionale generale quanto dallo Statuto istitutivo della Corte.
Premesse tali specificazioni, doverose per separare la correttezza del discorso giuridico dal libero mercato delle opinioni politiche, è opportuno osservare più da vicino le accuse contestate, pur nella consapevolezza che se ne potrebbero aggiungere di ulteriori, come dimostra il caso del mandato nei confronti di Putin e della commissaria dei diritti dei fanciulli, cui hanno fatto seguito altri quattro mandati di arresto nei confronti dei più alti vertici militari russi.
Le accuse riferibili al comandante delle Brigade di Al-Qassam, Al-Masri fanno riferimento a numerose condotte che includono gli omicidi compiuti nel quadro degli attacchi generali e sistematici compiuti il 7 ottobre 2023 nei confronti della popolazione civile israeliana (qualificabili come crimini contro l’umanità), la prese di ostaggi (qualificabili come crimini di guerra), e gli stupri e le altre sevizie compiute nei confronti di questi ultimi (qualificabili tanto come crimini contro l’umanità quanto come crimini di guerra).
Anche le accuse riferibili Netanyahu e Gallant sono rubricate come crimini contro l’umanità e crimini di guerra, ma qui le condotte prese in considerazione si riferiscono a situazioni differenti. Esse comprendono, tra le altre, le politiche volte alla privazione sistematica dei beni necessari alla vita della popolazione civile a Gaza, quali il cibo, l’acqua, le medicine e l’elettricità (qualificabili come crimini di guerra) e ancora gli omicidi, gli atti di persecuzione, e gli altri atti inumani condotti nel quadro di un attacco generale e sistematico contro la popolazione civile (qualificabili come crimini contro l’umanità).
Per determinare questi ultimi, in particolare, la Camera preliminare prende in esame numerosi fattori, quali ad esempio le grandi sofferenze causate dall’assenza di anestetici. La conclusione è quella che «le condizioni di vita calcolate per distruggere in parte la popolazione civile di Gaza, hanno determinato la morte di civili, inclusi bambini per malnutrizione e disidratazione».
Approvata la richiesta ed emessi i mandati, gli stessi sono obbligatori, e tutti i 124 Stati che hanno ratificato il Trattato sulla Corte – tra i quali l’Italia – sono obbligati a garantire l’attuazione.
Come dimostrano le precedenti incriminazioni internazionali dei più alti livelli politici: sarà un cammino lungo e incidentato – persino Milosevic venne catturato ed estradato due anni dopo il mandato di arresto, e dietro al Tribunale per la ex Iugoslavia c’era addirittura il Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite – ma la strada appare segnata.
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