Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti


La riapertura delle indagini per la strage del 2 agosto, le "nuove prove" che alcuni hanno guardato senza vedere, trova giustificazione nella riscoperta di un documento, poi significativamente denominato "appunto Bologna" o anche "documento Bologna" (d’ora in poi, denominazioni equivalenti).

Un documento a suo tempo sequestrato a Licio Gelli il 13 settembre 1982 all’atto del suo arresto a Ginevra, contenuto nel portafoglio del "Venerabile". Mal riprodotto nella relazione del 1987 della Guardia di Finanza di Milano, indirizzata ai giudici Pizzi e Bricchetti che indagavano sulla bancarotta del banco Ambrosiano; è fotocopiato fronte/retro su un solo lato nel testo integrale, facendosene perdere la peculiarità che sarà trascurata e abbandonata: l’intestazione alla città di Bologna. L’intestazione significa che tutto ciò che è contenuto nel documento riguarda Bologna.

Cosa di così importante per Gelli nel 1981, quando il documento fu compilato, poteva riguardare la città di Bologna, se non la strage avvenuta un anno prima? Con ragionamento a contrario nient’altro può connettere un luogo, un territorio, rispetto al quale Gelli non ha specifici interessi, con flussi finanziari di un certo tipo.

A fianco del nome, il numero di un conto corrente e denari certamente pagati a personaggi che alla strage potevano certamente essere abbinati. E comunque la denominazione geografica, affiancata a una certa contabilità, ai motivi dei movimenti, ai titoli delle cifre, ai nomi dei titolari dei conti, alla provenienza dei fondi, nel gioco logico dei riferimenti, ha una sola ragionevole soluzione: la strage del 2 agosto.

La Relazione della Guardia di Finanza consegnata ai giudici istruttori milanesi nel 1987 svolge considerazioni sui flussi finanziari contenuti all’interno, ma per ciò che concerne l’intestazione si limita a dire: a. L’intestazione del documento è: Bologna - 525779 - X.S.

Al riguardo è da rilevare che: il nr. 525779 - X.S. corrisponde a quello di un conto corrente acceso, presso la U.B.S. di Ginevra, da Licio Gelli; all’indicativo "Bologna", non si riesce allo stato a dare un significato ben preciso. Sorprendente conclusione. A Bologna nello stesso periodo iniziava il processo per la strage del 2 agosto.

Era troppo perfino formulare un’ipotesi da consegnare a chi avrebbe potuto e dovuto coltivarla?

Il documento fu dunque esaminato dall’autorità giudiziaria milanese nell’ambito del procedimento relativo al crack del Banco Ambrosiano, con specifico riferimento ai reati di bancarotta per cui si procedeva nei confronti di Roberto Calvi ed altri, ma a nessuno venne in mente in quel momento che potesse assumere rilievo al di fuori di quell’ambito.

Per dare un "significato ben preciso all’indicativo Bologna", occorrerà attendere più di quarant’anni. Non solo.

È un fatto che, nonostante la sua intestazione, il documento non fu trasmesso ai magistrati che si occupavano delle indagini relative alla strage del 2 agosto 1980.

Il documento riemerse quando una sua copia venne esaminata dal giornalista americano Charles Raw, il quale stava raccogliendo documenti e materiale per scrivere un libro su Michele Sindona e il Banco Ambrosiano, che sarebbe stato poi stato pubblicato nel 1992 con il titolo "La Grande Truffa", edito da Mondadori.

Tale documento è stato poi "riesumato" molti anni dopo e messo a disposizione della Procura generale grazie all’interessamento dell’Associazione tra i famigliari delle Vittime e dei loro difensori, che a tale documento avevano fatto riferimento in memorie indirizzate alla Procura della Repubblica di Bologna. In seguito, la Procura Generale ha reperito l’originale del documento (cfr. il verbale di acquisizione in data 18.2.2019), che giaceva in sequestro in un portacarte sequestrato a Licio Gelli al momento del suo arresto, rinvenuto tra i corpi di reato custoditi presso l’Archivio di Stato di Milano.

Si è trattato di un momento centrale dell’indagine della Procura Generale e di un indiscutibile merito degli inquirenti, perché malgrado ve ne fossero un paio di trascrizioni, il documento in originale è il fondamento solido dal quale ha potuto dipanarsi l’indagine, senza altre incertezze.

Il "Documento" è stato analizzato dal Nucleo di Polizia Economico-Finanziaria della Guardia di Finanza di Bologna nel 2019, anche alla luce delle nuove acquisizioni probatorie conseguenti a richieste di assistenza giudiziaria inviate in Francia ed in Svizzera, nonché in base ad altri elementi acquisiti in corso di indagine. Il frutto di tale lavoro è confluito nell’informativa del 25.11.2019 del predetto Nucleo.

Alle risultanze di detto documento e alle indagini connesse, gli inquirenti si sono affidati per inferire la prova dell’esistenza di un consistente flusso di denaro, generato dalle consociate estere del Banco Ambrosiano, indirizzato da Licio Gelli su canali volti a finanziare l’operazione criminale.

Sul contenuto di questo documento e degli altri logicamente ad esso collegati, ha reso testimonianza il cap. Cataldo Sgarangella della G.d.F. di Bologna, il quale ha corredato le proprie dichiarazioni con una plastica illustrazione dei dati attraverso l’esibizione di schemi e grafici, […].

Il punto di partenza è la relazione del 15 luglio 987 che fu inviata ai giudici istruttori milanesi. Presenta la particolarità di essere il primo riscontro sulle carte sequestrate al Gelli che gli inquirenti fornirono ai magistrati che indagavano sull’Ambrosiano, a conferma dell’importanza che fu subito attribuita al documento, benché dall’inizio ne fosse stata trascurata l’indicazione fondamentale, consistente nell’intestazione al capoluogo emiliano.

L’indagine milanese aveva certi obiettivi, assai diversi da quelli perseguiti da chi indagava per la strage alla stazione, ma quell’esclusione programmatica del significato dell’intestazione non fu innocua anche rispetto a ciò che i milanesi cercavano.

Le finalità dell’indagine bolognese, sulla premessa che una distrazione c’era stata, punta a scoprire a chi e perché i soldi erano stati dati. Da qui la necessità di controllare ogni singola scrittura e documento abbinabile per stabilire da dove partiva e dove arrivava ogni singola somma. Ricostruire ex novo i flussi sulla base di ogni elemento documentale disponibile.

Dalla deposizione e dall’esame del documento è quindi emerso che dal Banco Ambrosiano Andino - istituto consociato estero del Banco Ambrosiano di Roberto Calvi – furono movimentati 20.000.000 di dollari americani (di seguito USD), inviati in Europa a partire dal 22 agosto 1980 e pervenuti in un istituto di credito svizzero (la U.B.S. di Ginevra).

Il "documento Bologna" attesta l’esistenza di un movimento di denaro derivante da quella provvista per complessivi 15.000.000 di USD, con un’operazione composita, che si è dipanata in tre tranches:

a) 9.600.000 di USD vennero fatti confluire, tra i primi giorni di settembre del 1980 e il 16 febbraio 198 I, su due conti correnti, denominati "Tortuga" e "Bukada", accesi presso la U.B.S. di Ginevra, formalmente intestati a Marco Ceruti;

b) 3.500.000 di USD furono incassati dal Gelli e dal suo socio Umberto Ortolani, a titolo di provvigione (l’operazione fu compiuta apparentemente a favore di Roberto Calvi);

c) 1.900.000 di USD furono trattenuti da Licio Gelli e depositati presso una filiale della U.B.S. di Ginevra sul c/c n. 525779 X.S., per recuperare le somme dallo stesso Gelli anticipate in epoca anteriore all’invio dei fondi dal Banco Ambrosiano Andino.

Giova osservare, quanto al punto sub a), che dalla lettura degli atti del procedimento relativo al crack del Banco Ambrosiano emerge come Marco Ceruti, un antiquario fiorentino in stretti rapporti con Gelli, figurasse quale prestanome e cassiere di Licio Gelli. Tale ruolo di cassiere è confermato dal contenuto dell’intercettazione ambientale di cui al prog. 79 del 15/02/2018, intercorsa tra la ex moglie, Piera Montelatici e il figlio, Gian Marco Ceruti. Quest’ultimo, ad un tratto, definiva significativamente il padre come "cassiere" di Licio Gelli; inoltre, nella conversazione si faceva cenno del fatto che Ceruti avesse derubato lo stesso Gelli, scappando con del denaro; ciò si era verificato dopo che era "scoppiata la bomba", espressione che deve ragionevolmente ritenersi riferita allo scandalo ingeneratosi dopo la perquisizione del 17.3.1981 nello stabilimento di Castiglion Fibocchi, nel corso della quale vennero rinvenute le liste degli iscritti alla Loggia massonica Propaganda 2.

Va detto che interrogato dalla Procura Generale di Bologna, prima di rendersi irreperibile, Ceruti è rimasto interdetto e incapace di dare spiegazioni di fronte alle parole del figlio e della ex moglie, che evidentemente hanno rivelato confidenze e informazioni ricevute dallo stesso Ceruti.

A conforto di tale conclusione deve richiamarsi anche la testimonianza resa da Michèle Agnolini, dipendente della banca U.B.S. di Ginevra, la quale è stata sentita mediante videoconferenza con la Svizzera all’udienza del 22.09.2021. [...] La testimone ha confermato che Marco Ceruti divenne cliente dell’istituto per cui ella lavorava a seguito della sua presentazione da parte di Licio Gelli; che i conti collegati intestati a Ceruti (denominati appunto "Tortuga" e "Bukada") vennero alimentati con fondi che provenivano da Gelli e vennero mantenuti soltanto per alcuni mesi; che, infine, Ceruti prelevò il denaro da quei conti quando seppe che erano state fatte delle domande su di lui. In sostanza quando si rese conto che stava venendo alla luce il suo ruolo di prestanome di Gelli rispetto a quei conti e che il denaro che vi era versato stava per essere sequestrato.

Quanto al punto c), la Guardia di Finanza ha accertato che il c/c n. 525779 X.S., indicato sul "documento Bologna", era collegato al c/c n. 525779.60R, sul quale venivano registrati gli investimenti in depositi fiduciari. Il conto n. 525779 X.S. era "ordinario" ed era quindi l’unico che veniva utilizzato per operazioni con l’esterno.

Va anche detto che la somma di 1.900.000 dollari costituì la risultante di due distinte operazioni: a) la prima in data 23.10.1980, mediante la quale Gelli indirizzò sul c/c 525779 X.S. l’importo di 2.400.000 di USD provenienti dal Banco Ambrosiano Andino; b) la seconda, eseguita in data 6.11.1980, con cui accreditò una parte di detta somma, pari a 500.000 USD, sul conto "Bukada" intestato a Marco Ceruti.

Dette operazioni sono state descritte dal teste Sgarangella [...]: All’udienza del 7.5.2021 il cap. Sgarangella ha illustrato il percorso dei predetti flussi di denaro con l’ausilio degli specchietti consultabili alle pagine 11 e 12 delle slides acquisite dalla Corte, cui si rimanda. È fatto giudizialmente accertato che per le operazioni di distrazione dei predetti fondi, Gelli, Ortolani e Ceruti siano stati condannati per concorso nel reato di bancarotta fraudolenta patrimoniale nel processo relativo al crack del Banco Ambrosiano.

Come osservato, in detto procedimento venne acquisita una fotocopia del "documento Bologna" (contenuta nel voi. 123, pagg. 165-166, del relativo procedimento).

Tuttavia, l’originale del documento acquisito presso l’archivio di Stato presenta caratteristiche diverse dalla fotocopia, in quanto è costituito da un foglio composto da quattro scomparti, piegato come se fosse un depliant, in cui nella facciata esterna spicca immediatamente la parola "Bologna", scritta a stampatello con lettere maiuscole, affiancata al numero di c/c "525779 X.S.".

Per contro, il documento in fotocopia che pervenne ai magistrati milanesi non contemplava la facciata contenente tale dicitura. Di fatto i magistrati milanesi non poterono cogliere l’importanza del documento, nel quale l’indicazione Bologna fungeva come titolo riassuntivo del contenuto dell’intero documento.

Viceversa, disponendo del documento nella sua conformazione originale, si comprende come il riferimento a "Bologna" e al numero del conto presente nell’intestazione della prima facciata suggerisca che i flussi finanziari interni sono tutti relativi ad eventi che riconducono a "Bologna", nome che campeggia nella prima facciata esterna del foglio piegato in formato depliant. Il nome della città emiliana non sta dentro una qualsiasi delle facciate come appare dalla relazione della Guardia di Finanza del 1987, ma è termine riassuntivo di tutti i contenuti del documento stesso.

All’epoca dei fatti Licio Gelli fu interrogato riguardo a tale documento e, mentre inizialmente si avvalse della facoltà di non rispondere (cfr. verbale di interrogatorio in data 19.02.1988, voi. 129, pag. 55), in un secondo momento riferì che si trattava di prestiti effettuati a favore di Marco Ceruti (interrogatorio del 2.5.1988, voi. 129, pagg. 430-431 ). Gelli in quel suo interrogatorio fu evidentemente reticente. Si consideri che quando gli fu presentato il documento per la prima volta, chiese un termine per riflettere; dopodiché, quando parlò, diede una risposta generica che avrebbe potuto dare già la prima volta, a conferma che sul significato del documento non volle chiarire nulla. Vedremo come questa reticenza sia stata negoziata con i massimi livelli del potere politico.

È evidente come la "spiegazione" non spieghi nulla, neppure sulla base della lettera del documento in cui vi è l’esplicita indicazione che una consistente parte della somma è assegnata a U. ed L., cioè ad Umberto e a Licio ed appare come una sorta di provvigione di 3.500.000 di USD percepita da Gelli e da Umberto Ortolani, mentre è indicato il successivo trasferimento di fondi da parte di Marco Ceruti a terzi soggetti, tale da indurre ad escludere in radice la causale del prestito.

Gelli non spiegò nemmeno il significato delle annotazioni "DIF. MI" e "DIF. Roma" contenute nel "documento Bologna"; infine, quanto al significato del nominativo di "ZAFF", cui era diretta secondo il documento la somma di 850.000 dollari, disse di non essere in grado di rispondere.

Marco Ceruti è stato localizzato negli USA, dopo ricerche accurate, ma è emerso che le sue condizioni di salute sono tali da non consentirgli di venire in Italia a rendere testimonianza, essendo affetto da demenza senile ( cfr. la certificazione medica acquisita di cui si dà atto all’udienza del 3.12.2021). Di conseguenza i verbali delle dichiarazioni da lui rese in data 13.2.2018 e 19.2.2018 alla Procura generale in sede di indagini avocate, sono stati acquisiti ai sensi dell’art. 512 c.p.p.

Ceruti smentì Gelli e giustificò dette erogazioni in modo diverso, ma pur sempre ugualmente inattendibile, dichiarando, contraddittoriamente, dapprima che le somme furono destinate ali’ acquisto di opere d’arte, poi ad una non meglio precisata attività e, infine, a transazioni relative a prodotti petroliferi. Si tratta di dichiarazioni palesemente non credibili, in quanto prive di qualsiasi riscontro nei documenti esaminati.

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