Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d'assise di Bologna che ha condannato all'ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti


È necessario ora approfondire pochi altri elementi su D'Amato, tratti dalla relazione scritta sulla quale non è stato approfondito il contraddittorio orale.

[…] L'analisi pone in premessa la nozione teorica di Stato profondo o doppio Stato, una categoria analitica che caratterizza gli Stati democratici, intesa tale nozione come la presenza di soggetti dell'apparato statale in grado di resistere all'autorità politica e di sostenere un proprio indirizzo politico divergente, in grado di modificare o deviare gli indirizzi dello Stato ufficiale. È una nozione che legittima indagini e ricerche che scrivono storie diverse da quella ufficiale, tacciate di "complottismo", spesso sgradite, ma per questo di obbligata verifica e riscontro, quantomeno in ambito giudiziario.

Scrive il consulente che "Federico Umberto D'Amato è stato uno dei personaggi di maggiore spicco del "Doppio Stato italiano". E, pertanto, sarà utile partire collocando il personaggio nel contesto del suo apparato, la polizia politica italiana.

Interessante segnalare che per il consulente Arturo Bocchini, già capo dell'Ovra, "fu sempre il modello, umano, prima ancora che professionale, di Federico Umberto D'Amato, oltre che di molti giovani commissari del tempo, anche se nessuno di essi, compreso D'Amato, raggiunse mai la classe del loro modello".

Per spiegare quale fosse l'ideologia e la concezione del partito comunista che si aveva nel ricostituito apparato di polizia politica che aveva assorbito in sé le tre divisioni dell'Ufficio Affari Generali e Riservati del vecchio regime, il consulente riporta un documento del SIS (Sevizi Informativi Speciali) risalente al 1946-4 7: « ... Il Pc, nella sua sostanza, se non nella sua apparenza, è un organismo rigorosamente militare per educazione, gerarchia, metodi ed armamento ... praticamente esso non è che un settore dell’Armata Rossa a disposizione dell'oligarchia sovietica... I suoi gruppi costituiscono bande armate ai sensi dell'art. 306 cp, ed i suoi gregari non sono semplici consociati politici, bensì soldati di specializzazioni varie e grado vario di istruzione ... un organismo di aggressione ai danni degli Stati ospitanti (e) alle dipendenze dello straniero».

È una visione che percorrerà i nostri apparati per tutti gli anni Sessanta e Settanta, a prescindere dalle diverse valutazioni del governo e della politica ufficiale, anche perché l'opinione era radicata tra gli alleati americani. Sta di fatto che nel 1950 con semplice circolare amministrativa del Ministro della difesa, Pacciardi, fu disposto l'impiego delle forze armate in servizio di ordine pubblico. E per poco non venne approvata una legge promossa dal Ministro Scelba per la costituzione di un servizio di difesa civile, che sarebbe stato utilizzato come forza di sostegno paramilitare nelle manifestazioni politiche e sindacali. «In questo quadro - scrive Giannuli - venne ricostituito l'Ufficio Affari Generali e riservati (Uaaggrr) poi sdoppiato (1949) fra Divisione Affari Generali -Daagg, competente per l'ordine pubblico e gli stranieri, e la Divisione Affari Riservati -Daarr con compiti esclusivi di raccolta informative, che di fatto assorbiva le competenze del Sis, ma con l'importante differenza che nella Daarr i funzionari erano in gran parte provenienti dall'Ovra».

Il Consulente fornisce informazioni dettagliate sulla riorganizzazione dei vertici degli Affari Riservati con uomini che avevano diretto la polizia fascista fino agli ultimi giorni di Salò.

La vicenda dell'affermazione dell'Uar come autentico servizio segreto civile su modello CIA è illustrata attraverso le figure degli uomini che vi lavorarono e vi si affermarono:  Domenico De Nozza, Walter Beneforti, Ilio Corti, Angelo Mangano.

L'esperienza che vi venne trasfusa fu quella della polizia del Territorio Libero di Trieste, territorio che fino al 1955 e quindi all'assegnazione provvisoria di Trieste all'Italia era stato luogo in cui si erano

incrociati e misurati i servizi segreti dei principali paesi dell'est e dell'ovest.

Fu il ministro Tambroni a promuovere la ristrutturazione. In un preoccupato documento del Sifar di Bologna del 1959, si legge che «i nuovi uffici avranno carattere del tutto occulto, saranno completamente indipendenti dalle Questure, avranno sede in tutte le città capoluogo di regione e funzioneranno in maniera simile alla disciolta Ovra».

Tutto ciò provocò una forte opposizione del Sifar, che si vide privato del monopolio informativo da parte delle Questure e delle iniziative spionistiche.

La rivalità tra i due Servizi fu immediata e la novità fu dal Sifar attribuita all'azione della Cia in Italia. Il Sifar era preoccupato della concorrenza dell'Uar sul "mercato informativo internazionale". Scrive Giannuli: «Tuttavia l'estensore sifarita non aveva tutti i torti: effettivamente il nuovo Uaarr era un innesto di intelligence di marca Americana su un tronco di origine ovrista» (pag. 41).

In linea con il modello americano, "l'ambizioso progetto di De Nozza e Beneforti prevedeva anche un intreccio con soggetti della società civile esterni alla Ps e, anche in questo, ripeteva l'esperienza triestina ed imitava il modello Americano, nel quale il servizio interagisce quasi alla luce del sole con università, imprese multinazionali, associazioni patriottiche eccetera" (pag. 42).

Il Consulente accenna a documenti Sifar in cui si indica Bologna come luogo nel quale uomini del nuovo servizio di spionaggio politico della polizia, interagivano con importanti elementi della società civile per acquisire informazioni sul Pci, disponendo di una rete di informatori prezzolati. In realtà lo spionaggio dell'Uar si estese anche all'interno della Dc e si rivolse agli avversari del Ministro Tambroni, ciò che allarmò il Sifar e altri ambienti della polizia.

Un "incidente sul lavoro", di cui il consulente dà conto, determinò il Ministro a disfarsi dell'organizzazione di De Nozza. La causa più probabile si ritrova in un appunto Sifar che fa riferimento a conflitti interni e a incaute azioni del De Nozza verso il Ministro.

Il breve periodo di gestione dell'Uar da parte dell'ex Ovra fu sufficiente e la sua fine, provocata dai tanti nemici che si era fatto dal Sifar a settori della polizia, non impedì che l'Uar si consolidasse secondo il modello triestino, per il tramite di nuovi funzionari che non avevano, come D'Amato, vissuto l'esperienza Ovra. De Nozza reduce da quell'esperienza si era adattato alla nuova realtà repubblicana, comprendendo la complessità del gioco politico nel nuovo sistema [in nota: "Al contrario, l'Italia Repubblicana era una società pluralista, nella quale lo stesso potere non aveva un carattere unitario ma profondamente variegato e la definitiva distruzione dell'avversario appariva problematica e, dopo il 1958, abbastanza remota. Dunque, occorreva convivere con un avversario da contenere e contrastare ma che non era possibile abbattere. Per di più, il carattere pluralistico del sistema politico e dello stesso blocco dominante, offriva all'avversario la possibilità di trovare alleati, introdurre elementi di divisione, ottenere successi parziali ecc. Dunque, bisognava attrezzarsi a contrastarlo su un terreno che non era più quello delle indagini e degli arresti, ma della contromobilitazione delle forze sociali, dei mezzi di informazione ecc. L 'Ovra aveva sì il problema di penetrare ogni angolo della società e di raccogliere quante più notizie possibile, ma il suo scopo non era quello di mobilitare le forze sociali, semmai, al contrario, quello di renderle passive e, per il resto, bastavano le liturgie del partito. Al contrario, la lotta al comunismo esigeva la partecipazione attiva dei cittadini, non solo come delatori. Circoli culturali, giornali, organismi ecclesiali, sindacati: tutto doveva essere mobilitato per sottrarre consensi al comunismo e procurarne al "mondo libero. In questo l'intelligence doveva agire -copertamente- da stimolo e indirizzo: finanziare gruppi o giornali, procurare materiale informativo e propagandistico, creare sinergie fra istituzioni e gruppi sociali, raccogliere informazioni e tutto questo senza comparire mai. Questi erano compiti cui la nuova polizia politica doveva dedicarsi e chi fosse riuscito a farlo avrebbe conquistato il controllo della lotta anticomunista, vale a dire la parte centrale della scacchiera".

L'esperienza triestina aveva insegnato tutto ciò che l'Uar avrebbe fatto nel pieno della strategia della tensione: il finanziamento di associazioni eversive strumentalizzate dal potere politico cui la polizia gUardava, l'organizzazione occulta della mobilitazione di piazza, l'intossicazione informativa dell'avversario e dei suoi sostenitori, lo scambio di informazioni con la stampa, la penetrazione nelle organizzazioni avversarie, non per arrestare, ma per spingere alla provocazione e quindi alla commissione di delitti, in generale al comportamento politico desiderato, con lo scambio di informazioni con i servizi internazionali, come base di lavoro. La capacità di procurarsi informazioni e scambiarle a buon prezzo, non solo economico, divenne essenziale.

Giannuli segnala il ricorso, già al tempo, alla tecnologia e a un sofisticato e incontrollato sistema di intercettazioni per lo spionaggio. Il mutamento del modello organizzativo comportò che la polizia politica si autonomizzasse dal potere politico, mettendo sotto osservazione spionistica persino la classe politica di governo. I servizi cominciarono a sentirsi "protagonisti e non solo esecutori". Tuttavia, in questa fase la sconfitta dei triestini si tradusse in un forte rafforzamento del Sifar e dei carabinieri, sotto la guida unificata del generale De Lorenzo.

Con la successiva gestione di Ulderico Caputo, anch'egli fascista della prima ora, a tempo debito passato dall'altra parte, il servizio si mette a disposizione del Sifar che prevale nettamente: "Resa incondizionata al servizio militare e la rinuncia a svolgere una attività concorrenziale ad esso".

La novità è che in vista del centrosinistra, cessano le indagini spionistiche ufficiali sugli esponenti del partito socialista i cui fascicoli personali vanno rinchiusi in cassaforte. Lo spionaggio tuttavia continua e si avvale ancora una volta, come strumento principale, di Mario Tedeschi.

In quel periodo l'Uar subì uno smaccò perché furono epurati circa 45 infiltrati della polizia dentro il PCI. La fase "grigia" prosegue fino a tutto il 1963. Nei primi anni Sessanta inizia a formarsi il gruppo dirigente che si ritroverà con e intorno a D'Amato, dando nuovo impulso all'Ufficio.

Lo scenario vede due questioni critiche che l'Uar affronta con due nuovi dirigenti: il terrorismo altoatesino, gestito da Silvano Russomanno (va ricordato l'allusivo accenno di Bellini alla militanza di Picciafuoco in questo ambito, una serie di corsi e ricorsi altamente significativi) e quello dell'Oas, l'organizzazione terrorista francese che si era opposta in armi all'azione di decolonizzazione in Algeria, affidata al francofono Federico Umberto D'Amato.

«Queste due emergenze contribuiranno anche a riconquistare terreno nei confronti dei rivali del Sifar che, peraltro, presto dovranno fare i conti con il devastante scandalo per i fatti del luglio 1964».

La ripresa dell'Uar fu infatti agevolata dalla preoccupazione per la prassi attuata dal generale De Lorenzo di riconoscere su tutte l'autorità del Presidente della Repubblica, in quanto capo delle forze armate, scavalcando i ministri e costruendo un assetto di potere sovra costituzionale, che andava dal Quirinale ai carabinieri, a loro volta dominanti sui servizi segreti militari.

L'Uar fu rinnovato con l'avvento del Ministro Taviani e del centrosinistra dopo il 1963.

L'Ufficio fu riorganizzato per essere un servizio di fiducia del partito di maggioranza in grado di esercitare un contrappeso sul servizio segreto militare. Il nuovo capo fu Savino Figurati, stretto collaboratore di Taviani dai tempi della resistenza.

A Federico Umberto D'Amato "venne affidata la VI sezione che assommava competenze come le informazioni generali, la squadra investigativa, i contatti con l'estero e con gli altri servizi italiani e stranieri, l'Ufficio Sicurezza Patto Atlantico e i servizi tecnici (si comprende che questa sezione era un po' il motore dell'intero Uaarr)" (pag. 69).

L'organizzazione informativa fu capillare e completa, con costante attenzione all'evoluzione tecnologica (intercettazioni, radio, televisione). Fu ampliato il parco confidenti,

Il riequilibrio con il Sifar-SID fu rapidamente ottenuto in quegli anni, approfittando della lotta tra i generali De Lorenzo e D'Aloia. La relazione sviluppa un'accurata scheda biografica della carriera folgorante di D'Amato nella polizia, protetto sin dall'inizio dagli apparati americani, ai quali nel giugno del 1944 aveva consegnato la lista completa della rete di agenti del servizio di spionaggio tedesco destinata ad operare nella Capitale e nell'ltalia del Sud dopo la liberazione. La rete fu completamente sgominata ma non è chiaro come fosse riuscito a procurarsi la lista.

Dal 1960 D'Amato era all'Uar. Dal 1966 ne fu il capo di fatto, dal 1971 assunse l'incarico formale.

Nel 1974, a seguito della strage di Brescia, fu trasferito alla direzione della polizia stradale, ferroviaria, postale e di frontiera, ma continuò a collaborare informalmente con il servizio di polizia politica. Nel 1982 raggiungeva il grado di prefetto. Nel 1984 era collocato a riposo.

La relazione illustra gli "incidenti di percorso" in carriera dai quali uscì sempre illeso.

L'ultimo fu la strage di Brescia che ne comportò l'allontanamento dall'Ufficio con il quale continuò segretamente a collaborare, da posizione estremamente influente anche per l'importanza del nuovo incarico di direttore della Polizia di frontiera.

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