Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.


Lo spirito imprenditoriale di Nicchi e il suo dinamismo tipicamente mafiosi emergono dalle conversazioni con il suo “padrino” Nino Rotolo. I due pianificano le attività da compiere. È Nicchi a sollecitare il capo di Pagliarelli ad una maggiore intraprendenza nel mercato della droga. È lui ad insistere per riattivare quei canali di cooperazione un tempo utilizzati per il contrabbando di sigarette, con esponenti della camorra e della ‘ndrangheta. Vuole trasformare quella rete di conoscenze in un sistema di smercio della droga, controllato da Rotolo e da lui.

Gianni Nicchi è informato sulle persone e sui nuovi meccanismi di funzionamento di un mercato così complesso e competitivo. Comunica tutto a Nino Rotolo. Gli parla dell’imminente operazione di acquisto di cocaina in Uruguay da parte di un certo Giulio Bonanno che, per cominciare, doveva rifornirli di “cinque, dieci chili al mese”.

Gianni ha contatti a Milano dove acquista chili di cocaina con Mandalà, coordinando “quattro picciotti” per lo spaccio a cui paga le spese. Ha contatti anche su Napoli sempre per l’approvvigionamento. Nello stesso tempo, tiene rapporti stretti pure con quelli che “lavorano” su Palermo: alla Guadagna, a Falsomiele, nei palazzi di Dallas a Bonagia, alla Vucciria, allo Zen, dimostrando che certi affari sono trasversali alle cosche locali e vanno seguiti di persona capillarmente.

Come Nicola Mandalà anche Gianni Nicchi incarna lo spirito del giovane imprenditore mafioso. Esprime con le sue azioni la religione dell’accumulazione, fatta di azioni violente e interazioni con uomini di ogni tipo. Profitto e potere sono gli scopi che persegue quotidianamente.

È un affarista che lavora per Rotolo muovendosi in un reticolo di affari e di relazioni che sfuggono pure alle logiche della gestione territoriale di natura piramidale e verticistica della associazione. Tratta in prima persona operazioni che fruttano migliaia di euro ogni giorno, in cui si rischia e si guadagna denaro in quanto singoli.

Non si occupa solo di droga Gianni Nicchi. È eclettico. Comprende rapidamente come si atteggiano i contesti dove maturano gli affari lucrosi. Nell’interesse del capo di Pagliarelli si informa continuamente della gestione delle sue proprietà immobiliari, degli investimenti, delle operazioni di vendita da parte delle società controllate da Rotolo come la Edilizia PECORA s.n.c, l’ Immobiliare M.P. s.r.l. e l’ Immobiliare CI.PEL. s.r.l.. Sul versante dell’impegno nell’edilizia, Nicchi si preoccupa dei rapporti con la pubblica amministrazione per le pratiche di sanatoria, di mutamento dei vincoli di destinazione dei beni o per la realizzazione di piani di lottizzazione, attivando le sue conoscenze e i contatti all’interno e all’esterno della organizzazione.

Non basta. Rotolo nomina Gianni Nicchi unico suo rappresentante nel “mondo” di Cosa Nostra. Così, nel tentativo di mediare nella deflagrante disputa agrigentina per la leadership tra Maurizio Di Gati e Giovanni Falsone, prima dello spargimento di sangue, il boss di Pagliarelli invia sui luoghi l’anziano Michele Oliveri e il giovane Nicchi. Ma nella riunione con gli affiliati locali ad intervenire sarà solo Nicchi, come ricorda proprio Maurizio Di Gati, nonostante al suo fianco vi sia un militante dell’associazione da almeno sei lustri.

Per inviare i messaggi a Provenzano, seguendo la tortuosa “via dei pizzini” o sollecitando rocambolesche ambasciate agli uomini più vicini al superlatitante, Rotolo si serve del coraggio e dello scrupolo di Nicchi.

Ed ancora Nicchi è un abilissimo collaboratore di Rotolo nel manovrare una serie di “pedine” fondamentali per il controllo della ristrutturazione del mandamento di Porta Nuova. Svolge compiti di ideazione ed esecuzione di una miriade di estorsioni.

Il capo di Pagliarelli lo confessa al mafioso di Passo di Rigano Giovanni Sirchia: «Gianni è mio figlioccio, però io ti dico, per me è come se fosse un figlio mio, è giusto.. tu sappi che quando parli con lui e come se parlassi con me è la stessa cosa, quindi».

Gianni Nicchi non è il figlio naturale di un capo della mafia, benchè il padre sia detenuto per reati riconducibili a Cosa Nostra. Dalle parole di Rotolo, può semmai essere considerato suo “figlio adottivo” dal punto di vista criminale. Questa volta nella determinazione della gerarchia interna all’organizzazione non gioca un ruolo decisivo la dinastia o la trasmissione ereditaria. È determinante l’investitura da parte del capo.

Una investitura motivata da “meriti” conquistati sul campo, ossia dal possesso delle attitudini necessarie per il governo della associazione sia nella sua dimensione più strettamente strutturale, ancorata a metodi intimidatori, sia nella più fluida dimensione affaristico-imprenditoriale.

È di Nicchi l’intuizione di “mettere le mani” sull’affare degli sbarchi nei porti italiani dei containers con prodotti made in Cina. Containers in cui vi è merce di ogni tipo: scarpe, bulloni, prodotti hi tech, motori di macchine, magliette, specchi, generi alimentari sottovuoto. Il giovane “uomo d’onore” vuole togliere il monopolio dell’affare ai gruppi criminali che insistono sul porto di Napoli, ai padroni della camorra. Il suo ragionamento non fa una grinza. Se i prodotti sono destinati anche ai commercianti cinesi che lavorano a Palermo, allora Cosa Nostra deve avere la sua “fetta di torta”.

Naturalmente l’associazione deve essere pronta a mettere a disposizione i suoi contatti sul porto del capoluogo siciliano per garantire la “buona riuscita” delle operazioni. Nicchi ha capito che il porto dove avvengono gli sbarchi viene deciso a Roma. E riferisce al suo “padrino” di avere i contatti giusti a Napoli per entrare anche in quel business:

“… li a Napoli, perché gli ho detto: ora ho intenzione di fare una cosa, che minchia si guadagna se ci mettiamo con loro… perché la cosa di questi è Roma, che già me lo ha detto questo picciotto, però tutti gli sbarchi sono fatti a Napoli, ci sono milioni e milioni di containers made il Cina, se queste sono persone che uno gli può parlare, ..... al napoletano gli facciamo un discorso”

Nicchi ha già in mente un piano operativo: “uno in caso gli da il posto dove possono armare, a quel punto, senza farli armare qui a casaccio, e qui noi gli mettiamo, “Padrino” , non solo la tassa di rione…, gli mettiamo pure la tassa negli sbarchi, e negli imbarchi che loro fanno, in alcuni prodotti che per ora stanno andando, ora questi motori, prodotti di macchine e cose. Ora noi gli diciamo, voi qua non dovete mandare a nessuno..”

Gianni Nicchi è l’ “uomo nuovo” di Cosa Nostra. E’ al centro di ogni strategia corleonese, dalla droga alle estorsioni, dai nuovi affari transnazionali agli appalti. Ha contatti con il crimine organizzato a Milano e con i gruppi camorristici a Napoli. E’ astuto, aggressivo, prende decisioni in tempi rapidi. E’ freddo e senza scrupoli. Gianni Nicchi è ancora latitante. Ogni giorno che passa in libertà accresce la sua forza dentro l’organizzazione.

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