Taluni esperti considerano quella dimensione come tipica della “nuova mafia”. Lo stesso Bernardo Provenzano indica nell’entrata di Cosa Nostra nel capitale sociale delle aziende la nuova frontiera dell’organizzazione. Rientra in quella strategia della sommersione, funzionale a far dimenticare le nefandezze e i lutti della stagione di Totò Riina
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.
L’operazione “Gotha” svela la dimensione affaristica delle carriere criminali di alcuni boss mafiosi. Taluni esperti considerano quella dimensione come tipica della “nuova mafia”. Lo stesso Bernardo Provenzano indica nell’entrata di Cosa Nostra nel capitale sociale delle aziende la nuova frontiera dell’organizzazione. Rientra in quella strategia della sommersione, funzionale a far dimenticare le nefandezze e i lutti della stagione di Totò Riina.
Per cogliere appieno i risvolti criminali delle storie di Bernardo Provenzano, Nino Rotolo, Salvatore Lo Piccolo, Nicola Mandalà, Gianni Nicchi, Franco Bonura, Antonino Cinà è opportuno mettere a fuoco la genesi e le implicazioni della scelta imprenditoriale, i riflessi sulla collettività, le conseguenze su interessi di rilevanza costituzionale. Una scelta che molti definiscono come la forma di manifestazione di una “nuova mafia”.
Nella letteratura delle scienze sociali, risale al 1983 la distinzione tra “mafia tradizionale” e “nuova mafia”. È un saggio dal titolo “La mafia imprenditrice” a spiegare le differenze. Distinte negli obiettivi di fondo, la prima sarebbe connotata dalla “competizione per l’onore e per il potere”; la seconda dall’impegno per la accumulazione della ricchezza.
Non si esprime una pura descrizione della evoluzione di un fenomeno criminale, ma una intuizione originale per quei tempi: la mafia come impresa. Questa chiave di lettura, ricavata in buona parte dal materiale giudiziario dell’epoca, consente di spiegare i motivi della attivismo delle cosche sui mercati legali e non; ma anche di evidenziare il peso di significative sinergie: capacità di organizzare i fattori della produzione (capitale e lavoro), a cui si collega l’uso strumentale della forza intimidatoria derivante dai vincoli associativi.
Solo qualche anno più tardi, nel 1992, un altro studioso di scienze sociali, con il volume dal titolo “La mafia siciliana”, tenterà di specificare l’oggetto della impresa mafiosa. Lo identifica con la “protezione privata”, spiegando che l’impresa mafiosa fornirebbe una prestazione di difesa dal furto, dalla truffa, dall’estorsione, dal rapimento, fenomeni assai frequenti sui mercati legali (ad es ittico, ortofrutticolo) e sui mercati “turbolenti” (contrabbando, droghe, armi). Si parla di “industria della protezione” proprio perché certe imprese sfrutterebbero la forte domanda di sicurezza in un contesto, quello meridionale, ove difetta la fiducia.
Senonchè, ciò che viene presentato come stereotipo della “mafia nuova” pare una vocazione piuttosto risalente nel tempo. Almeno, secondo gli studi che definiscono la criminalità mafiosa alla stregua di “un singolare ibrido di elementi di innovazione e di elementi di continuità”.
Da questo punto di vista, si afferma l’importanza del persistente sfruttamento di connotazioni sub-culturali e dell’indispensabile radicamento nel territorio; unitamente al fatto che i gruppi mafiosi, nel perseguire obiettivi di surplus economico e di valorizzazione del capitale attraverso attività nei settori più diversificati, rispondono pure all’esigenza di una efficace forma di controllo e ascesa sociale.
Naturalmente, un simile approccio esclude che il mercato mafioso sia circoscritto alla mera “protezione” da pericoli e sfiducia.
Attualmente come in passato, dunque, Cosa Nostra non è riducibile a mero agente economico che usa la violenza. Sulla base di quanto abbiamo detto con riferimento a personaggi come Nino Rotolo, Francesco Bonura, Antonino Cinà, Nicola Mandalà, Gianni Nicchi, Bernardo Provenzano e, fino a qualche anno fa, Salvatore Riina, è ragionevole ritenere che il profilo imprenditoriale di Cosa Nostra, presente sin dall’ultimo scorcio del XIX secolo, abbia assunto uno spazio che progressivamente è andato ampliandosi.
Da questa dimensione imprenditoriale muovono le analisi sull’associazione mafiosa a partire dalla seconda metà dell’ottocento gli studi. Già nella citata inchiesta sulle “Condizioni politiche e
amministrative della Sicilia” (1876), Leopoldo Franchetti, oltre a definire la mafia come “industria del delitto”, ne evidenziava il ruolo nelle intermediazioni commerciali e nella gestione del latifondo, ove l’illecito fungeva da mezzo per espandere l’attività imprenditoriale. Una propensione, questa, mantenuta e perfezionata sino alle soglie degli anni sessanta.
Poi, il “salto di qualità”, legato all’urbanizzazione susseguente all’abbandono delle campagne. Le cosche spostano i loro interessi.
Dall’economia agricola passano al settore commerciale e industriale. In particolare, intervengono nel campo dell’edilizia e dei lavori pubblici.
Secondo la commissione parlamentare antimafia: nell’ultimo trentennio, l’impresa mafiosa perfeziona la sua struttura economico aziendale.
Radicamento ed espansione sono propiziate da disponibilità di risorse finanziarie elevate, che provengono dai traffici illeciti (armi, droga, estorsioni, usura); dal ridotto costo del lavoro, grazie all’intimidazione violenta dei lavoratori e dei sindacalisti; dalla riduzione dei costi di corruzione e dalla creazione di barriere all’entrata (con l’istituzione di cartelli, ad es. nel settore dei pubblici appalti); dallo scoraggiamento della concorrenza con forme subdole di violenza che consentono di “piazzare” prodotti non necessariamente di qualità.
Come evidenziato ricostruendo gli affari di Nino Rotolo e il sistema delle estorsioni di Cosa Nostra, la marcata fisionomia imprenditoriale consente alla mafia di ricavare nuova legittimazione nel territorio su cui operano le cosche; guadagni da destinare ad attività eversive o al finanziamento della politica; canali per riciclare il profitto di varie attività criminali che spingono gli affari mafiosi ben oltre i confini regionali; forme simbiotiche con l’economia legale; meccanismi occupazionali per mantenere la manovalanza e i quadri del crimine, nonché forme di sostegno per le famiglie dei detenuti.
Non occorre fervida fantasia per comprendere che un simile fenomeno mette in discussione beni fondamentali del nostro ordinamento: le condizioni che assicurano la libertà di mercato, l’iniziativa economica (art 41 cost.) e la funzione sociale della proprietà privata (art 42 cost.); il buon andamento e l’imparzialità della pubblica amministrazione (art 97 e 98 cost.); i diritti dei lavoratori; e finanche l’interesse al metodo democratico nella distribuzione del potere. Proprio in tale prospettiva, il contrasto all’impresa mafiosa assurge a momento fondamentale della politica criminale dagli anni ottanta in avanti.
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