L'esame del "memoriale Moro" e in particolare del secondo testo rinvenuto nel 1990 in Via Montenevoso sembra avvalorare la tesi prospettata anche dai collaboratori di giustizia, secondo cui la strage di Via Fatebenefratelli non sarebbe stato un episodio secondario in quanto il suo obiettivo sarebbe stato direttamente !'on. Mariano Rumor, da punire per il "tradimento" del dicembre 1969
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti
La seconda sentenza-ordinanza del Giudice istruttore Salvini del 1998 tratta diffusamente del rapporto tra l’attentato di Piazza Fontana e quello alla Questura di Milano (pag. 252-268).
Si tratta di un altro documento di notevole importanza, in particolare il capitolo 40 in cui si affronta il tema del collegamento tra gli attentati del 12 dicembre e quello della strage di via Fatebenefratelli. Il collegamento è dato dalla figura dell’on. Rumor, vero destinatario della bomba ananas scagliata da Bertoli. Rumor era presidente del Consiglio il 12 dicembre e ministro dell’interno il 17 maggio 1973 ed era avversato dall’organizzazione perché il 12 dicembre non aveva "attivato un certo meccanismo" che avrebbe reso possibile una "presa di posizione dei militari".
Non un colpo di stato, ma un primo intervento diretto dei militari nella gestione del governo. li progetto era ben visto dagli americani e tutti ritennero che fu la viltà e l’irresolutezza di Rumor a impedire la svolta auspicata e a cui erano finalizzate le bombe del 12 dicembre.
Il giudice si preoccupa di precisare che la sua tesi non è che Rumor fosse un golpista, ma che avesse in qualche misura evidenziato un orientamento nel senso auspicato dall’eversione, nel caso in cui la situazione dell’ordine pubblico si fosse indirizzata nel senso che l’azione del 12 dicembre aveva determinato.
Conviene qui citare il racconto di Vincenzo Vinciguerra avanti a questa Corte, racconto che lo stesso aveva già fornito agli inquirenti milanesi allorché tra il 1971 e il 1972 gli proposero di assassinare Rumor nella sua residenza veneta, prospettandogli che non ci sarebbero stati problemi con la scorta. Proposta che Vinciguerra rifiutò cogliendo da essa uno degli indizi più importanti della compromissione di Ordine Nuovo con i servizi di sicurezza.
Anche Martino Siciliano fornisce la stessa spiegazione dell’odio politico dei dirigenti di Ordine Nuovo (Maggi, Zorzi, Signorelli) nei confronti dell’uomo politico democristiano. In base a contatti avuti con dirigenti di quel partito era stato concordato che in caso di gravi attentati e di pericolo per l’ordine pubblico sarebbe stato dichiarato dal governo un indefinito stato di emergenza. Le aspettative erano state disattese; Rumor era stato etichettato come "traditore" da punire.
Il collegamento tra il 12 dicembre e il reale scopo della strage di via Fatebenefratelli, la punizione dell’ex presidente del consiglio, è sviluppata nella citata sentenza sulla base di elementi indizianti che dimostrano la ragione per cui non si pervenne alla proclamazione dello Stato di emergenza, un accordo occulto tra pezzi del potere politico, intervenuto nel 1969.
Sulla base della testimonianza di tale Fulvio Bellini, autore nel 1978 di un libro dal titolo "Il segreto della Repubblica", il magistrato propone una ricostruzione della vicenda che si allinea con la tesi del libro, secondo cui dopo la strage di Piazza Fontana fu realizzato un compromesso, il patto contenuto nel "Il Segreto della Repubblica", stipulato il 15.12.1969, subito dopo il solenne funerale delle vittime della strage di Piazza Fontana, fra due ampie aree politiche, una autoritaria e quasi filo-golpista e una più cauta e non disponibile a ridurre gli spazi di democrazia, compromesso che comportava che il Presidente del Consiglio, Mariano Rumor, non si adoperasse per la dichiarazione dello stato di emergenza e non decidesse di sciogliere le Camere; in cambio, quale condizione posta dalla componente autoritaria, si desse via libera alla pista anarchica voluta dal Ministero dell’Interno per Piazza Fontana e si rinunziasse ad approfondire la "pista nera" che il nucleo di p.g. dei Carabinieri di Roma aveva cominciato a battere con successo.
La sentenza approfondisce questa tesi, dando conto della testimonianza del Bellini e giudicando l’attendibilità delle sue fonti, non citate e tuttavia individuate in anonime fonti del servizio segreto inglese. E ne trae conclusioni interessanti ai nostri scopi, tese a dimostrare l’esistenza di un contesto politico dietro i grandi crimini politici della storia del nostro Paese, tali da escludere che alcuno di essi possa essere attribuito alla mano del terrorista isolato o dello spontaneista armato.
Secondo il teste Fulvio Bellini, autore della pubblicazione di cui pochi si erano accorti nel 1978, sarebbero stati i dubbi e poi il cambiamento di campo dell’on. Mariano Rumor nel dicembre 1969 a determinare il fallimento della strategia politico-istituzionale, gradita agli americani e alle aree politiche italiane ad essi vicine, che sarebbe stato l’obiettivo della campagna di attentati.
L’attendibilità di Bellini viene accreditata dal rilievo che nei giorni immediatamente successivi al 12 dicembre 1969 la stampa britannica più autorevole (dal Times all’Observer) e portatrice del punto di vista del Governo, non aveva avuto dubbi nell’indicare come "nera" la matrice della strage di Milano e nel ritenerla connessa ad un progetto di svolta autoritaria, mostrando di disporre di informazioni non di seconda mano.
Sembra però difficile - insiste il giudice nel suo documento - che le informazioni reperite da Fulvio Bellini si limitino a quelle raccolte nel 1970 dall’agente inglese e non siano state arricchite, in seguito, da altri dati di conferma, anche in considerazione del fatto che il volume è stato scritto solo molti anni dopo, secondo l’autore, fra l’inverno 1977 e la primavera 1978 e comunque pubblicato alla fine del 1978.
Qui si colloca lo spunto più suggestivo: il libro esce contestualmente alla pubblicazione del c.d. memoriale Moro (rinvenuto in Via Montenevoso, a Milano, il 10 ottobre del 1978); e Bellini in una nota vi coglie "una impressionante analogia fra gli argomenti toccati dallo scomparso statista e quelli trattati nel "Segreto della Repubblica". Secondo il libro, scritto durante il rapimento dell’on. Moro, quest’ultimo, Ministro degli Esteri alla data di piazza Fontana, sarebbe stato uno dei principali artefici del "compromesso" del dicembre 1969 che aveva comunque arginato la linea oltranzista appoggiata dai filo-americani del PSDI, compromesso che era stato possibile grazie al mutamento di campo dell’on. Rumor (pagg.85- 87).
Da qui l’ipotesi avanzata nella sentenza: Fulvio Bellini (nulla a che vedere con il nostro imputato), grazie ai poliedrici contatti di cui godeva, sia a destra sia a sinistra, potrebbe avere ricevuto confidenze o anticipazioni in merito ai temi e alle linee di interpretazione toccate dall’on. Moro durante la sua prigionia e in particolare quelle relative alla strage di Piazza Fontana e alla strategia della tensione, ricevendo da ciò conferma dei primi elementi raccolti nel 1970.
L’esame del "memoriale Moro" e in particolare del secondo testo rinvenuto nel 1990 in Via Montenevoso nell’intercapedine di una parete (nella misura in cui tale testo possa dirsi completo e attendibile) sembra avvalorare la tesi prospettata anche dai collaboratori di giustizia, secondo cui la strage di Via Fatebenefratelli non sarebbe stato un episodio secondario in quanto il suo obiettivo sarebbe stato direttamente !’on. Mariano Rumor e non genericamente le personalità presenti, da punire per il "tradimento" del dicembre 1969.
La sentenza ricorda come nella parte del "memoriale Moro" dedicata alle riflessioni del "prigioniero" sulla strage di Piazza Fontana, oltre ad accennare a "responsabilità che si collocano fuori dall’Italia" e al fatto che nella strategia della tensione doveva presumersi che "Paesi associati a vario titolo alla nostra politica e quindi interessati ad un certo indirizzo si fossero in qualche modo impegnati attraverso i loro servizi di informazione" (evidente richiamo, questo, agli Stati Uniti d’America e ai Paesi del Patto Atlantico), "vi è una serie di riferimenti, ben 4 in poche pagine, all’on. Rumor.
Leggendo con attenzione il testo si può notare che tutti i riferimenti all’on. Rumor contengono, dopo la citazione del nome dell’esponente democristiano, un insistente riferimento al fatto che "egli stesso" sarebbe stato "destinatario dell’attentato Bertoli" (o oggetto di attacco del Bertoli o di un attentato, e così via), riferimenti pleonastici dopo la prima citazione, tenendo presente il fatto che l’avvenimento di Via Fatebenefratelli era ampiamente noto. Perché, allora, citare 4 volle l’attentato di Gianfranco Bertoli (strage, per così dire, "minore" rispetto ad altre) nei passi relativi alla strage di Piazza Fontana e al ruolo dell’on. Rumor?".
La conclusione è conseguente alla premessa. "Si ha la sensazione che l"on. Moro in parte in ragione del suo stile e in parte della situazione di prigionia in cui si trovava, abbia voluto inviare un messaggio criptico che comunque imponeva lo stesso collegamento fra i due episodi, quello del 1969 e quello del 1973, emerso nella presente istruttoria. In uno dei passaggi, /’on. Rumor è anche definito "uomo intelligente ma incostante e di scarsa attitudine realizzativa", definizione che sembra richiamare il comportamento incerto di Rumor sino al ’ultimo momento di quel dicembre 1969 messo in luce tanto dalle dichiarazioni di collaboratori di giustizia quanto dal saggio polemico di Fulvio Bellini.
Se a ciò si aggiunge il riferimento inequivoco contenuto nel memoriale (in un altro passo, oltre a quelli citati, si legge: " ... la presenza straniera, a mio avviso, c’era’), l’insieme delle risultanze della presente istruttoria ne risulta notevolmente rafforzata e, in prospettiva, la strada dell’approfondimento di tali collegamenti (e in primo luogo delle "fonti" di Fulvio Bellini) potrebbe ancora essere utilmente percorsa. "
Questo percorso, come era prevedibile, non c’è stato e Bertoli è rimasto il solo condannato per la strage all’esito di un ennesimo travagliato percorso giudiziario.
Il 18 luglio 1998, a conclusione di una lunga, minuziosa completa indagine ricca di dati e informazioni, il giudice istruttore Lombardi del tribunale di Milano depositava un’ordinanza di rinvio a giudizio avanti alla Corte di assise di Milano nei confronti di Carlo Maria Maggi, Giorgio Boffelli, Francesco Neami, Carlo Digilio, Amos Spiazzi per rispondere della strage di via Fatefratelli, che nell’impostazione accusatoria era diretta contro il Ministro Rumor.
Gli uomini del SID Maletti e Romagnoli erano rinviati a giudizio per avere omesso di riferire alla magistratura notizie relative alla strage avanti la Questura di Milano e per favoreggiamento. In sostanza l’inquirente accoglieva al termine dell’istruttoria la tesi che la strage alla Questura fosse frutto di un’azione organizzata di Ordine Nuovo per colpire Rumor per le ragioni politiche già esaminate.
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