Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Per una ventina di giorni pubblichiamo ampi stralci della sentenza in rito abbreviato dell’inchiesta Gotha del 2006, quando a Palermo finiscono in carcere vecchi boss e nuove leve due mesi dopo l’arresto di Provenzano Bernardo.


«L’atto medesimo che salva dall’inimicizia dei malfattori può recare la loro amicizia con tutti i vantaggi che ci sono inerenti».

In una indagine sulle condizioni politico-amministrative della Sicilia risalente al 1876, lo studioso Leopoldo Franchetti segnalava la profonda ambiguità tra estorsione e protezione.

Circa un secolo più tardi, nel 1964, il giudice di Palermo Cesare Terranova, nel valutare la posizione dell’imprenditore Moncada a contatto con il pregiudicato Michelangelo La Barbera, afferma che “non si riesce a stabilire se sia stato vittima o manutengolo dei mafiosi o piuttosto l’uno o l’altro a seconda delle diverse convenienze”.

Ed a dimostrazione delle perduranti difficoltà di comprensione del fenomeno, l’istruttoria del primo maxiprocesso constatò che alcuni imprenditori già indicati da Leonardo Vitale come vittime di estorsione erano successivamente divenuti soci, complici, cointeressati dei loro estorsori.

Le ambiguità di certi rapporti sono confermate da una deposizione resa davanti ai giudici della corte di assise di Palermo da di Tommaso Buscetta: “attorno alle famiglie e agli uomini d’onore vi è una massa incredibile di persone che, pur non essendo mafiose, collaborano coi mafiosi, talora inconsapevolmente. Tutto ciò dipende da quel clima perdurante di “contiguità” rispetto alle organizzazioni mafiose, che rende le stesse tanto potenti...Circa il tenore dei rapporti faccio presente che gli stessi non possono essere ricondotti alla situazione di assoggettamento. Si tratta di situazioni in cui coloro che cooperano si attendono anche vantaggi.”

La storia giudiziaria degli ultimi venti anni ha detto molto di più su certe ambiguità.

La presenza di Cosa Nostra, che sul suo territorio attua a tappeto l’estorsione, non è solo un vincolo per imprenditori e commercianti. Per alcuni può essere, o diventare, addirittura una opportunità. Molte indagini hanno messo in luce molteplici e variegati nessi fra mafia e imprese legali.

Nessi non riducibili alle forme di manifestazione del condizionamento o della protezione-estorsione, ma simili piuttosto a situazioni di convivenza, scambio, collaborazione associativa, compartecipazione. In talune occasioni, gli imprenditori hanno usufruito di una “protezione attiva”, instaurando con la mafia o rapporti di collaborazione specifici e limitati nel tempo oppure rapporti di scambio diffusi, continuativi e personalizzati.

Sono operatori economici che assumono un atteggiamento opportunistico.

Orientano le loro scelte in base a valutazioni strumentali e utilitaristiche sul contesto ambientale in cui svolgono la loro attività. Non agiscono per evitare l’eventuale danno minacciato dal mafioso. Ma, abbandonata ogni riserva di ordine culturale e morale, riconoscono esplicitamente il potere della cosca.

La disponibilità a trovare coi mafiosi un punto di incontro sfocia in intese con vantaggi reciproci. Ne derivano obblighi di collaborazione e di scambio assai fruttuosi per entrambe le parti. In alcuni casi l’imprenditore riesce a mantenere separata la propria identità rispetto a quella della cosca con cui conclude l’accordo. In altri finisce per essere coinvolto totalmente nelle logiche della organizzazione criminale, finendo per fornire anche prestazioni slegate dalla sua specifica attività, quali ad esempio la messa a disposizione di locali per summit mafiosi, per nascondere le armi, per coprire i latitanti.

Terreno di elezione di simili forme di cooperazione è senza dubbio quello degli appalti pubblici di grandi opere sul territorio siciliano. Negli ultimi venti anni, la costruzione di dighe, reti idriche, tonnare, centri di distribuzione e aree artigianali è stata l’occasione per instaurare “relazioni pericolose” tra imprenditori e “uomini d’onore”.

I processi celebrati nel capoluogo siciliano hanno svelato come gli amministratori di gruppi societari di rilievo regionale e nazionale, pur non appartenendo a Cosa Nostra, avessero attivamente collaborato al buon funzionamento di un sistema di spartizione occulta delle opere, intervenendo con la loro influenza ove necessario.

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