Il 17 maggio 1973 viene consumato l'attentato davanti alla Questura di Milano in via Fatebenefratelli. Gianfranco Bertoli, sedicente anarchico, scaglia una bomba a mano sul marciapiede della questura ove poco prima il ministro dell'interno, Mariano Rumor, ha scoperto una lapide in onore del commissario Luigi Calabresi, assassinato l'anno precedente
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti
Il 17 maggio 1973 viene consumato l’attentato davanti alla Questura di Milano in via Fatebenefratelli. Gianfranco Bertoli, sedicente anarchico, scaglia una bomba a mano sul marciapiede della questura ove poco prima il ministro dell’interno, Mariano Rumor, ha scoperto una lapide in onore del commissario Luigi Calabresi, assassinato l’anno precedente.
Ci sono quattro morti e 45 feriti. Bertoli viene arrestato subito, si professa anarchico e dichiara che il suo scopo era vendicare l’anarchico Pinelli, morto mentre era trattenuto dalla polizia subito dopo la strage di Piazza Fontana.
Questa volta nessuna difficoltà ad individuare l’autore della strage. Il punto è capire il contesto, i complici, i mandanti, la causale. Che Bertoli avesse frequentato ambienti e circoli anarchici era incontroverso. Ma già negli anni ’70 era emersa la strategia dell’infiltrazione e della provocazione delle organizzazioni dell’estrema destra, quali AN e ON.
All’inizio degli anni ’90 le nuove indagini milanesi sul terrorismo nero dei giudici istruttori Lombardi e Salvini permettono di acquisire uno spaccato assai più completo di quest’azione, tutt’altro che espressione dell’iniziativa isolata di un terrorista senza legami.
I rapporti di conoscenza di Bertoli con gli esponenti di Ordine Nuovo veneto sono illustrati nella sentenza della Corte di appello di Milano del 22 luglio 2015; dall’interrogatorio reso nel novembre 1991 dal colonnello Viezzer, segretario del reparto D del SID, al giudice Lombardi, emerge che Berto li fosse informatore e uomo manipolato dal SID.
Nella sentenza della Corte di assise di Milano del 30 giugno 2001 si legge: «Digilio, Siciliano, Vinciguerra, Battiston, hanno descritto l’ideologia stragista propugnata da Maggi tra il 1968 e il 1974, i primi tre descrivendo specificamente gli episodi delittuosi attuativi di quella linea politica, Battiston, riferendo il contenuto dei discorsi eversivi che Maggi tenne nel corso di un incontro con i reduci di guerra, amici di suo padre e quelli in sua presenza sulla strage della Questura e in particolare sull’appartenenza di Bertoli all’area della destra, nonché la disponibilità di esplosivo e detonatori da parte del gruppo veneziano durante la sua latitanza a Venezia. Anche altri esponenti della destra eversiva hanno confermato in dibattimento il ruolo di Maggi quale "teorico della strategia stragista" (pag. 458). Riscontri all’appartenenza di Bertoli all’area di Maggi emergono dalla deposizione del 25 .3 .20 I O del colonnello Girando al processo di Brescia.
Concludenti passaggi argomentativi nella sentenza Cavallini che, pur non essendo irrevocabile, contiene argomentazioni e valutazioni probatorie condivisibili, in quanto fondate sullo stesso materiale probatorio di cui qui si dispone.
La Corte bolognese scrive a pag. 1454: «Sul treno Brennero-Roma che partiva da Monaco doveva essere collocata una bomba collegata a un timer nella toilette a Verona affinché esplodesse qualche ora dopo, all’altezza di Bologna. Doveva essere un (altro) attentato dimostrativo e senza vittime, e contemporaneo a quello messo in atto a Genova da Azzi. Questi due episodi, unitamente alla morte di Rumor (e alla contestuale strage in piazza Fatebenefratelli) dovevano far scattare la dichiarazione dello stato di emergenza. La responsabilità doveva cadere sulla sinistra, sicché l’opinione pubblica avrebbe chiesto una reazione forte e decisa "dopo di che tutto sarebbe stato più facile" (ciò spiega anche l’utilizzo del finto anarchico Gianfranco Bertoli per l’attentato a Rumor).
Il gruppo che operava a Verona era ovviamente diverso da quello di Milano, ma tutta la struttura era composta da cellule in cui un solo militante conosceva il capo dalla cellula di altri luoghi. Per il treno Brennero-Roma giunse il contrordine, a causa del fallito attentato sull’altro treno (considerato che Azzi, colto in flagranza, era apertamente di destra, per cui la messa in scena era abortita prima di nascere).»
A pag. 1470: «Lo stesso Gianfrancesco Belloni dichiarò poi dal G.!. di Milano dott. Lombardi di aver appreso da un altro informatore del S.I.D. di Padova, tale Guido Negriolli, che Gianfranco Bertoli, autore della strage del 17.5.1973 dinanzi alla Questura di Milano, era legato a esponenti di Ordine Nuovo, fra cui lo stesso Freda ed era un "burattino" manovrato da altri, che quel giorno aveva il compito specifico di eliminare l’on. Rumor al fine di accelerare il programma della strategia della tensione (dep. del 14.4.1992).»
A pag. 1475: «Nella considerazione del pedigree del colonnello Spiazzi, e del sinistro contesto in cui egli si muoveva, non può mancare il richiamo al triste (oscuro, ma non tanto) episodio del rapimento dell’avv. Gabriele Forziati, che fu dapprima "avviato" nell’appartamento del padre di Marcello Soffiati a Colognola ai Colli, dove restò due settimane, e poi trasferito nell’appartamento di Marcello Soffiati in via Stella a Verona. Lì, alla sua custodia sovrintesero anche Carlo Digilio, Carlo Maria Maggi, Sergio Minetto, e altri (fra cui Francesco Neami, che poi verrà incaricato anche della sorveglianza di Gianfranco Bertoli, pure lui ristretto in cattività domestica in vista dell’attentato all’on. Rumor del 17.5.1973).»
A pag. 2406: «Per la strage di Milano del 17 maggio 1973 é stato riconosciuto responsabile Giancarlo Bertoli, la cui appartenenza alla destra é stata accertata dalla sentenza irrevocabile di condanna all’ergastolo pronunciata dalla Corte d’Assise di Milano.»
A pag. 2460 «La "sensibilità" per gli anniversari da celebrare anche con azioni terroristiche destabilizzanti ed eclatanti, era talmente connaturata alla forma mentis delle organizzazioni eversive di destra che veniva addirittura trasferita in capo agli eversori di estrema sinistra quando si programmavano attentati da attribuire falsamente a questi ultimi.
È il caso della strage di via Fatebenefratelli commessa il 17 maggio 1973 a Milano del falso anarchico Gianfranco Bertoli, il quale dichiarò: "Sono un anarchico e ho agito da solo. Volevo vendicare il compagno Pinelli nell’anniversario della morte del commissario Calabresi", avvenuta un anno prima il 17 maggio 1972 (Ass. Milano 11.3.2000, p. 15). Ogni cosa andava celebrata adeguatamente: nascite, morti, eventi politici.»
A pag. 1287 in nota: «Le affermazioni di Vinciguerra in merito al progetto di uccidere l’allora ministro Rumor trovano conferma nelle dichiarazioni rese più volte da Carlo Digilio, il quale ha riferito che, prima dell’attentato compiuto da Gianfranco Bertoli il 17 maggio 1973 nel cortile di della Questura di Milano in via Fatebenefratelli (in conseguenza del quale morirono quattro persone e 52 rimasero ferite, e che era mirato all’uccisione di Rumor, presente in loco per l’inaugurazione di un busto in memoria del commissario Luigi Calabresi), per la commissione di questo omicidio era stato interpellato Vincenzo Vinciguerra, il quale però si era rifiutato poiché "non riteneva corretto il progetto e sarebbe stata una carneficina». L’omicidio sarebbe dovuto avvenire in Veneto, nella casa di Rumor.
Maggi quindi disse che occorreva assolutamente trovare un’altra persona che eseguisse l’attentato (bisognava "spazzare via Rumor") e fece il nome di Gianfranco Bertoli, persona "disposta a tutto".
«Rumor era odiato negli ambienti di destra perché aveva ostacolato i progetti di mutamento istituzionale in Italia e si era mostrato ostile alla destra. Era stato “vile”, era venuto meno alle promesse fatte, non aveva attivato “un certo meccanismo” dopo gli attentati, non decretando lo stato di emergenza e così non mettendo in moto i militari che invece avrebbero saputo che sbocco dare alla crisi.
Vi sarebbe stata infatti non una “presa di potere”, ma una “immediata presa di posizione” da parte di questi: ossia un primo intervento che avrebbe dato inizio a un maggior controllo dei militari sulla vita del Paese, senza un vero e proprio colpo di Stato. Ciò avrebbe anche consentito l’uscita allo scoperto dei Nuclei di Difesa dello Stato (alias le Legioni) in funzione di appoggio e propaganda in favore dei militari. Bertoli offriva anche una “copertura” anarchica di fronte all’opinione pubblica, in quanto aveva la nomea di anarchico individualista. Campava di espedienti e al limite della sopravvivenza.
«Qualche tempo dopo egli (Digilio) seppe che Bertoli era stato "prelevato" dalla zona di Mestre, dove gravitava, e trasportato a Verona, nell’abitazione di Soffiati, per essere istruito sul da farsi. Gli si praticò anche un lavaggio del cervello per catechizzarlo sulle risposte che avrebbe dovuto dare in merito alla sua azione, ossia che era un anarchico individualista e che si era procurato da solo, in Israele, la bomba per l’attentato. Bertoli infatti diceva di avere trascorso un periodo in Israele (Giorgio Bojfelli disse che in Israele, Bertoli aveva fatto il mercenario) e quando vedeva le bombe nell’appartamento diceva che non aveva nulla da imparare perché quelle bombe le aveva già viste tali e quali in Israele.
«Digilio ha anche riferito che Soffiati e Neami gli dissero che Bertoli era un debole e che gli piaceva bere. Lo facevano quindi bere e mangiare a sazietà. Lo avevano convinto a compiere l’attentato promettendoli "un po’ di soldi". Sergio Minetto era al corrente della cosa e aveva procurato il denaro tramite gli americani. Anch’egli (Digilio) dimorava nell’appartamento di via Stella. Neami dormiva nella stessa stanza con Berto li per controllare suoi eventuali colpi di testa. Bertoli beveva, fumava, era un tipo scostante, faceva discorsi strani e diceva che comunque fosse andata egli sarebbe diventato un grande uomo ("Era un personaggio pieno di sé e si credeva un grand’uomo", ha aggiunto Digilio). Era tormentato dai tic, si lisciava continuamente la barbetta e aveva disturbi di carattere ormai stabili, verosimilmente conseguenti al costante abuso di alcool. Neami diceva che farlo bere era l’unico modo per tenerlo buono.
"Maggi andava e veniva, gli controllava la pressione e gli praticava delle iniezioni in relazione ai disturbi che aveva. "Quando l’attentato a Rumor fallì, "Maggi aveva il muso lungo e l’atmosfera era lugubre" (int. G.I. di Milano dott. Salvini del 12.10.1996; del 14. I 0.1996; del 21.2.1997 e del 16.5.1997; int. G.I. di Milano dott. Lombardi del 16.12.1996; del 27.1.1997 e del 25.6.1997) (su questi temi e su queste circostanze, si veda anche Ass. Milano 11.3.2000, pp. 294 e seguenti).
«Avanti al Tribunale per i Minorenni di Bologna (ud. del 10.12.1999) Digilio ha di nuovo confermato tutte le dichiarazioni rese in precedenza su questi fatti, specificando che occorreva “dare una lezione” a Rumor che “a suo tempo non aveva saputo stare agli accordi”.
La locuzione “a suo tempo” sembra rimandare alla campagna di attentati incrociati del dicembre 1969.
«Ha confermato che, quando l’attentato fu proposto a Vinciguerra, l’organizzazione "era arrivata ad avere in pugno la scorta, che non sarebbe intervenuta nel momento in cui qualcuno avesse attentato alla vita dell’onorevole”, per cui “il lavoro sarebbe stato particolarmente facile”.
«A sostegno di quanto sopra, vi sono anche le dichiarazioni di Giuseppe Albanese, estremista di destra in gioventù, il quale nel 1984 consegnò al maresciallo Angelo Incandela (poi noto per il suo ruolo nel processo in cui Giulio Andreotti fu accusato di essere il mandante dell’omicidio Pecorelli) un memoriale che conteneva numerose notizie da lui apprese durante periodo di comune detenzione con Azzi, Concutelli, Bonazzi, Fumagalli e altri, memoriale che però non fu minimamente considerato, fino a quando fu ritrovato per caso del 1982 da un sottufficiale della DIGOS di Roma.
Albanese, sentito quindi dal G.I. di Milano il 28.5.1992, riferì, fra diverse altre cose, che Bertoli a un certo punto aveva smesso la sua "maschera di sinistra" ammettendo di essere un uomo in contatto con la destra, di essere stato protetto dai Servizi durante la sua permanenza in Israele, di essere stato a contatto a Marsiglia con i camerati francesi, e di avere ricevuto la bomba ananas usata per l’attentato nei confronti di Rumor poco prima, da un camerata (sentenza-ordinanza dott. Salvini 18.3.1995, parte seconda, cap. "La Fenice").
«Mariano Rumor era Presidente del Consiglio quando il Ministro dell’Interno Paolo Emilio Taviani sottoscrisse il decreto di scioglimento di Ordine Nuovo, nel novembre del 1973. In precedenza aveva presentato un esposto ali’ A.G. di Roma nei confronti di Ordine Nuovo in applicazione della c.d. "Legge Scelba" (circostanza rappresentata nel corso di un interrogatorio di Digilio da parte del G.I. di Milano dott. Lombardi in data 8.5.1997).»
Ampia conferma di tutto ciò in una delle relazioni finali della Commissione parlamentare stragi. Ne riportiamo in nota il contenuto. La relazione si basa ampiamente sulle indagini dell’autorità giudiziaria milanese.
© Riproduzione riservata