La circostanza che l’omicidio di Diana Bernardo fu commesso nei pressi dell'abitazione di Mancuso Salvatore, subito dopo che costui era sceso dall'automobile, dimostra che gli assassini erano perfettamente al corrente delle abitudini dei due amici e induce, perciò, a sospettare che il Mancuso, volontariamente o perché costrettovi, abbia fornito le indicazioni necessario per tendere l'agguato al Diana
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Da oggi – per circa un mese – pubblichiamo sul Blog mafie l’ordinanza di rinvio a giudizio “Torretta+120”, che ricostruisce dinamiche e omicidi della mafia di Palermo
Mancuso Salvatore è l’amico indivisibile di Diana Bernardo, ucciso la sera del 22 giugno 1963, in via Piedilegno. Dalle indagini eseguite dalla Polizia Giudiziaria, in occasione di quell’omicidio, risultò che l’imputato era da anni in rapporti di amicizia con Diana Bernardo, col quale, da qualche tempo, era solito rincasare la sera a bordo della Fiat 500 appartenente al Diana e da questo guidata.
Per la sua asserita attività di commerciante di automobili usate o meglio di mediatore, il Mancuso frequentava il bar Commercio in piazza S.Oliva, dove si affacciava pure il negozio di accessori e ricambi per auto “CU.BO.DI” gestito in società da Diana, Bontate Stefano, figlio di Francesco Paolo Bontate a Cusimano Salvatore ed aveva perciò modo di intrattenersi spesso col Diana e di seguirne l’attività, i movimenti e di osservare le persone con le quali il suo amico si incontrava.
Occorre premettere che Diana Bernardo era legato, come si è già avuto occasione di affermare, a molti mafiosi ed era ben nota agli organi di Polizia specialmente alla Polizia Tributaria per i suoi legami con diversi esponenti mafiosi e per la specifica illecita attività di contrabbandiere.
Le numerose annotazioni contenute nelle agende appartenenti a Diana Bernardo sono chiaramente indicative dei rapporti che il Diana manteneva con mafiosi come Calò Giuseppe, Porcelli Antonino, Di Trapani Nicolò, Torres Antonino, Camporeale Antonino e probabilmente anche con Vitrano Arturo, Badalamenti Gaetano e Mancino Rosario.
Data l’intimità del Mancuso col Diana ed i loro continui abituali contatti, divenuti sempre più frequenti negli ultimi tempi, devesi ritenere che il Mancuso fosse implicato nella stessa associazione criminosa, della quale faceva parte certamente il Diana.
La circostanza che l’omicidio di Diana Bernardo fu commesso nei pressi dell’abitazione di Mancuso Salvatore, subito dopo che costui era sceso dall’automobile, dimostra che gli assassini erano perfettamente al corrente delle abitudini dei due amici e induce, perciò, a sospettare che il Mancuso, volontariamente o perché costrettovi, abbia fornito le indicazioni necessario per tendere l’agguato al Diana.
Tutto ciò anche se non è sufficiente per sostenere la responsabilità del Mancuso nell’omicidio di Diana Bernardo, basta però per ritenere che l’imputato faceva parte, insieme col Diana, della stessa cosca mafiosa.
Infine se da un lato il Mancuso si preoccupò di trasportare il Diana sino al posto di pronto soccorso di Villa Sofia, d’altro canto immediatamente non appena consegnò agli infermieri il corpo dell’amico che ancora respirava, si allontanò di corsa; raggiunto dal Carabiniere Marongiu, rispose che “camminava per i fatti suoi”, in un vano tentativo di mantenersi estraneo alla vicenda.
Con questo comportamento il Mancuso, pur avendo denotato di possedere umana sensibilità per non essere rimasto indifferente alle sorti del Diana morente ha soprattutto mostrato di volere a tutti i costi sottrarsi alle indagini per l’omicidio, di cui, evidentemente, conosce la causale è probabilmente anche gli autori, confermando in tal modo di essere un mafioso e di essere legato al sodalizio criminoso, a cui apparteneva il Diana Bernardo.
Gulizzi Michele
Il 29 ottobre 1963 nei locali del mercato ortofrutticolo, certo Vincenzo Marcé veniva ferito a colpi di pistola da Gulizzi Salvatore, figlio di Michele Gulizzi, commissionario del mercato e titolare dello stand n.19. In seguito alle indagini svolte in occasione di quel fatto di sangue, oggetto di separato rapporto all’Autorità Giudiziaria, la Squadra Mobile e il Nucleo di Polizia Giudiziaria dei Carabinieri, con rapporto del gennaio 1964, riferivano in merito alla appartenenza di Gulizzi Michele all’associazione mafiosa di cui ai rapporti di denunzia contro Angelo La Barbera + 36 e contro Pietro Torretta + 53.
Dal citato rapporto risulta che Gulizzi Michele è uno dei più autorevoli mafiosi del mercato ortofrutticolo, legato a Giuseppe Ulizzi, a Giuseppe Pomo e a Leonforte Emanuele ucciso il 27 giugno 1963.
Il numero del telefono installato nel suo “stand” era annotato, accanto al nome di Giuseppe Pomo, nella agenda murale sequestrata a suo tempo nell’autorimessa di via Mazzini, luogo di riunione della cosca dei fratelli La Barbara. Questo particolare conferma l’attendibilità delle notizie raccolte dalla Polizia circa la frequenza di Angelo La Barbera e di alcuni suci accoliti nel padiglione del Gulizzi. La pericolosità e l’ascendente mafioso dell’imputato sono messi in evidenza in relazione al cruento episodio del 29 ottobre 1963, al quale avrebbero partecipato anche certi Civiletti Giuseppe e Argano Filippo, noti come “guardiaspalle” di Gulizzi Michele.
La personalità dell’imputato deve essere inquadrata nel malsano ambiente del mercato ortofrutticolo, in passato teatro di sanguinosi conflitti e sino a qualche tempo fa autentico feudo della mafia.
Le condizioni del mercato, prima dell’opera di risanamento iniziate dal commissari governativo dott. Giulio Scaramucci, sono accennate dal direttore Calogero Favaloro, i cui sforzi diretti a porre rimedio all’illegalità, agli abusi, al disordine, furono sistematicamente frustrati dalla inerzia dell’Amministrazione Comunale.
L’episodio dell’arresto del latitante Scasso Armando, eseguito all’interno del mercato, dove lo Scasso lavorava tranquillamente come dipendente del commissionario D’Ignoti Gaetano, socio di Leonforte Emanuele, è indicativo delle caotiche condizioni del mercato ortofrutticolo, dove l’unica legge che contasse era quella imposta dai mafiosi, per cui i rapporti tra commissionari, grossisti e produttori erano spesso il risultato don di libere contrattazioni ma di imposizioni e intimidazioni.
In questo ricettacolo della mafia, Gulizzi Michele aveva, indiscutibilmente, un ruolo di primo piano.
Nei suoi confronti resta incomprensibile in qual modo nel giugno 1958 sia riuscito ad ottenere il conferimento di una onorificenza. Ciò comunque denota che egli godeva di influenti protezioni, come si desume anche da quanto riferito dal Presidente della Camera di Commercio Alfredo Terrasi in merito al certificato di buona condotta del Gulizzi, pervenutogli in seguito alla revisione dell’albo dei commissionari, in data 4 dicembre 1963, vale a dire a distanza di oltre un mese dall’arresto dell’imputato.
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