Nino Sindona, figlio di Michele, arrivò a dire al giornalista Di Fonzo: «...Per me, un uomo come Ambrosoli merita di morire dieci volte, in mezzo ad atroci dolori, e non è ancora abbastanza per ...per un figlio di puttana come lui...»
Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo su questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Questa serie pubblicherà ampi stralci della sentenza della Corte d'Assise di Milano che ha condannato all'ergastolo Michele Sindona per l'omicidio dell'avvocato Giorgio Ambrosoli
Per molti mesi le indagini sull'omicidio di Ambrosoli non portarono all'acquisizione di alcun positivo elemento di prova. Non emerse tuttavia, dalla vita e dalle attività dell'ucciso, alcun indizio che consentisse di collocare il movente dell'assassinio al di fuori della funzione che egli aveva svolto e stava svolgendo nella liquidazione della Banca privata italiana.
Assai gravi erano invece, fin dai primi momenti, le indicazioni a sostegno dell'ipotesi che Ambrosoli fosse stato ucciso proprio a causa di tale funzione, e dei contrasti che ne erano derivati con gli interessi di Michele Sindona.
Ambrosoli infatti, quale liquidatore della Banca privata italiana, aveva svolto un ruolo di fondamentale importanza sia nel recupero di attività che Sindona aveva distratto dalle sue banche in dissesto, sia nell'accertamento dei vari illeciti di gestione delle stesse e nella formazione degli elementi di prova in base ai quali costui era stato incriminato per bancarotta fraudolenta ed era oggetto di una procedura di estradizione dagli Stati Uniti.
Inoltre l'atteggiamento di Ambrosoli - il quale aveva più volte esternato ai dirigenti della Banca d'Italia la propria ferma opposizione a soluzioni che non fossero rispettose degli interessi pubblici in gioco - costituiva un ostacolo oggettivo al buon esito di quei progetti di sistemazione della Banca privata italiana, per il cui successo Sindona ed i suoi collaboratori si stavano attivando ossessivamente da anni operando nelle direzioni più diverse e non facendosi scrupolo di impiegare anche metodi gravemente intimidatori.
A partire dai primi mesi del 1979, poi, alla preoccupazione di Sindona per la sua situazione in Italia e per il sostanziale stallo dei progetti di sistemazione si era aggiunta anche quella derivante dagli accertamenti in corso negli Stati Uniti per il fallimento della Franklin Bank.
E anche nell'accertamento dei reati connessi con tale fallimento Ambrosoli aveva svolto una parte di rilievo, collaborando con il Procuratore Distrettuale di New York John Kenney, davanti al quale aveva deposto per rogatoria a Milano 1'8 giugno 1978 - producendo altresì le fotocopie dei tre contratti fiduciari, dell'importo complessivo di 40 milioni di dollari, stipulati dalle banche di Sindona a favore della Fasco a.g. per l'acquisto della Franklin Bank - e con il quale si era recato a conferire a New York 1'11 dicembre 1978.
La grave preoccupazione che in quei mesi Sindona nutriva per l'esito della vicenda giudiziaria concernente il fallimento Franklin - per il quale egli venne formalmente incriminato il 19 marzo 1979 - traspare da molte risultanze probatorie, quali i memorandum trasmessi al presidente del Consiglio dall'avvocato Guzzi, dove addirittura si ventilava la possibilità di "conseguenze negative per i due paesi nel caso che il nostro fosse richiesto di chiarimenti", il resoconto di Cuccia sul colloquio del 22 novembre 1978 con Guzzi, nel quale costui aveva riferito che Sindona era in una situazione molto tesa per l'andamento sfavorevole delle sue procedure giudiziarie in America, la deposizione dello stesso Cuccia sul colloquio dell'11 aprile a New York, in cui tra l'altro Sindona commentando la relazione di Ambrosoli si era mostrato preoccupato e irritato perché dalla stessa risultava che i fondi da lui impiegati per l'acquisto della Franklin Bank non erano suoi, il contenuto della telefonata minatoria pervenuta ad Ambrosoli il 28 dicembre 1978, nella quale l'anonimo interlocutore, per incarico di Sindona e con chiaro riferimento al recente incontro con il Procuratore Kenney a New York, aveva accusato il commissario liquidatore di essere stato in America e di avere detto cose non vere, e gli aveva ordinato di ritornarvi "con i documenti veri".
Sindona era pienamente consapevole del ruolo decisivo che Ambrosoli aveva svolto per anni, e stava tuttora svolgendo, nel corso sfavorevole delle sue vicende italiane e americane, tanto che, come si è detto nel capitolo precedente, gli aveva rivolto reiterati attacchi di estrema violenza, e ancora il 22 marzo 1979, a tre giorni di distanza dalla sua incriminazione per il fallimento della Franklin Bank, aveva fatto accennare a Cuccia, da parte di MAGNONI, «ad una ipotesi di sostituzione di Ambrosoli come liquidatore della Banca privata italiana, per affidarla a persona più aperta alle suggestioni di Sindona».
Inoltre, come risulta dalla precedente esposizione sui fatti di cui al capo 2) della rubrica, era stato sicuramente Sindona il mandante della grave campagna intimidatoria posta in essere nei confronti di Ambrosoli fra la fine del 1978 e 1'inizio del 1979, al termine della quale egli aveva mandato a dire al commissario liquidatore che sarebbe stato "ammazzato come un cornuto".
Del resto, per comprendere a quali limiti fosse giunto il sentimento di odio che si nutriva nella famiglia Sindona contro Ambrosoli, basta leggere la trascrizione del colloquio intervenuto fra il giornalista americano Luigi Di Fonzo e Nino Sindona il 18 e il 19 marzo 1983, del quale si parlerà fra poco, dove il giovane Sindona arrivò a dire: "...Per me, un uomo come Ambrosoli merita di morire dieci volte, in mezzo ad atroci dolori, e non è ancora abbastanza per ... per un figlio di puttana come lui.
Ambrosoli ha tentato di uccidere mio padre in modo continuativo. Ambrosoli, per cinque anni, ha lavorato all'omicidio di mio padre. Perciò, non_sono ...non ho pietà per quel fottuto individuo, assolutamente. Okay? Mi dispiace che sia morto senza soffrire troppo ...".
Infine, nel colloquio avuto con Cuccia a New York l'11 aprile 1979 Sindona, dopo avere detto al presidente di Mediobanca di avere fatto sospendere iniziative omicide già decise nei suoi confronti, e ciò solo perchè lui gli era più utile da vivo che da morto, aveva aggiunto che, invece, doveva assumersi la responsabilità morale di far scomparire Ambrosoli senza lasciarne traccia.
Al dibattimento Sindona ha negato di avere pronunciato quella frase, e ha precisato che, comunque, se egli davvero avesse deciso di far sopprimere Ambrosoli, non lo avrebbe certamente preannunciato a Cuccia. E' certo, invece, che Sindona disse veramente quelle parole a Cuccia.
Non si vede infatti per quale ragione costui avrebbe dovuto inventare un particolare del genere - per di più inserendolo nel resoconto scritto del colloquio, da lui redatto per propria personale documentazione - rivelandolo poi al Giudice Istruttore con grave ritardo, e con conseguente comprensibile imbarazzo, oltre un anno dopo l'uccisione di Ambrosoli. Sulle ragioni per le quali Sindona 1'11 aprile 1979 fece a Cuccia una rivelazione di tale gravità, non può escludersi che egli si fosse lasciato sfuggire quella frase in un accesso d'ira.
Tuttavia, poichè dal resoconto di Cuccia risulta che la rivelazione si inseriva in modo coerente nella logica di un discorso che Sindona aveva in precedenza preparato e poi svolto senza interruzioni, appare più probabile che il proposito omicida fosse stato deliberatamente comunicato a Cuccia, con il fine preciso di spaventarlo ancora di più e con la certezza che egli, per timore, non ne avrebbe mai parlato.
Ed in effetti, benchè pochi mesi dopo Ambrosoli fosse stato ucciso davvero, e benchè Cuccia avesse subito messo in relazione l'omicidio con quella rivelazione, egli tacque a lungo la circostanza tanto rilevante, e si decise a parlarne solo nella deposizione del I0 dicembre 1980.
A sostegno di tale ipotesi si osserva che a partire dalla primavera del 1979 Sindona, dopo l'insuccesso dei tentativi di approccio verso la Banca d'Italia, aveva visto la propria possibilità di salvezza soprattutto in un intervento risoluto in suo favore da parte di Cuccia, ma d'altronde si era reso conto che costui, se non vi fosse stata qualche nuova iniziativa intimidatoria ben più drammatica delle precedenti, avrebbe continuato a temporeggiare.
È quindi presumibile che la progettata uccisione di Ambrosoli dovesse anche servire a terrorizzare Cuccia il quale quindi doveva essere consapevole della provenienza dell'omicidio - facendogli intendere che le minacce di morte trasmessegli fino a quel momento, e che egli avrebbe continuato a ricevere nei mesi seguenti, potevano realmente essere portate ad esecuzione, in modo altrettanto tragico, anche nei confronti suoi e dei suoi familiari.
Del resto, un'analoga interpretazione in ordine ad una della possibili ragioni dell'omicidio di Ambrosoli venne data dallo stesso Nino Sindona nel citato colloquio con Luigi DI Fonzo, quando il giovane Sindona ipotizzò che qualche gruppo mafioso amico di suo padre avesse preso in mano la situazione ed avesse deciso di uccidere Ambrosoli affinché Cuccia avesse più paura ("...Perciò, qual è il gruppo che poi ha preso in mano la faccenda, dicendo a mio padre: “Beh, lei non capisce niente di questo genere di cose. Ce ne occuperemo noi a modo nostro”. E poi, un certo giorno, hanno deciso: “Tanto vale che lo ammazziamo, questo fottuto Ambrosoli cosi può ... può darsi che quell'altro, Cuccia, abbia un po' più di paura”.
Chi lo sa? Forse è questa la ragione."). È di tutta evidenza il valore indiziante, a carico di Michele Sindona, degli elementi fin qui richiamati. Da essi infatti emerge che Sindona non solo aveva un movente per ordinare la soppressione di Giorgio Ambrosoli - movente individuabile nei suoi sentimenti di odio e di vendetta verso la vittima, nell'interesse a rimuovere un ostacolo, altrimenti non superabile, alla realizzazione dei suoi progetti di salvataggio ed alla conclusione indolore delle sue procedure giudiziarie, e nel proposito di terrorizzare Cuccia al punto di costringerlo, finalmente, a piegarsi al suo volere - ma aveva, alcuni mesi prima dell'omicidio, fatto trasmettere alla vittima ripetute minacce di morte, ed aveva perfino confidato ad una terza persona il proprio proposito di far commettere quell'assassinio.
Dopo un lungo periodo di investigazioni infruttuose, cominciarono ad emergere, da diverse direzioni, vari elementi da cui presero origine distinti filoni di indagine che, nel corso del tempo, portarono all'acquisizione di risultanze probatorie convergenti, decisive al fine di convalidare gli originari indizi a carico di Michele Sindona e di consentire l'individuazione di altri responsabili del delitto.
Tali filoni di indagine saranno ora esaminati separatamente nel loro sviluppo, secondo un ordine non di importanza ma cronologico, con riferimento all'epoca in cui emersero i primi fatti e circostanze che diedero origine agli approfondimenti ed alle acquisizioni successive.
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