Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Da oggi – per circa un mese – pubblichiamo sul Blog mafie l’ordinanza di rinvio a giudizio “Torretta+120”, che ricostruisce dinamiche e omicidi della mafia di Palermo


Nel rapporto di denunzia del 31/7/1963 Alberti Gerlando, inteso "paccaré", é indicato come uno dei più temibili mafiosi, legato a Galeazzo Giuseppe, Pomo Giuseppe, Dolce Filippo, Calò Giuseppe, Messina Salvatore, Schillaci Salvatore, Fiorenza Vincenzo, Vitrano Arturo, Camporeale Antonino, Lallicata Giovanni, Ulizzi Giuseppe, Geraci Giuseppe, alla cosca di Michele Cavataio e ad altri ancora.
Insieme con Filippone Salvatore, appartenente alla malfamata famiglia mafiosa dei Filippone, di piazza Danesinni, l'Alberti fu sospettato del clamoroso omicidio commesso diversi anni addietro, in persona di Scaletta Francesco, gestore del bar "Piccolo Moka" sito in via Roma, autore dell'uccisione di Leonardo Calò, padre di Giuseppe Calò, il quale ultimo, a sua volta, aveva, poco tempo prima, tentato di uccidere lo Scaletta, sparandogli contro alcuni colpi di pistola andati a vuoto. Alberti Gerlando venne arrestato a Milano, in via Pietro Crespi, il 23 settembre 1963, insieme con Schillaci Salvatore e Messina Calogero, nonché con Urrata Ciro.

L'Alberti era in possesso di una patente di guida intestata a Procida Salvatore nato il 18/9/1927 a Palermo, recante la sua fotografia. Anche gli altri erano forniti di documenti di riconoscimento falsificati.

Dalla deposizione di Codispoti Francesco risulta che da tempo l'Alberti, Schillaci e Messina erano insieme assidui frequentatori del bar di via Crespí, luogo abituale di ritrovo dei meridionali dimoranti a Milano. Quanto ad Alberti in particolare, i suoi frequenti spostamenti a Palermo, non giustificati da validi motivi, si spiegano con la necessità di mantenere i contatti con le cosche" mafiose locali.

E' rilevante l'atteggiamento assunto da Alberti in relazione alla sua venuta a Palermo verso la fine di
giugno 1963 e alla successiva partenza in aereo, in data 30 giugno. All'inizio negò decisamente di essere venuto a Palermo in quell'epoca, collocando il suo ultimo viaggio in Sicilia nel periodo di Carnevale. Quindi spontaneamente ammise di essere venuto, alla fine di giugno, in Sicilia ma non a Palermo bensì a Catania per accompagnare un'amica, non meglio indicata e di essere ritornato a Milano, in treno, senza passare da Palermo,

La preoccupazione di Alberti di dare una spiegazione accettabile al viaggio fatto in quell'epoca di dimostrare la sua assenza da Falermo, messa in relazione con i sospetti formulati sul suo conto dagli organi di Polizia quale responsabile, in concorso con altri, delle tragiche esplosioni di Villabate e Villa Sirena, denota, quanto meno, che l'imputato era stato chiamato a Palermo da ragioni gravi e non confessabili.

Sul conto di Schillaci Salvatore, il quale ha cercato di assumere la veste della vittima di una ingiusta persecuzione, é da mettere in evidenza che costui si era allontanato da Carpeneto, dove si trovava con l'obbligo del soggiorno per quattro anni, trasferendosi a Milano per vivere di espedienti e di loschi traffici ed unendosi ben presto ad Alberti ed a Messina nelle loro attività criminose. A Milano lo Schillaci intreccia una relazione con certa Ferrante Filomena, la cui abitazione e frequentata da elementi della malavita milanese, e da costei nel giugno 1963 ottiene in prestito un'autovettura Giulietta targata NO 70766, a bordo della quale, la sera del giorno venticinque, viene fermato a Palermo da una pattuglia della Polizia, in compagnia di uno sconosciuto Lo Schillaci riesce a darsi alla fuga, abbandonando nelle mani degli agenti sia la macchina che la patente falsa di guida esibita, come risulta dai rapporti della Squadra Mobile in data 24 settembre e 7 novembre 1963 e dalla confessione dell'imputato.

La presenza dello Schillaci a Palermo, notata anche dal di lui cognato Romano Salvatore, nel tragico mese di giugno 1963, é una coincidenza troppo strana perché non se ne debba tener conto come elemento di prova del1'appartenenza dello Schillaci ad una associazione mafiosa.

E vi é da aggiungere che già alcuni me si prima l'imputato era stato a Palermo, dove aveva acquistato, presso l'Automarket di Partanna Giuseppe, una Giulietta targate ROMA 250748 per il prezzo di £.500.000 circa, di cui pagò solo £.100.000. Mel mese di aprile lo Schillaci abbandonava il veicolo a Casagiove sulla via Appia presso l'officina di Santonastaso Antonio, al quale si era presentato con false generalità, secondo quanto risulta dal rapporto della Questura di Palermo in data 13 novembre 1963 e dalle indagini della Questura di Caserta e della Squadra Mobile di Palermo.

Quanto ad Urrata Ciro, arrestato insieme con Alberti, Schillaci e Messina, i suoi precedenti di vita dimostrano ampiamente l'esistenza di in legame criminoso con Alberti ed altri mafiosi.

Risulta infatti dal rapporto in data 15 ottobre 1963 della Squadra Mobile e del Nucleo di Polizia Giudiziaria che Urrata Ciro venne fermato nel 1961 a Trapani insieme con Alberti, Lallicata Giovanni ed altri a con costoro denunziato per furto - e nel 1962, a Palerno in corso Tukory, mentre era in compagnia dello stesso Alberti e da Procida Salvatore.

Quest'ultimo, le cui generalità furono utilizzate dall'Alberti, per nascondere la sua vera identità, ha
ammesso i suoi amichevoli rapporti col predetto Alberti del quale anzi sarebbe cugino. A suo carico altre quante si é detto a proposito di Urrata Ciro, vi é da aggiungere che si era da tempo reso irreperibile, come risulta dal rapporto in data 23 ottobre 1963 della Squadra Mobile e del Nucleo di Polizia Giudiziaria.

Infine per quel che riguarda Messina Calogero, risulta dagli atti la sua frequenza con Lipari Giovanni, Urrata Ciro, Procida Salvatore, Fiorenza Vincenzo e Camporeale Antonino, oltre che con Alberti Gerlando e Schillaci Salvatore.

Anche Messina Calogero, come Urrata e Alberti, era fornito di documenti di identità falsi, allo scopo di confondersi meglio nella metropoli milanese ed, eventualmente, di poter facilmente espatriare.

© Riproduzione riservata