Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dopo la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna, il Blog mafie pubblica una seconda serie che si concentra sul ruolo dei mandanti


Per completare il quadro, occorre evidenziare che alla striscia di attentati del 1978-’79 seguirono altri attentati di un certo rilievo, compiuti poco prima della strage di Bologna. Gianluigi Napoli ha parlato degli attentati di Rovigo e di quello compiuto (sempre il 2.8.1980) presso la sede del Gazzettino di Venezia.

Ha parlato, inoltre, dell’attentato volto a colpire la ex sindacalista e parlamentare Tina Anselmi, che si poneva in linea di continuità con il passato, prendendo di mira un soggetto per così dire "istituzionale".

In data 8 marzo 1980, giorno della Festa della donna, un ordigno ad orologeria confezionato con due chili e mezzo di tritolo da mina anticarro venne riposto sotto la finestra di una stanza dell’abitazione della parlamentare Tina Anselmi a Castelfranco in Veneto.

La parlamentare non era in casa, ma in ogni caso l’ordigno non deflagrò per un problema tecnico.

Il testimone Napoli all’epoca raccolse le indiscrezioni da parte di Giovanni Melioli, il quale fece capire che si trattava di un’azione di matrice neofascista. Melioli descrisse in modo piuttosto dettagliato le modalità di confezionamento dell’ordigno (una scatola da scarpe con un filo che usciva) e ciò induce ragionevolmente a ritenere che appartenesse al gruppo che aveva partecipato all’azione, oppure che dovesse conoscere molto bene qualcuno che ne faceva parte. Se ne deve trarre che l’attentato fosse riconducibile all’area di ON del Veneto, così come a quelli di Rovigo e Venezia.

Sempre in questo periodo non può essere dimenticato l’omicidio del magistrato Mario Amato il 23 giugno 1980, avvenuto mentre attendeva un autobus per recarsi al lavoro. Il pubblico ministero romano venne raggiunto alle spalle da Gilberto Cavallini che, dopo avergli esploso un colpo di pistola alla nuca, fuggì sulla motocicletta condotta da Luigi Ciavardini. Mandanti dell’omicidio furono ritenuti Mambro e Fioravanti, che pure quel giorno si trovavano a Treviso.

Nell’ambito della Procura romana, il dott. Amato aveva ricevuto l’incarico di portare avanti le indagini avviate dal magistrato Vittorio Occorsio, che era stato ucciso nel 1976 proprio perché stava indagando sul gruppo di destra eversiva dei Nar e su Pierluigi Concutelli, ma soprattutto tra le connessioni della destra eversiva, la criminalità comune e un coagulo di interessi politico affaristici che troveremo all’interno della P2.

Come il suo predecessore, Mario Amato aveva indagato in modo incisivo sulla destra romana, rendendosi conto dei legami di essa con mondo finanziario, con i poteri occulti e con la criminalità, tanto che appena 10 giorni prima della sua morte, in una sua celebre audizione davanti al CSM, disse di essere arrivato “alla visione di una verità d’assieme, coinvolgente responsabilità ben più gravi di quelle stesse degli esecutori materiali degli atti criminosi”.

Ben maggiore allarme sociale avrebbe potuto destare l’attentato a Milano, avvenuto soltanto 48 ore prima della strage di Bologna, dalla quale, però, fu inevitabilmente messo in ombra.

Nel corso della notte tra il 29 e il 30 luglio 1980, venne fatta esplodere un’autobomba davanti a Palazzo Marino, che provocò la devastazione dell’ingresso del Comune di Milano, soltanto pochi minuti dopo la fine di una seduta del consiglio.

Secondo una modalità già vista nel 1979, una vettura Fiat 132 - oggetto di furto alcuni giorni prima ad Anzio (nel Lazio) - carica di esplosivo, era stata parcheggiata davanti all’ingresso secondario del palazzo in piazza San Fedele.

L’attentato non si trasformò in una strage, perché esplosero soltanto sei chili di polvere da mina tipo "Anfo" contenuti in un tubo di piombo, mentre altri due chili di esplosivo contenuti in un altro tubo di piombo e ulteriori sei chili di esplosivo contenuti in una tanica, non deflagrarono. Restò ferito soltanto un passante.

L’attentato venne rivendicato la stessa notte, con una telefonata anonima alla redazione del Corriere della Sera, ed anche il giorno dopo, con un volantino di una sigla eversiva all’epoca sconosciuta nel panorama milanese ("Gruppi armati per il contropotere territoriale’’.).

Nelle indagini svolte nell’immediatezza non emerse nulla di interesse.

Per contro, alcune dichiarazioni, in merito all’attentato milanese furono rese nel corso procedimento relativo alla strage della stazione di Bologna.

Laura Lauricella, ex compagna di Egidio Giuliani - soggetto avente un proprio gruppo autonomo, ma che era stato legato al MRP e poi ai Nar - rese dichiarazioni di un certo rilievo.

Nella sentenza della Corte di Assise di Bologna emessa in data 11.7.1988 si legge quanto segue: "Il 20 maggio 1981, nel corso di un procedimento penale pendente avanti all’A.G. di Roma, Laura Lauricella, sentimentalmente e politicamente legata a Egidio Giuliani, fra altre cose, dichiarava: "Discutendo della strage di Bologna, Egidio espresse con me un apprezzamento negativo. Espresse con me l’opinione che una cosa del genere potesse esser stata fatta solo da quel ’folle’ di Valerio Fioravanti. Peraltro, mi riferì di voler chiedere spiegazioni a Benito Allatta e Silvio Pompei, ai quali poco tempo prima, nel luglio 1980 (potrebbe anche trattarsi dei primi di giugno, ma sono quasi sicura che fosse a luglio), aveva dato, su loro richiesta, un notevole quantitativo di esplosivo che doveva essere usato a Milano per un "grosso botto". Benito e Silvio lo tranquillizzarono dicendogli che l’esplosivo era servito per un attentato al Comune di Milano. Non so di che esplosivo si trattasse: ritengo che Egidio lo avesse prelevato dal deposito di lungotevere Sangallo" (cfr. sentenza Corte Assise Bologna I 1.7.1988, 1.3.6).

Anche Raffaella Furiozzi, la quale era stata compagna di Diego Macciò, un militante dei Nar che era vicino a Cavallini - ucciso in un conflitto a fuoco con la polizia nel 1985 – rese dichiarazioni in data 25.3.1986 al P.M. di Bologna, riportando le confidenze che gli aveva fatto il compagno in vita: "Diego, sempre da Cavallini, aveva saputo che la strage di Bologna era sopraggiunta dopo il fallimento politico dell’omicidio Amato. !rifatti, con l’uccisione del giudice romano ci si riprometteva di sconvolgere l’ambiente di destra attraverso la esaltazione che quel gesto avrebbe prodotto e la repressione che avrebbe innescato, spingendo molti incerti alla latitanza e a un programma preciso di lotta armata … Se non che, per ragioni che non conosco, non vi fu quella reazione repressiva dello Stato, per cui gli effetti politici dell’omicidio Amato non vi furono cosi come ci si riprometteva. Vi fu allora l’episodio della carica esplosiva collocata in un furgone davanti a Palazzo Marino a Milano. L’azione fu ideata da Cavallini e da persona soprannominata "il Capro", certamente di Roma, che non so meglio precisare. L’attentato, che era diretto a realizzare un effetto più devastante rispetto all’omicidio Amato, e quindi a innescare quella repressione che l’omicidio del magistrato non era riuscito a ottenere, si dimostrò anch’esso un fallimento. Qualche giorno dopo ci fa la strage di Bologna: furono Giusva e Francesca a prendere l’iniziativa dopo il fallimento dell’azione di Cavallini" (cfr. sentenza Corte Assise Appello Bologna 16.5.1994, pagg. 245-246).

Come osservato nella sentenza della Corte di Assise di Bologna emessa in primo grado nel processo Cavallini, appare assai poco credibile che l’iniziativa di colpire la Stazione di Bologna fosse stata assunta da Mambro e Fioravanti a causa del fallimento dell’attentato di Milano e nell’immediatezza di esso, come pare emerger dalla predetta deposizione, sussistendo plurimi elementi testimoniali e di ordine logico per affermare che invece che la strage felsinea fosse stata da tempo deliberata e, dunque, non potesse ritenersi frutto di improvvisazione e mera conseguenza del fallimento del precedente attentato. In qualche misura la dichiarazione potrebbe risentire dell’incompleta o imprecisa spiegazione fornita all’epoca dalla fonte dell’informazione.

All’epoca non vennero acquisiti elementi di riscontro e l’indagine venne archiviata. Nel 1990 il Giudice Istruttore milanese, Guido Salvini, riaprì le indagini, interrogando in qualità di indagato Gilberto Cavallini, ma senza ottenere alcuna dichiarazione utile al riguardo. La vicenda si concluse con il proscioglimento dell’indagato.

Gli elementi raccolti portano a ritenere non solo la matrice "nera" della strage, ma anche la sua stretta correlazione con la strage felsinea nell’ottica di un programma unitario volto a colpire obiettivi fortemente simbolici nell’ambito di una ripresa della strategia della tensione, in un diverso contesto storico-politico.

A tale conclusione deve pervenirsi in base ai seguenti elementi obiettivi e di ordine logico:

- viene in rilievo la correlazione temporale tra i due eventi, che non può essere ritenuta una mera coincidenza;

- il tipo di esplosivo impiegato a Milano era già stato utilizzato in attentati riconducibili all’estrema destra;

- le modalità di azione richiamavano gli attentati compiuti presso il Campidoglio e presso il CSM a Roma nel 1979, attribuiti con certezza al gruppo MRP;

- la matrice di destra non è smentita dalla sigla attraverso la quale venne rivendicato l’attentato (Gruppi Armati per il Contropotere Territoriale), molto simile alla sigla utilizzata per rivendicare un attentato simulato, che si voleva far apparire come compiuto contro Signorelli il 5.3.1979 (Gruppi Comunisti per il Contropotere Territoriale), ma è assai simile anche a quella che era stata utilizzata per rivendicare i fatti avvenuti il 7. I. 1978 nei pressi della sede del MSI di Acca Larenzia, ove vennero assassinati a colpi di arma da fuoco due giovani militanti missini (Nuclei Armati per il Contropotere Territoriale); in realtà, la somiglianza a tali sigle poteva costituire un espediente volto a depistare, attribuendo l’attentato a gruppi di sinistra, come era avvenuto in altre occasioni nello stesso periodo;

- la carica esplosiva utilizzata era notevole, tanto che i periti nominati nel processo promosso contro Gilberto Cavallini ritennero trattarsi di uno dei più gravi attentati avvenuti a Milano, sia per la quantità dell’esplosivo usato, sia per le modalità di predisposizione dell’ordigno, sia per la messa in pericolo di vite umane trattandosi, di fatto, di una "mancata strage" ( cfr. pagg. 41-42 relazione tecnica integrativa, utilizzabile ai fini della decisione in quanto prodotta dalla difesa Bellini e comunque con il consenso di tutte le parti);

- l’esplosione avvenne soltanto pochi minuti dopo che i consiglieri comunali avevano lasciato il palazzo e ciò mantiene viva l’idea che l’attentato non volesse essere incruento;

- la sede istituzionale oggetto dell’attentato e la constatazione stessa che Milano fosse governata da una giunta di sinistra appaiono dimostrativi di una scelta non casuale dell’obiettivo, ma anzi politica, elemento che certamente accomuna l’attentato con la strage di Bologna, da sempre reputata città roccaforte del PCI;

- per quanto le dichiarazioni rese dalle due donne sopra citate non ebbero riscontri sul punto, esse avevano in comune il fatto di ricondurre ad un preciso ambiente eversivo, quello dei Nar e di Gilberto Cavallini.

Come riferito da S. Calore e P. Aleandri, Egidio Giuliani, pure avendo una propria banda, si era avvicinato dapprima a Costruiamo l’Azione, avendo relazioni strette con lannilli e Mariani, ma aveva intessuto strettissimi rapporti anche con Cavallini e poi con i Nar.

Calore riferì anche che il gruppo composto da Giuliani, Colantuoni e Sangue, oltre a fornire documenti falsi, disponeva da tempo di armi ed esplosivi, che metteva a disposizione di organizzazioni terroristiche sia di destra che di sinistra e che, dunque, Giuliani era a conoscenza delle azioni terroristiche compiute dai gruppi che riforniva (cfr. verbale di interrogatorio davanti al P.M. di Bologna in data 15.2.1984).

Oltretutto, Giuliani non era nuovo alla preparazione dell’esplosivo con le stesse modalità utilizzato a Palazzo Marino.

Infatti, nella sentenza della Corte di Assise di Bologna in data 11.7.1988 si legge quanto segue: "Orbene, Marco GUERRA ebbe a rendere al Giudice Istruttore le seguenti dichiarazioni poi confermate in giudizio davanti a questa Corte: "Egidio GIULIANI che era molto abile sul piano tecnico aveva confezionata artigianalmente già nel 1978 dei rudimentali ordigni costituiti da tubi di piombo riempiti con polvere di mina. Io vidi dei contenitori vuoti e lui mi spiegò a che cosa servivano anzi a che cosa avrebbero dovuto servire. So anche che Egidio aveva fatto dei timers, ma non so dove siano stati utilizzati" (cfr. sentenza citata, pagg. 1057-1058). Dunque, Giuliani era una figura inserita a pieno titolo in un determinato contesto terroristico ed aveva già maneggiato esplosivi e maturato una certa esperienza sul campo.

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