- Ci sono molti posti nei quali Orbán non è il benvenuto. E poi c’è Roma. Ci sono molti governi che provano sempre più imbarazzo all’idea di accoglierlo in visita ufficiale. E poi c’è Salvini.
- Nel 2018 il primo viaggio del premier, fresco di rielezione, era stato in Polonia. Stavolta neppure il governo ultraconservatore polacco vuole esporsi accogliendo il premier più ambiguo verso Putin. Perciò Orbán ha sapientemente organizzato a Roma la prima tappa dopo le elezioni del 3 aprile, che gli consegnano una maggioranza più ampia della tornata precedente, ma in un contesto di guerra che lo vede sempre più disallineato e isolato rispetto al fronte Ue-Usa.
- «La giornata romana mostra quanto in realtà si stia restringendo, per il premier ungherese, la rete di partnership europee: non incontra un altro capo di governo, ma il papa e Salvini», dice lo studioso ungherese Daniel Hegedus. Ecco qual è il gioco di Orbán, e il ruolo italiano.
Ci sono molti posti nei quali Viktor Orbán non è il benvenuto. E poi c’è Roma. Ci sono molti governi che provano sempre più imbarazzo all’idea di accoglierlo in visita ufficiale. E poi c’è Matteo Salvini. Quando nel 2018 il premier ungherese è stato rieletto, la sua prima visita ufficiale è stata nella capitale della Polonia, alleata tattica contro l’Ue tutte le volte che Bruxelles ha provato timidamente a far valere i princìpi democratici. Stavolta neppure il governo ultraconservatore polacco vuole esporsi accogliendo il premier più ambiguo verso Vladimir Putin. Perciò Orbán ha sapientemente organizzato a Roma la prima tappa estera dopo le elezioni del 3 aprile, che gli consegnano una maggioranza più ampia della tornata precedente, ma in un contesto di guerra che lo vede sempre più disallineato e isolato rispetto al fronte Ue-Usa.
Orbán, da pragmatico qual è, ha trovato a Roma una doppia via di uscita. L’incontro con il papa, che si è tenuto giovedì mattina, ha ammantato la prima visita del nuovo mandato con un’aura di rispettabilità. Il premier ha provato così a legittimare la versione che ha dato di sé da quando la guerra è iniziata: un difensore della famiglia tradizionale e un costruttore di pace, non un doppiogiochista. Poi nel pomeriggio l’incontro con il leader della Lega, «dedicato al papa e agli scenari internazionali», recitava la nota leghista. Niente saluti con il premier Mario Draghi, e stavolta neppure con la destra di Fratelli d’Italia.
Solo pochi mesi fa, Giorgia Meloni e Carlo Fidanza erano a Roma con il premier ungherese a scattare foto. Quel 26 e 27 agosto Orbán ha mangiato carbonara a Trastevere, ha partecipato a incontri di reti cattoliche, ha coltivato i rapporti coi sovranisti nostrani. Era «a Roma in vacanza», diceva la versione ufficiale. In quegli stessi giorni, a Roma si trovava il ministro degli Esteri russo Sergej Lavrov, per incontri ufficiali con Di Maio e con Draghi.
Qual è il gioco di Orbán
I legami del premier con la Russia non si interrompono con l’invasione dell’Ucraina, anzi: anche se non ha frenato con il veto i pacchetti di sanzioni Ue, Orbán si è dichiarato contro il transito di aiuti militari e l’embargo energetico. In campagna elettorale ha evitato ogni condanna a Putin; intanto la propaganda russa filtrava sui media di regime ungheresi e l’opposizione era accusata di voler portare l’Ungheria in guerra con Kiev. Il premier ha venduto al paese l’illusione di «pace, stabilità e gas a basso prezzo». Che dietro questo slogan si nascondano le sue ambiguità verso Putin, è stato lampante dopo le elezioni. Il 6 aprile Orbán da una parte ha dichiarato fedeltà alla Nato, ma dall’altra ha dato la disponibilità a pagare il gas in rubli. Ha intenzione di proseguire i progetti condivisi con Mosca, dalla International investment bank, avamposto finanziario russo a Budapest, al progetto nucleare Paks II.
Ma di fronte al suo crescente isolamento, il premier ha provato a vendere all’Ue la stessa illusione già propinata ai suoi elettori: un Orbán costruttore di pace. «Sono stato al Cremlino prima ancora di Macron e Scholz proprio per questo», ha detto, riferendosi alla sua visita di inizio febbraio. E poi ha proposto Budapest come luogo di negoziati di pace, replicando in Ue lo schema già usato dal presidente (e autocrate) turco: porsi come ponte di dialogo per riabilitarsi.
Perché proprio l’Italia
Dopo aver brevemente incontrato Orbán in Ungheria a settembre, nei giorni del congresso eucaristico, e aver lasciato trapelare il suo dissenso per la linea anti migranti del premier, stavolta il papa lo ha accolto per 45 minuti e con toni gioviali; coi rifugiati ucraini, il governo ungherese ha cambiato attitudine, e la «famiglia tradizionale» è una sua bandiera da sempre. Il Vaticano, che cerca faticosamente di costruire ponti di dialogo e pace, ha aperto a Orbán le porte che solitamente apriva Varsavia per la prima visita post voto.
«La giornata romana mostra quanto in realtà si stia restringendo, per il premier ungherese, la rete di partnership europee: non incontra un altro capo di governo, ma il papa e Salvini», dice lo studioso ungherese Daniel Hegedus. Per lui, «Salvini può farlo perché sa che la cosa non avrà conseguenze: nessuno si aspetta che giochi secondo le regole, e non ha incarichi di governo».
Il leader della Lega si è trincerato dietro il papa: «Se è opportuno l’incontro? Ha incontrato il papa, non scherziamo». Ma FdI, che pure ha inviato le congratulazioni post voto a Orbán assieme a Marine Le Pen e altre forze di estrema destra, ha evitato l’incontro. Il piano per un gruppo comune delle destre europee è saltato, gli alleati conservatori polacchi di Meloni in Ue sono i primi a distanziarsi da Orbán, e stavolta un selfie porta solo guai.
© Riproduzione riservata