Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha cantato vittoria e ha annunciato, al termine della riunione del gabinetto di guerra, che ha accettato la tregua con Hezbollah. Lo ha fatto per tre motivi, ha detto in un messaggio televisivo: «Concentrarci sulla minaccia iraniana», «dare respiro alla forza militare e alle nostre apparecchiature», assicurare la liberazione degli ostaggi ancora nelle mani di Hamas a Gaza. «Dobbiamo isolare Hamas, perché dal secondo giorno di guerra contava su Hezbollah. Una volta eliminato Hezbollah, Hamas resterà da sola», ha detto. La durata della pace (a oggi di 60 giorni) «dipende da quello che succederà in Libano. Noi, manterremo la nostra libertà militare, se Hezbollah si riarmerà noi lo attaccheremo», ha detto Netanyahu, che ha concluso esortando: «Stiamo cambiando il volto del Medio Oriente».

Il primo ministro libanese Najib Mikati ha sollecitato in un messaggio la comunità internazionale ad «agire velocemente» per attuare il cessate il fuoco. Secondo una fonte del governo libanese dovrebbe entrare in vigore già alle ore 4 locali del 27 novembre (le 3 in Italia).

Le parole di Biden

Il raggiungimento della tregua è stato confermato anche dal presidente degli Stati Uniti Joe Biden. «Nei prossimi 60 giorni il governo libanese riprenderà il controllo del proprio territorio. A Hezbollah, o quel che ne resta, non sarà consentito di minacciare più la sicurezza di Israele. Quest’ultimo ha ora vantaggi tattici sufficienti che ne possono assicurare la sicurezza a lungo termine», ha detto Biden. Il presidente Usa ha confermato che se Hezbollah violerà l’accordo «Israele avrà diritto alla difesa». E ha aggiunto: «Anche a Gaza serve una tregua urgente, la popolazione civile sta vivendo un inferno, ma Hamas rifiuta l’accordo. L’unica via verso il cessate il fuoco è la liberazione degli ostaggi nelle mani di Hamas. Nei prossimi giorni, gli Usa lanceranno un'altra iniziativa insieme a Turchia, Egitto, Qatar, Israele e altri Paesi per raggiungere un cessate il fuoco, il rilascio degli ostaggi e la fine della guerra». Biden ha anche confermato che non ci saranno truppe nel sud del Libano e ha annunciato, infine, che «gli Stati Uniti restano pronti a raggiungere un accordo storico con l’Arabia Saudita».

Incognite

Solo il tempo dimostrerà se l’accordo di tregua tra Hezbollah e Israele, arrivato 18 anni dopo la guerra del 2006, basterà per garantire la pace lungo il confine per i prossimi due mesi. E se l’intesa raggiunta cambi il volto del Medio Oriente o sia una mera riproposizione con qualche modifica di decisione già prese in passato e mai attuate.

Ma dopo oltre 67 giorni di conflitto armato aperto tra le due parti, iniziato con l’invasione dei soldati di Tel Aviv del sud del Libano, la tregua serve a tutti. I vertici di Hezbollah, riferiscono media arabi, hanno fatto passare internamente il messaggio che il cessate il fuoco non è una sconfitta ma una pausa tattica. Così come la ritirata delle milizie oltre il fiume Litani (prevista nella bozza dell’accordo) è un «adattamento temporaneo» per proteggere i civili, far ritornare gli sfollati nelle proprie case e proteggere l’arsenale del movimento.

Troppo presto, quindi, per capire se gli annunci di Netanyahu e di Joe Biden siano il primo successo ottenuto dall’amministrazione americana in oltre un anno di guerra in Medio Oriente. Tutto, comunque, può cambiare con l’insediamento dell’imprevedibile Donald Trump alla Casa Bianca. Per ora, da Washington brindano al lavoro di diplomatico del consigliere Amos Hochstein che dopo giorni di colloqui incessanti a Beirut può tornare a casa con un primo risultato. «L’accordo ha richiesto mesi di lavoro con Israele, Francia e altri stati», ha detto il segretario di Stato americano Antony Blinken presente al G7 degli Esteri a Fiuggi e Anagni. Parigi, infatti, farà da garante insieme agli Stati Uniti del rispetto dell’accordo ma non è esclusa la presenza di altri paesi occidentali.

«L’accordo, farà una grande differenza nel salvare vite in Israele e Libano, garantendo il ritorno a casa delle persone», ha aggiunto Blinken, e «può anche aiutarci a fermare il conflitto a Gaza». La tregua con Hezbollah, infatti, priverebbe Hamas di un sostegno militare non indifferente. Da giorni, infatti, la leadership dell’organizzazione palestinese è silente mentre è ancora alla ricerca del successore di Yahya Sinwar ucciso già quasi un mese e mezzo fa a Khan Younis. Il capo della diplomazia di Washington, però, ha anche ammesso la preoccupazione per «il post conflitto» a cui si sta già pensando ora. L’incognita nucleare iraniana fa ancora paura.

Gli ultimi colpi

In attesa di capire come si svilupperà il cessate il fuoco, l’esercito israeliano ha continuato a bombardare il Libano fino all’ultimo minuto. L’Idf ha riferito che i caccia israeliani hanno colpito oltre 180 obiettivi di Hezbollah in tutto il paese nelle ultime 24 ore. Almeno due raid aerei hanno colpito la capitale libanese.

Secondo il ministero della Sanità nel primo attacco sono state uccise almeno dieci persone e 37 sono state ferite, ma il dato è provvisorio, considerato l’alto numero di persone intrappolate tra le macerie. Anche da parte della milizia filoiraniana non è cessato il lancio di missili verso il nord di Israele, con le sirene che sono suonate ad Haifa e nella Galilea. Altre bombe dell’Idf sono state invece sganciate a Homs, in Siria

Netanyahu

Mentre il premier israeliano annuncia il cessate il fuoco, dopo lunghe mediazioni interne con il fronte più estremista guidato dal ministro della Sicurezza nazionale, Itamar Ben Gvir, che ha definito la tregua «un errore storico», la sua posizione internazionale esce rafforzata dal G7 italiano. I ministri, infatti, hanno preso tempo e messo in discussione la legittimità del mandato di cattura emesso dalla Corte penale internazionale. «Per applicare gli obblighi della sentenza della Cpi, bisogna capire bene quali sono questi obblighi. Se si capiscono quali sono le regole saremo pronti a rispettarla. Ma almeno finché in carica, il mandato d'arresto per Netanyahu è inapplicabile», ha detto il ministro degli Esteri Antonio Tajani.

«Fino ad ora l’unico caso riguarda la Serbia ma sono stati i serbi a consegnare Milosevic alla Corte. Ma io sono pragmatico: per questo diciamo che vanno lette le carte». Per il momento, quindi, il G7 si limita a esortare Israele al rispetto degli obblighi internazionali. Nulla di nuovo rispetto a quanto annunciato nell’ultimo anno di guerra che ha massacrato oltre 43mila civili a Gaza.

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