- A Kishinau, in Moldavia, si vedono ovunque bandiere dell’Unione europea. In realtà il piccolo paese senza sbocco sul mare schiacciato fra Ucraina e Romania ancora si trova ben lungi dall’ottenere la piena adesione al club di Bruxelles.
- «La mia identità e la mia visione sul futuro della Moldavia si sono plasmate allora, quando a 8-9 anni andavo a manifestare coi genitori in favore dell’indipendenza e della lingua rumena», ha raccontato il ministro degli Esteri Nicu Popescu.
- «Vogliamo una relazione normale con la Russia, che si basi sul rispetto reciproco. Ma vogliamo fare parte dell’Unione europea».
A Kishinau, in Moldavia, si vedono ovunque bandiere dell’Unione europea. In realtà il piccolo paese senza sbocco sul mare schiacciato fra Ucraina e Romania – la cui popolazione ha i livelli di reddito più bassi in Europa ed è di lingua e cultura rumena – ancora si trova ben lungi dall’ottenere la piena adesione al club di Bruxelles. Ma di certo i due mesi trascorsi dall’inizio della guerra di Vladimir Putin hanno contribuito ad accelerarne la propensione filo-occidentale: Mosca, che ha dominato la regione a lungo sia come impero zarista che in epoca sovietica, ora sembra sempre più lontana.
La centrale via 31 Agosto 1989 è dedicata al giorno in cui l’allora Repubblica socialista sovietica della Moldavia ha dichiarato il rumeno in caratteri latini lingua ufficiale, un affronto al russo e all’alfabeto cirillico imposto dall’Urss.
Qui incontriamo il quarantenne ministro degli Esteri, Nicu Popescu, con un piccolo piercing sull’orecchio sinistro che toglie solo in rare occasioni. Il capo della diplomazia locale si ricorda bene di quelle giornate. «La mia identità e la mia visione sul futuro della Moldavia si sono plasmate allora, quando a 8-9 anni andavo a manifestare coi genitori in favore dell’indipendenza e della lingua rumena», racconta nel suo ufficio, con all’ingresso una statua in legno dell’eroe nazionale Ștefan cel Mare.
Da quando la guerra preme sul vostro confine orientale sentite come più urgente ribadire quali siano i vostri orizzonti geopolitici?
Sì, gli eventi tragici e incredibili della guerra hanno costretto tutti a riflettere sulle proprie traiettorie. Nel nostro caso il 3 marzo la presidentessa Maia Sandu ha ufficializzato la nostra candidatura all’ingresso nell’Ue, e pochi giorni fa in Lussemburgo il commissario europeo per l’Allargamento, Olivér Várhelyi, mi ha consegnato un questionario per valutare il nostro stato di preparazione. Non sarà un processo facile o immediato, e chissà in quale Europa e, soprattutto, in quale Europa orientale ci ritroveremo dopo questa guerra. Ma siamo molto determinati. Combatteremo la corruzione anche se la situazione economica attuale lo rende più difficile.
In Moldavia si parla di Ue già dagli anni ’90, nel 2006 il ministero dove ci troviamo è stato rinominato «degli Esteri e integrazione europea». Poi ci sono stati governi che si sono impegnati su questo piano e altri più dediti a fare ruberie. Il nostro ha ricevuto un mandato europeista molto forte e, certo, la guerra ha dato un’accelerata al nostro calendario.
Nel frattempo avete dovuto gestire un flusso di profughi molto importante.
Mi verrebbe da dire che nessun paese in Europa ha vissuto i contraccolpi della guerra così da vicino. In Moldavia sono passati 400mila profughi e circa 96mila rimangono sul nostro territorio. La popolazione è aumentata di quasi il 4 per cento in poche settimane: facendo le proporzioni, è come se in Italia fossero arrivati due milioni e mezzo di profughi. L’impatto su infrastrutture e servizi è molto forte. In particolare, le nostre scuole hanno visto il numero di studenti balzare del 10 per cento, visto che circa 48mila dei nuovi arrivati sono minorenni.
Devo dire però che la nostra società si è dimostrata molto solidale. Più del 90 per cento dei profughi sono ospiti di abitazioni private, non ci sono tendopoli e i centri d’accoglienza sono relativamente vuoti. Abbiamo bisogno di sostegno per aiutare le famiglie che si sono messe a disposizione a titolo gratuito. La guerra non è finita e potrebbero giungere nuove ondate.
C’è anche la Transnistria, regione separatista filo russa sulla quale avete perso il controllo fin dalla guerra civile del 1992, 30 anni fa. La presenza di circa 1.500 soldati russi su quel territorio fa temere un coinvolgimento nella guerra in corso: il ministero della Difesa ucraino ha denunciato una loro presunta mobilitazione.
È chiaro che l’esistenza di una regione separatista e la presenza illegale di truppe russe non sono fattori di stabilità. Da tempo ne chiediamo il ritiro e in questa fase non possiamo dire di essere rilassati. Però nelle ultime settimane non abbiamo ravvisato movimenti inusuali delle truppe. E i residenti hanno fatto capire di non voler vivere in una zona di guerra.
Prima dell’invasione stavamo portando avanti un dialogo con i russi per smantellare il deposito di munizioni di Cobasna, nel nord della Transnistria (è il più grande magazzino di vecchi armamenti e munizioni di epoca sovietica dell’est europeo, secondo gli scienziati un’esplosione avrebbe la stessa forza di quella di Hiroshima nel 1945, ndr). Purtroppo il processo si è ancora una volta arenato.
Siete il paese più povero d’Europa. Oggi almeno 300.000 moldavi si trovano in Italia, molti di loro in cerca di lavoro. Chi può va in Romania, sfruttando il fatto che un quarto dei vostri connazionali hanno anche la cittadinanza di Bucarest. Temete i contraccolpi economici della guerra su una popolazione già così vulnerabile?
Certo, li stiamo già vivendo. Il nostro commercio in uscita verso Russia, Ucraina e Bielorussia è bloccato. Per fortuna il progressivo aumentare dei nostri scambi con l’Europa e le restrizioni imposte di conseguenza da Putin, in particolare nel 2006 e dopo l’accordo di associazione con l’Ue del 2014, hanno fatto sì che oramai fra il 65 e il 70 per cento del nostro export vada verso l’Ue. Ma ci sono settori, come quello delle mele, che vendevano tutto in Russia. Le nostre importazioni passavano dal porto di Odessa e ora dobbiamo mandare i camion a prelevarle agli scali in Bulgaria e Romania, a prezzi molto più alti.
A differenza del commercio, la dipendenza dalla Russia in fatto di gas rimane vicina al 100 per cento.
Stiamo lavorando anche per diversificare le nostre fonti di approvvigionamento di energia. Lo scorso ottobre per la prima volta nella nostra storia abbiamo comprato del gas in Europa e da febbraio abbiamo anche trovato un modo per acquisire elettricità dal mercato europeo.
Lei si è laureato in una delle università più rinomate di Mosca, è stato a Budapest alla Ceu di George Soros e poi ha insegnato a Science Po a Parigi. La Moldavia potrebbe sfruttare la sua posizione a cavallo fra due mondi?
Sono un cittadino moldavo, voglio pace, democrazia e prosperità per il mio paese, e credo che l’integrazione europea sia la strada migliore. Lo pensavo anche prima di andare all’università. La nostra lingua è latina, l’italiano è quella a cui assomiglia di più. Voi dite buonasera e noi diciamo “bună seara”, voi dite indipendenza e noi diciamo “independenţă”.
All’ingresso del nostro museo di Storia nazionale ci sono Romolo e Remo con la lupa. Vogliamo una relazione normale con la Russia, che si basi sul rispetto reciproco. Ma vogliamo fare parte dell’Unione europea.
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