- La Moldavia, che confina a est con l’Ucraina e a ovest con la Romania e non ha sbocchi sul mare, è praticamente del tutto dipendente dalla Russia per quanto riguarda le forniture di gas.
- I profughi ucraini sanno bene che in Transnistria rimangono dei contingenti militari russi.
- Kiev teme possano essere utilizzati per un eventuale assedio su Odessa. L’altro timore è che Mosca possa imporre una soluzione al conflitto congelato dei territori a est del fiume Dnestr di fatto entrando in conflitto diretto con la Moldavia.
Kostiantyn Yefimov ha 31 anni, viveva coi genitori a Kharkiv nell’Ucraina nord-orientale, dove faceva il netturbino per 10.000 grivnie ucraine al mese (circa 300 euro).
È arrivato a Kishinau, capitale della Moldavia, qualche giorno fa. «Mi è sembrato fosse la mia ultima opportunità per scappare dalla guerra», dice. Si è sottoposto a una circoncisione per provare a convincere il console israeliano a dargli la cittadinanza (la madre è ebrea, ma convertita al battismo) e lasciarlo partire per Tel Aviv.
Circa 10.000 grivnie ucraine era anche lo stipendio di Larisa Sidelnikova, 42 anni, ex commessa di un negozio di abbigliamento per donne di Odessa. È stata profuga due volte: la prima quando ha lasciato il Donbass, durante la guerra del 2014, per fuggire verso l’Ucraina occidentale. La seconda adesso, quando è partita da Odessa per scappare in Moldavia. «Ho camminato 13 chilometri sotto la pioggia con mio figlio Kirill», dice.
A Kishinau è l’ora dei profughi più poveri. La Moldavia, con una popolazione che è la metà di quella della Sicilia (due milioni e mezzo di persone), è stata attraversata da 400.000 ucraini dall’inizio della guerra lo scorso 24 febbraio.
Ma se nei primi giorni le automobili delle famiglie in fuga facevano brillare gli occhi della popolazione locale – «si vedevano in gira dei macchinoni, perfino delle Tesla», si mormora nel paese, dove il Pil pro capite è di circa 5.000 euro l’anno (un sesto di quello italiano, di molto inferiore a quello ucraino) – chi arriva ora, dopo più di un mese di guerra, lo fa per disperazione, senza avere i mezzi per pagarsi Airbnb o stanze d’albergo. Restano i centri di accoglienza, o le famiglie moldave, che ospitano tre quarti dei 100.000 profughi rimasti in Moldavia.
I numeri forniti dalla polizia di frontiera moldava fanno vedere che, per quanto il record di arrivi del 6 marzo scorso (26.504) sia molto lontano, il flusso è ben lungi dall’esaurirsi.
Flusso continuo
Si viaggia sui 3.000 nuovi profughi al giorno. «La popolazione in Moldavia è improvvisamente aumentata del 4 per cento. Ma è stato impressionante vedere la solidarietà dei cittadini, fin dal primo giorno della guerra. La gente si è spontaneamente mobilitata fornendo ogni tipo di sostegno, dai trasporti, alle sistemazioni, al cibo. Di fatto, hanno colmato le lacune iniziali dello stato».
A parlare è Iulian Groza, direttore esecutivo del think tank Institute for European Policies and Reform, già viceministro dell’Integrazione europea, e membro del Consiglio supremo di sicurezza della Moldavia. «Oltre alla crisi umanitaria la Moldavia è anche esposta a rischi per la sua sicurezza», continua Groza, che appartiene alla corrente filo europeista della politica moldava, perlopiù di cultura e lingua rumena, attualmente al potere. «Non siamo ancora coinvolti in una guerra convenzionale con la Russia, ma siamo sottoposti a diverse forme di attacchi ibridi. Gli ucraini combattono anche per noi».
Il gas
La Moldavia, che confina a est con l’Ucraina e a ovest con la Romania e non ha sbocchi sul mare, è praticamente del tutto dipendente dalla Russia per quanto riguarda le forniture di gas.
Quanto al commercio, invece, il boicottaggio russo seguito ai primi passi verso l’Unione europea (al momento ha un accordo di Associazione) ha fatto sì che il paese sviluppasse nuove direttrici. Per esempio, l’industria del vino, uno dei prodotti più importanti per la Moldavia, prima esportava per tre quarti verso la Russia, mentre ora vende quasi esclusivamente in occidente (a Kishinau ci sono due fra le cantine sotterranee più grandi del mondo, anche se la qualità non è delle migliori).
A MoldExpo, una struttura per le esposizioni internazionali riconvertita a principale centro d’accoglienza, vicino al lago Valea Morilor di Kishinau, ci si accorge subito che la crisi umanitaria è soprattutto una crisi di bambini. Sono la metà dei profughi rimasti in Moldavia, complice il fatto che, come noto, i maschi adulti che non sono partiti nei primissimi giorni della guerra non sono autorizzati a lasciare l’Ucraina.
Qualche giorno fa, fra i bambini del centro, si è diffusa la voce che gli operatori preparassero una grande distribuzione di giocattoli (il ruolo principale lo svolgono Unhcr e il Programma alimentare mondiale). Si vedevano i piccoli correre in giro eccitati, rivelando ai coetanei il piccolo segreto. Alla fine non era vero niente: non c’era alcuna distribuzione, e non si è capito chi avesse messo in giro la voce.
Il MoldExpo
«All’inizio della guerra a mio figlio ho raccontato che c’erano i fuochi d’artificio», racconta Katherina Chichikova, 30 anni, seduta sul marciapiede di uno spiazzo davanti a MoldExpo. «Ma ha 3 anni, è troppo intelligente, ha capito subito che raccontavo bugie».
La giovane madre è un altro caso di “doppia profuga”: emigrata a 18 anni da Luhansk, durante la guerra del 2014-2015, ha lasciato i genitori per stabilirsi a Odessa. Ora è dovuta fuggire da Odessa per venire qui. È arrivata il 3 marzo. Racconta come i soldi per l’albergo siano finiti subito. «Volevamo prendere una casa economica in affitto, o una stanza, ma con tutti gli arrivi i prezzi sono saliti parecchio, è molto caro», dice. «Non avendo altra scelta, abbiamo optato per la soluzione gratuita offerta da MoldExpo».
Katherina racconta come alcuni giovani moldavi guardino con gelosia ai nuovi arrivati: spesso, infatti, in particolare nelle campagne, la popolazione ospitante è più povera di quella di rifugiati. «Molte cose ora sono gratis per gli ucraini, come i trasporti pubblici, i teatri», racconta, «e alcuni pensano che noi abbiamo tutto, mentre nessuno si occupa di loro. Ma è un modo di pensare sbagliato: loro hanno una casa. Noi non abbiamo un posto dove dormire. La maggior parte dei moldavi comunque tiene molto a noi», conclude. Sono piccoli segnali che fanno temere uno scenario simile a quello del Libano, dove spesso gli aiuti ai siriani vengono malvisti a causa della crescente povertà degli stessi cittadini libanesi.
Il caso libanese
I paragoni col Libano, piccolo paese a suo tempo travolto da una crisi di rifugiati, non fanno certo piacere al governo moldavo, fatto di giovani politici, dall’inglese impeccabile, che sognano l’ingresso nell’Unione europea.
La strada è lunga: serve una battaglia contro la corruzione – lo ricordano diversi manifesti sul tema nelle strade di Kishinau – una riforma del sistema giudiziario, una crescita che possa alleviare la grave povertà interna. C’è poi il problema che più di tutti fa preoccupare in queste settimane di guerra ucraina: la regione filo-russa autonomista della Transnistria, auto-proclamatosi indipendente ma considerata da Kishinau e dalla comunità internazionale come territorio moldavo.
I profughi ucraini che scelgono di lasciare il paese sanno bene che in Transnistria, fin dalla caduta dell’Unione sovietica e da una breve guerra civile con la neonata Repubblica di Moldavia, rimangono dei contingenti militari russi.
Kiev teme possano essere utilizzati per un eventuale assedio su Odessa, tanto che ha distrutto diversi ponti in territorio ucraino sulla direttrice che collega la regione autonomista alla città portuale.
Ma l’altro timore è che Mosca possa imporre una soluzione al conflitto congelato dei territori a est del fiume Dnestr, dove c’è anche uno dei più grandi depositi di munizione dell’est Europa, di fatto entrando in conflitto diretto con la Moldavia. «La cosa buona è che, se vengono i russi, la guerra durerebbe 15 minuti o al massimo mezz’ora», scherza Edoardo, un moldavo di 33 anni, alludendo alla debolezza delle forze di difesa del suo paese.
Iryna Borovyk, 36 anni, ha deciso di andarsene subito dopo essere arrivata in autobus da Odessa proprio perché in Moldavia si sente ancora troppo vicina al conflitto. «Riparto subito, e fra sette ore arriverò a Bucarest», dice. «E da lì proseguirò per la Turchia».
In quanto ex lavoratrice del settore del trasporto navale del porto di Odessa, ormai chiuso, ha contatti a Istanbul, dall’altra parte del Mar Nero. «Ho provato per un mese a convincere i miei genitori a partire, ma alla fine ho lasciato stare, e me ne sono andata con un amico», dice. «In caso di assedio la mia casa è esposta, si trova all’ingresso della città».
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