Sui migranti l’esecutivo non ammette più intoppi di natura giudiziaria. Le toghe, sotto attacco, si riuniranno in assemblea a Bologna il 4 novembre
«Giudici comunisti», «sentenza abnorme», «argomentazione più vicina a un volantino propagandistico che a un atto da tribunale». Se le parole sono importanti, quelle scelte dai più alti rappresentanti del governo italiano per definire il lavoro della magistratura suonano come una vera e propria dichiarazione di guerra. Quello appena riportato, infatti, è un campionario sintetico e per nulla esaustivo di affermazioni pronunciate nelle ultime settimane dal vicepremier Matteo Salvini, dal ministro della Giustizia Carlo Nordio e dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni.
Nel mezzo ci sarebbero anche decine di dichiarazioni, ancora più aspre e sprezzanti, uscite dalle bocche di generali, colonnelli e seconde file di tutti partiti della maggioranza contro le toghe. L’ordine di scuderia è chiaro: ribattere punto per punto, il governo non intende fermarsi davanti alle sentenze. In ballo c’è l’idea tutta ordine e disciplina di Palazzo Chigi in tema di immigrazione.
E più i giudici applicheranno la legge, disapplicando i provvedimenti dell’esecutivo, come accaduto per i Cpr in Albania, più si esporranno all’artiglieria del potere politico. Perché «noi rispondiamo al popolo», ha avuto modo di dire nei giorni scorsi il guardasigilli, trasformando il mandato popolare in potere assoluto.
Altra nave, altra sfida
E così la prossima settimana, tra lunedì e mercoledì, la nave Libra della Marina militare italiana salperà di nuovo verso l’Albania per portare il maggior numero possibile di persone nei centri di Shengjin e Gjader, fiore all’occhiello della gestione creativa dell’immigrazione del nostro governo, il “modello” esternalizzato dell’accoglienza da esportare in tutta Europa. E pazienza se il Tribunale di Roma, con ogni probabilità, sarà costretto a un provvedimento fotocopia di non convalida dei trattenimenti albanesi, come già accaduto due settimane fa.
L’importante, per l’esecutivo, è mostrare i muscoli, non arretrare di un millimetro. Né attendere il verdetto della Corte di Giustizia europea che dovrebbe esprimersi sulla pregiudiziale interpretativa richiesta dal Tribunale di Bologna sulla definizione di “Paese sicuro”. Il governo Meloni non può perdere tempo, a costo di dissipare altro denaro pubblico per la gestione di centri (e viaggi) attualmente inutili.
Chi si oppone alla tabella di marcia diventa immediatamente un nemico del popolo e in intralcio al genio italico. Il giudice diventa un bersaglio da screditare. Da punire. Così come punitiva appare ormai persino la riforma della magistratura: separare le carriere non per rendere più efficace l’amministrazione della giustizia con un giudice effettivamente terzo, ma per castigare un potere “concorrente”.
Il bon-ton istituzionale da prima Repubblica, quello sintetizzabile nella formula tanto ipocrita quanto necessaria “le sentenze non si commentano, si rispettano”, è andato a farsi benedire in un clima di sfida perpetua. «Non possono esserci giudici che smontano la sera quello che altri fanno la mattina», ha avuto modo di dire Matteo Salvini, lì dove “gli altri” sono loro, gli uomini del governo, liberi di ritenere la difesa dei confini prioritaria rispetto al diritto.
L’Anm a Bologna
Alla magistratura non resta che incassare l’ennesimo attacco, provando a resistere alle bordate. «La frequenza con cui si succedono le prese di posizione aspramente e duramente polemiche contro i magistrati che si trovino a decidere in senso contrario alle attese e alle pretese del governo suscita una forte preoccupazione tra i magistrati e, spero vivamente, tra tutti quanti hanno a cuore l’equilibrio tra i poteri dello Stato», dice a Domani il presidente dell’Anm Giuseppe Santalucia.
Che poi annuncia: «L’indignata preoccupazione per la effettività dei principi di autonomia e di indipendenza della magistratura ha indotto a indire un’assemblea della Anm del distretto bolognese, ultimo tra quelli in cui i giudici sono stati colpiti dalle aggressioni giornalistiche e dalle pesanti accuse del mondo politico di far propaganda, di essere mossi da intenti politico-partitici, di esser “comunisti” e avversi agli interessi del nostro Paese».
A Bologna, lunedì, le toghe discuteranno e si confronteranno «sulla gravità di quanto sta accadendo», spiega ancora il leader del sindacato togato. «Quale presidente Anm, testimonierò con la mia presenza all’assemblea l’inquietudine che si fa sempre più strada tra i magistrati, porterò ai colleghi bolognesi la vicinanza e la solidarietà di tutta l’Associazione nazionale magistrati e confermerò che la piena e convinta adesione della magistratura italiana ai valori e ai principi della Costituzione è la prima e più importante risposta agli ingiusti e irrispettosi attacchi».
Nel capoluogo emiliano arriveranno anche alcuni consiglieri del Csm: Mimma Miele (Md), Antonello Cosentino (Area) e gli indipendenti Andrea Mirenda e Roberto Fontana. E probabilmente se ne aggiungeranno anche altri. «La nostra presenza sarà una manifestazione di sostegno ai colleghi bolognesi», ci spiega il consigliere Fontana.
«D’altro canto noi non siamo per niente soddisfatti del fatto che dopo un anno la pratica Apostolico non sia ancora stata chiusa», aggiunge, riferendosi al caso della giudice Iolanda Apostolico, la prima ad aver disapplicato il decreto Cutro e ad essere per questo finita nel mirino della maggioranza e dei giornali di destra.
«A questo punto, si è talmente aggravata l’escalation che è probabile che finalmente si chiuda rapidamente anche la pratica Apostolico ed è possibile che lunedì parta una richiesta di pratica a tutela anche dei colleghi bolognesi, su iniziativa di tutti i consiglieri togati». Ma l’assemblea dell’Anm difficilmente riuscirà a placare la contrapposizione col governo. Almeno fino quando esisterà un magistrato talmente folle e indisciplinato da applicare la legge: una toga rossa da educare.
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