La vittoria in Liguria ha fatto tirare un sospiro di sollievo a Giorgia Meloni: «Da quando siamo al governo abbiamo votato 12 volte, e vinto 11 volte», ha detto a Cinque minuti. Una boccata d’ossigeno per il centrodestra che fa ben sperare per il voto in Umbria ed Emilia-Romagna (17 e 18 novembre). Una rassicurazione sul fatto che, a livello elettorale, la coalizione funziona e senza mutamenti di equilibrio interni. Molti altri problemi, però, rimangono impellenti.

L’ultimo in ordine di tempo riguarda l’ormai insanabile scontro con la magistratura per la gestione dell’immigrazione. In particolare dei centri in Albania e intorno alla definizione di “paesi sicuri” contenuta nell’ultimo decreto legge del governo. I giudici italiani hanno portato la questione all’attenzione della Corte di giustizia europea con un rinvio pregiudiziale, per chiedere quale sia il parametro da utilizzare per individuare le condizioni di sicurezza che sottendono alla designazione di un paese terzo come paese di origine sicuro e se sussista sempre l’obbligo di disapplicare le norme nazionali in caso di contrasto con la direttiva sullo status di protezione.

In altre parole, la mossa del governo in risposta alle scelte dei giudici in materia di accoglienza rischia una bocciatura dalla Corte in Lussemburgo e, se così fosse, il rischio di minare definitivamente il “sistema Albania” si concretizzerebbe. «Le argomentazioni sono più vicine a un volantino propagandistico che a un atto da tribunale.

L'argomento della Germania nazista è efficace sul piano della propaganda, sul piano giuridico è più debole», è stato il commento lapidario di Meloni, che certo non abbassa la tensione con le toghe. Secondo Meloni la strategia del governo «sta funzionando» e ha rivendicato la scelta albanese definendo il protocollo «la chiave di volta», ma «per alcuni l'obiettivo è impedire di fermare l'immigrazione irregolare», ha concluso. Ora, tuttavia, poco può fare il governo se non attendere e sperare. 

Nel frattempo, nel pacchetto per l’allargamento 2024 presentato dalla Commissione Ue, si legge che «il protocollo sulla gestione della migrazione fra Italia e Albania deve essere attuato nel pieno rispetto delle leggi europee e internazionali». Un’indicazione che lascia spazio a molte interpretazioni – il governo sostiene che siano i giudici italiani ad aver sbagliato ad applicare le norme europee – ma che mostra come la questione sia al centro dell’attenzione di Bruxelles.

Il giudice costituzionale

Non solo. Anche con il Colle i rapporti rischiano di essere sempre più tesi e per una questione che ormai, è noto, sta molto a cuore al presidente come l’elezione del nuovo giudice costituzionale. Dopo il muro contro muro delle scorse settimane, ieri si è svolta la nona seduta comune del parlamento per eleggere il sostituto di Silvana Sciarra ed è stata fumata nera.

Nessun accordo è stato trovato né cercato con la minoranza, dunque i tre quinti necessari sono rimasti un miraggio e tale rimarranno, verosimilmente, fino a dicembre, quando concluderanno il mandato altri tre giudici. «Non è possibile limitarsi ad affermare la propria visione delle cose – approfondendo solchi e contrapposizioni – ma occorre saper esercitare capacità di mediazione e di sintesi. Poiché le istituzioni appartengono all’intera collettività» era stato il monito di Sergio Mattarella, che diventerà tanto più vero (e forse ascoltato) quando i giudici mancanti saranno quattro.

Con un ulteriore tema: l’elenco dei nomi per i possibili nuovi giudici sono tutti di uomini (Francesco Saverio Marini, consigliere giuridico della premier, rimane in pole position, seguito dall’ipotesi del viceministro Francesco Paolo Sisto. Il Pd ragionerebbe in particolare sul nome del costituzionalista Stefano Ceccanti), sia per la maggioranza sia per l’opposizione, nonostante una delle uscenti sia appunto Sciarra.

Una ipotesi potrebbe essere quella della ministra Elisabetta Casellati, ma da più parti viene considerata improbabile perché aprirebbe l’ennesimo buco nella squadra di governo. In ogni caso il punto rimane fermo: che siano uno o quattro, nessun giudice verrà eletto senza sedersi al tavolo con le opposizioni.

Lo sciopero

Accanto ai problemi istituzionali e politici, inoltre, anche il mondo sindacale sta tornando a ribollire. La Cgil e la Uil hanno proclamato uno sciopero generale per il 29 novembre per protestare contro la manovra di bilancio, che è stata definita «del tutto inadeguata a risolvere i problemi del paese, e per rivendicare l’aumento del potere d’acquisto di salari e pensioni e il finanziamento di sanità, istruzione, servizi pubblici e politiche industriali». I sindacati hanno denunciato anche un problema di metodo del governo, che li ha convocati «con una manovra già consegnata alle camere e che ha pochissimi margini di cambiamento». Il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, ha minimizzato, parlando di iniziativa «ridicola» di «due sindacati italiani di estrema sinistra». 

Una linea, questa, condivisa anche dalla premier, secondo cui «c'è un piccolissimo pregiudizio da parte di Cgil e Uil» e, rivendicando il contenuto della manovra, ha detto che «non siamo più nel merito». Eppure il punto rimane, la manovra – per ammissione del ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti – ha chiesto «sacrifici a tutti: privati, imprese e pubblica amministrazione» e ieri anche l’Istat ha certificato che il Prodotto interno lordo, nel terzo trimestre, è rimasto sostanzialmente fermo rispetto ai tre mesi precedenti mentre la crescita, su base annua, è appena dello 0,4 per cento.

Anche i dati sull’occupazione fanno registrare un’inversione di tendenza rispetto, con una diminuzione delle assunzioni a tempo indeterminato di 54mila unità e con un aumento solo dei contratti a termine per 81 mila.

Questioni concrete che si stanno riversando tutte insieme sulla scrivania di palazzo Chigi, lasciando presagire un autunno con scelte – anche impopolari – da prendere.

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