- Il fondatore di Libera ha ricordato Gino Strada al congresso dell’Anpi. Oggi sarebbe il 74esimo compleanno del chirurgo padre di Emergency. «Non portiamo a spasso le bandiere della pace, abbiamo cercato di tradurre la pace concretamente nei vari contesti».
- «Un popolo viene umiliato ha diritto a difendersi. Ma ora parli la diplomazia, parli l’Europa e l’Onu, la vittoria della guerra per ora sta in mano a chi produce armi».
- «Siamo mobilitati per gli ucraini, ma non dimentichiamo gli altri profughi, quelli con altri colori di pelle»
«Gino è stato Strada senza “farsi strada”. Voglio dire che non ha mai sgomitato per apparire, ha speso molto della sua vita per dare una mano alle persone a ritrovare la salute ma anche la fiducia in sé stesse. Ha operato in territori difficili. Era una personalità esuberante, a volte irruenta. Ma prima di tutto era generoso. E autentico».
Oggi sarebbe stato il 74esimo compleanno del chirurgo Gino Strada, fondatore di Emergency, icona del disarmismo, il più conosciuto – e per questo discusso – pacifista italiano contemporaneo, scomparso lo scorso il 13 agosto 2021.
In vista dell’anniversario della sua morte sono almeno un paio i documentari in lavorazione su di lui. A ricordarlo oggi, alla vigilia di una marcia straordinaria per la pace, la Perugia-Assisi del 24 aprile, è il suo amico Luigi Ciotti, fondatore di Libera, pacifista doc a sua volta. Don Ciotti, «Luigi» per tutti, ha ricordato la figura di Strada all’ultimo congresso dell’Anpi a Riccione.
Voi pacifisti siete sotto scacco, l’associazione dei partigiani è nella buriana mediatica con l’accusa infamante di «putinismo». Quello che lascia Strada è più un vuoto di autorevolezza o un’eredità da difendere nel mondo dell’accoglienza e delle bandiere arcobaleno?
Gino ha saputo accogliere la disperazione e la fatica della gente, è andato a operare, lasciami dire "ad amare" in territori di conflitto e di guerra. Nel 1999, nel libro Pappagalli verdi, ha raccontato gli orrori della guerra. Aveva una grande donna al suo fianco, Teresa Sarti.
Un giorno, anni dopo, mi disse che voleva essere presente anche nel territorio nazionale. Mi chiese: “mi dai una mano a trovare un bene confiscato a Palermo per aprire un punto di riferimento?”. E così è nato l’ambulatorio di Polistena, in Calabria, in un bene confiscato a un clan della ‘ndrangheta. Un grido, una denuncia dell'insufficienza della nostra sanità, e delle difficoltà anche di tante e tanti connazionali.
Nelle ultime interviste Strada infatti parla della sanità italiana. Durante la pandemia abbiamo sperato che il nostro paese sarebbe migliorato dal punto di vista dell'inclusione. È andata così?
Se le emozioni restano emozioni passano in fretta. Abbiamo visto il sacrificio di medici per dare una mano, abbiamo visto esplosioni di solidarietà di fronte alla povertà che si allargava. Ma abbiamo visto anche tanta superficialità. Ed oggi lo stesso: abbiamo la guerra alle porte di casa, che sta coinvolgendo tutti, ed è giusto. Però pochi si ricordano con la stessa intensità le altre almeno 33 guerre in corso.
È importante l'impegno per l'accoglienza delle persone, ma le altre vite sono diverse? O forse abbiamo meno interessi in altri territori? Perché dare accoglienza alle persone di pelle nera è molto più difficile? Lo dico con rispetto, anzi con gioia per l'accoglienza che vedo per le persone ucraine. Ma non posso non sentire una ribellione della coscienza.
In questa guerra di Putin contro l’Ucraina la pubblica opinione ha scoperto che ci sono tanti pacifisti. Accusati di neutralismo, di putinismo, per lo più sbeffeggiati. Come vive queste accuse?
C'è tanto pregiudizio, a volte ignoranza. La pratica della nonviolenza, in nome della pace, ha portato contributi immensi in un mondo dove la violenza è strutturale, dove un'economia assassina schiaccia i più fragili, dove il paradigma tecnocratico ha creato diseguaglianze, ingiustizia e povertà. In questo contesto ci sono quelli che lottano per la libertà delle persone, cioè per la giustizia e per la pace, chiedendo di cambiare paradigma, di rimettere la persona al centro.
La Costituzione europea chiede di creare percorsi di pace perché nasce dopo l'orrore di un conflitto mondiale. Ma noi abbiamo tradito quelle carte. Gino e Teresa hanno fatto questo e con loro poi si è allargato sempre di più il numero delle persone che si sono messe in gioco. Anche noi, piccoli piccoli, cerchiamo di farlo in un paese dove c'è almeno una guerra in atto: perché se da 150 anni parliamo di mafie nonostante i passi in avanti fatti, resta che oggi quelle mafie usano l'indice non più tanto per sparare con la pistola, ma per premere pulsanti e spostare milioni.
Una grande sfida che comincia dalla cultura, dall'educazione, dai servizi alle persone. Combattiamo anche questa violenza. Siamo accusati di "pacifismo”? Ben venga. Lasciamoli dire. Negli anni non abbiamo solo portato a spasso bandiere della pace, abbiamo messo la nostra vita, con tutti i nostri limiti ma con tutta la nostra passione, per tradurre la pace concretamente nei vari contesti. Il nostro compito è portarla nel mondo della scuola, nelle università, nei quartieri, con i fatti più che con le parole, creando le condizioni e le relazioni, aiutando oggi i ragazzi a distinguere.
In Italia c’è stata una grande discussione sull’invio delle armi all’Ucraina. Un popolo aggredito e un paese invaso non deve essere aiutato a resistere?
Ci sono situazioni estreme in cui per liberare un paese, l'abbiamo vissuto anche noi, bisogna provare a fare di tutto per difendere la vita, ma deve essere l'estrema ratio. Il conflitto non è venuto fuori improvvisamente, in questi due anni c'è stata una pace armata. I servizi erano al corrente di tutto. Oggi bisogna tentare tutte le strade del dialogo.
Ma cosa fa l'Onu, cosa fa l'Europa? C'è troppa prudenza, l'Europa dice e non dice, interviene e no. Non bastano le telefonate fra i presidenti dei paesi. Dopodiché se un popolo viene schiacciato umiliato, distrutto, nessuno può stare lì a fare un gesto con la mano. Ma c’è una cosa preoccupante: chi ha in mano la vittoria? L'industria delle armi.
E allora spiace che il nostro governo e il nostro parlamento abbiano votato subito l'aumento delle spese per gli armamenti, quando c'è una situazione di povertà assoluta di oltre sei milioni di persone, un milione e 300 mila sono bambini. Non ci sono delle priorità? Noi associazioni abbiamo lottato per porre dei criteri, ad esempio che non si devono vendere armi in paesi in cui non vengono rispettati i diritti umani.
Ma con l'Egitto stringiamo nuovi accordi e vendiamo armi, anche se in Egitto le carceri sono pieni di detenuti perché si sono opposti al regime. Serve una ribellione delle coscienze. Si fermi questo orrore tremendo in Ucraina, non ho titolo per dire altro, anche perché quello che leggo tutti i giorni è inquietante, si stanno sperimentano nuove armi, nuovi progetti di morte.
Ripeto: siamo mobilitati a raccogliere i profughi dell'Ucraina, lo abbiamo sempre fatto anche per altri, con pelli di colori diversi, e che i paesi continuano a respingere. Si uccide anche con l’indifferenza: com’è possibile che l'Europa tiri fuori i soldi per pagare un dittatore in Turchia perché si tenga lì quasi tre milioni di persone perché non vengano nella nostra cara Europa? Anche questo è una forma di violenza.
Lei e Gino Strada siete dei “guru” della pace?
Io rappresento un noi, tant'è vero che l'associazione che coordino è Libera, un'associazione di associazioni. Non è opera di navigatori solitari, di cui bisogna sempre diffidare. Poi è chiaro che in alcuni momenti ci metti la faccia, hai la responsabilità di fare sintesi. Non è semplice e non è facile.
Ma tanto qualunque cosa uno faccia troverà sempre delle persone che non saranno d'accordo. I più pericolosi sono i mormoranti, quelli che partecipano agli incontri, poi distruggono, etichettano, emarginano. Sono pericolosi perché aumentano la rassegnazione, la convinzione che tanto nulla può cambiare.
Lei è un uomo di chiesa, considera Strada un santo?
Alla fine della vita, cito le parole di un magistrato ucciso dalla mafia, non ci sarà chiesto se siamo stati credenti ma credibili. Gino, come Teresa, erano persone molto credibili, magari non erano credenti, ma testimoni di amore, nel loro linguaggio, nelle loro scelte, nel loro coraggio.
Un’eredità che ha ricevuto Cecilia, la loro figlia, che non a caso va sulle navi a soccorrere chi naufraga nel Mediterraneo, il grande cimitero della speranza. Gino e Teresa sono persone care, e le persone care non muoiono mai, te le porti dentro. Il Signore, per chi crede, ha promesso che un giorno risorgeremo. Sono contento. Ma questa resurrezione bisogna conquistarsela dandosi da fare di qua. Facciamole risorgere qui le persone che stanno ai margini. Dio non è cattolico, Dio è di tutti, ama tutti, se no non sarebbe Dio. E io amo la Chiesa che ci invita a guardare verso il cielo senza distrarci dalle responsabilità che abbiamo qui sulla terra.
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