Su Domani prosegue il Blog mafie, da un’idea di Attilio Bolzoni e curato insieme a Francesco Trotta. Potete seguirlo a questa pagina. Ogni mese un macro-tema, approfondito con un nuovo contenuto al giorno in collaborazione con l’associazione Cosa vostra. Dal 29 luglio è iniziata la prima serie dedicata alla sentenza della corte d’assise di Bologna che ha condannato all’ergastolo Paolo Bellini per la strage di Bologna e ha squarciato il velo su alcuni mandanti


Morirono tre carabinieri, caduti in una trappola, a seguito dell’esplosione di una bomba collocata in un’autovettura sospetta, lasciata in una stradina sterrata presso il confine di Gorizia.

La vicenda è stata ricostruita nelle sentenze e le responsabilità acclarate compresi i gravissimi depistaggi, grazie all’ampia ammissione di responsabilità di uno degli autori, Vincenzo Vinciguerra.

Come si è soliti ricordare, si tratta dell’unico episodio stragista degli anni Settanta nel quale la verità è pienamente conosciuta, se si esclude, forse, l’attentato al treno Torino-Roma di cui si parlerà più avanti.

E’ un episodio fondamentale della strategia della tensione, quello in cui il gruppo neofascista udinese dissidente cercherà in modo plateale e cruento di esprimere il proprio dissenso rispetto all’uso che in quegli anni gli apparati deviati e golpisti dello Stato facevano della manovalanza ordinovista ( e avanguardista, ma questo Vinciguerra lo scoprirà dopo).

La ricostruzione del delitto si trova in numerosi atti giudiziari. La sentenza base è quella della Corte di assise di Venezia del 25 luglio 1987; condannerà all’ergastolo il Vinciguerra, svolgendo un’accurata disamina di tutte le sue fasi e soprattutto delle deviazioni consumate nella fase delle indagini. Alle condanne all’ergastolo per Vinciguerra e il suo complice Cicuttini si aggiungeranno quelle severe per calunnia, falso e altri reati nei confronti del colonnello Mingarelli, del colonnello Santoro e di altri carabinieri, oltre che del gruppo veneziano di Ordine Nuovo per la sua azione eversiva nel territorio. Il processo presentava altri imputati eccellenti. Ancora per i depistaggi verrà istruito un secondo processo.

Il processo nei gradi successivi avrà le consuete variabilità decisorie, ma poi al termine il generale Mingarelli, il colonnello Chirico e il maresciallo Napoli saranno condannati sia pure a pene che verranno condonate. Altre condanne per depistaggi saranno inflitte nel processo bis.

Rimandando all’analisi della deposizione di Vincenzo Vinciguerra che spiega le dinamiche del depistaggio e delle protezioni di cui godevano gli ordinovisti da parte dei carabinieri, possiamo qui dire che la strage di Peteano, al di là dei contrasti che generò inizialmente a proposito della provenienza dell’esplosivo e della sua matrice, deve essere considerata anomala, ma al contempo rivelatrice della strategia della tensione, senza esserne espressione, secondo la versione di Vinciguerra che, dopo anni di contrasti, deve essere considerata oggi la ricostruzione vera.

La strage fu commessa dagli ordinovisti udinesi Vincenzo Vinciguerra, Carlo Cicuttini e Ivano Boccacio per reagire alle collusioni, emerse con evidenza tra l’organizzazione di ON, i carabinieri e le forze armate. L’attentato è innescato da una telefonata anonima, compiuta da un uomo del gruppo ordinovista udinese, Carlo Cicuttini, che segnala ai carabinieri la presenza di un’autovettura con fori di pistola sul parabrezza. I carabinieri intervengono ma la vettura esplode, essendovi stata collocata una bomba collegata all’apertura del bagagliaio.

La confessione di Vinciguerra è essa stessa un’azione di protesta contro la protezione che i vertici dell’Arma dei carabinieri attuarono per impedire che la strage fosse attribuita alla destra. I carabinieri di Gorizia furono da subito sulle tracce del gruppo ordinovista udinese, ma l’ordine che giunse direttamente dal Comando della Divisione Pastrengo del generale Palumbo fu di indicare la provenienza dell’attentato dall’area dell’estrema sinistra.

Si trattava di distogliere ad ogni costo l’attenzione da un coinvolgimento gravissimo di militanti di destra in un attentato ai danni dei carabinieri, di regola da attribuire alla sinistra per alimentare la reazione d’ordine delle forze armate; un attentato della destra contro i carabinieri era inconcepibile, stante il comune impegno contro il disordine e la guerra rivoluzionaria asseritamente in corso. Le indagini deviate portarono all’incriminazione di alcuni militanti dell’organizzazione di estrema sinistra Lotta Continua.

Vinciguerra nelle sue deposizioni e nei suoi libri ha puntualizzato il senso del suo gesto da "soldato politico", votato a una rivoluzione nazional-fascista e come tale in guerra contro lo Stato liberal-borghese. Peteano ha, quindi, una logica diversa da quella della strategia della tensione, perché è un attentato della destra fascista che lo rivendica come tale e contro l’organizzazione dello Stato con il quale non intende scendere a compromessi, neppure nelle sue componenti autoritarie, in quanto legate comunque all’assetto derivante dal dopoguerra e quindi in sostanza alle alleanze internazionali che ne sono scaturite. Un atto di guerra contro nemici, lo Stato e le forze dell’ordine e non per colpire in modo indiscriminato cittadini inermi, come era avvenuto a Piazza Fontana.

Vinciguerra ha raccontato come i carabinieri avessero compreso la provenienza dell’attentato, ma, nonostante le vittime fossero dei commilitoni, fecero di tutto, di tutto per coprire gli autori. Al processo di Venezia furono imputati ufficiali dei carabinieri e persino il Procuratore della Repubblica di Gorizia (Michele Santoro, Angelo Pignatelli, imputati di favoreggiamento e di omessa denuncia in concorso con il generale Palumbo; Dino Mingarelli, Antonino Chirico, Giuseppe Napoli, insieme al Procuratore Bruno Pascoli per avere occultato e falsificato verbali, disseminato prove false e distrutto elementi di prova; sempre Mingarelli e Chirico di calunnia verso criminali comuni indiziati falsamente della strage dopo che era stata inutilmente tentata l’incriminazione di militanti di estrema sinistra).

I colonnelli Chirico e Mingarelli saranno infine condannati.

I carabinieri dovevano proteggere Ordine Nuovo perché alleato nelle strategie golpiste e perché, essendo rientrato il gruppo ufficialmente nel Movimento sociale, ne sarebbe rimasta screditata l’intera strategia di contrasto contro il presunto caos promosso dalla sinistra.

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