In Lombardia tra i volontari di Difendere la vita con Maria, che ha decine di convenzioni con gli ospedali. La benedizione prima della sepoltura. «Chi non è cattolico? Può sempre viverlo come un gesto di civiltà»
Il podcast “20 settimane” fa parte delle inchieste sostenute dai lettori. Fin dalla fondazione di Domani, abbiamo messo al centro il giornalismo d’inchiesta e la sua funzione sociale. Su questo abbiamo deciso di sensibilizzare e coinvolgere attivamente le lettrici e i lettori che dal 2020 sostengono, versando anche pochi euro, la realizzazione di alcune delle nostre inchieste. Sostieni questa inchiesta
«Mi appello alla misericordia di Dio e al desiderio dei presenti e magari dei genitori che hanno perso spontaneamente, non volutamente, questo bambino», dice don Michele Robusti, cappellano dell’ospedale Del Ponte di Varese una mattina di fine autunno del 2022.
Da qualche tempo don Michele ricopre un ruolo a lui nuovo: quello dell’accompagnamento a sepoltura dei prodotti abortivi, o “bambini non nati” come vengono definiti dall’associazione che se ne occupa, Difendere la Vita con Maria. In Lombardia, un regolamento regionale approvato nel 2007 e poi modificato nel 2022, ordinava il seppellimento o la cremazione di tutti i prodotti abortivi, compresi quelli provenienti dalle interruzioni volontarie di gravidanza nel primo trimestre.
Ed è così che da allora, l’Associazione Difendere la Vita con Maria (in breve, Advm) ha siglato decine di convenzioni con aziende ospedaliere e sanitarie lombarde, tra cui quella che include Varese, e nel resto d’Italia per compiere quello che i volontari dell’associazione definiscono un atto apostolico: il seppellimento con rito cattolico dei resti abortivi.
Stando ai protocolli d’intesa firmati con associazioni come Advm (e dalla norma regionale, nonché dallo stesso regolamento nazionale di polizia mortuaria che regola la materia) è agli ospedali che spetta di informare le donne dell’obbligo di sepoltura del feto abortito: una comunicazione che però è spesso assente, parziale o poco chiara, e non solo in Lombardia, come raccontiamo nel podcast “20 settimane”.
Gli stessi volontari di Advm, che incontriamo insieme a don Michele, si chiedono quante mamme vengono private della possibilità di partecipare al funerale cattolico del bambino non nato a causa della mancata informazione. Rigiriamo la domanda: quante donne non credenti che hanno interrotto la propria gravidanza in maniera consapevole non sanno che i resti dei propri aborti sono stati seppelliti al camposanto?
«Chi non è cattolico», risponde una delle volontarie, «può sempre viverlo come un atto di civiltà».
Per don Michele, ex finanziere che ha sentito la vocazione al sacerdozio in tarda età durante un pellegrinaggio a Fatima, non c'è in ballo solo un funerale, bensì la salvezza eterna. «Ecco, se c'è il desiderio di voler battezzare a tutti i costi questi bambini… Io mi permetto di farlo, con rito dubitativo», ammette. Per un attimo il silenzio domina il tinello adiacente la cappella dell’ospedale di Varese, dove a breve inizierà una messa per i bambini non nati. E poi: «Signore, se è lecito ed è nella tua volontà, io battezzo questi bimbi nel nome del Padre, del Figlio e dello Spirito Santo», aggiunge il sacerdote. «Lo faccio a livello personale, ci tengo a specificarlo, perché so che è un di più di ciò che prevede la Chiesa».
Quelle parole ci sorprendono. La Chiesa contempla i sacramenti, infatti, solo per chi è in vita e questa è la posizione ufficiale anche di Advm. Ce lo ha ribadito in una telefonata il suo fondatore don Maurizio Gagliardini, specificando che nei funerali si usa infatti il messale dei bambini morti senza battesimo. Eppure la formula richiamata dal sacerdote ha una lunga storia alle spalle. Si tratta del “battesimo di desiderio”.
Il dibattito nella Chiesa
Il destino della fine dei bambini morti senza battesimo è stato al centro del dibattito teologico fin dal 400 d.C. quando Agostino, vescovo d’Ippona e tra i massimi teologi del cattolicesimo, aprì uno scontro intellettuale con Pelagio, monaco britannico che nelle sue prediche contestava il concetto del peccato originale. Il futuro Sant’Agostino, da parte sua, aveva teorizzato una verità che avrebbe influenzato la Chiesa per secoli: i morti senza battesimo non possono accedere al Regno dei cieli.
Una posizione estremamente rigida, le cui conseguenze furono la condanna di Pelagio come eretico nel 417 d.C. e l’allontanamento dalla comunità cattolica di molte donne che avevano perso il feto in una gravidanza. Bisognerà aspettare un rapporto della Commissione teologica internazionale dal titolo “La speranza di salvezza per i bambini nati senza battesimo”, pubblicato nel 2007 e approvato da Papa Benedetto XVI, per smussare le posizioni cattoliche.
«La Chiesa su questo campo per tanto tempo non si è espressa e ancora oggi è molto vaga. Ma siccome nessuno è mai tornato indietro a dirti cosa ci sarà dall’altra parte – dice don Michele – noi che crediamo, vogliamo pensare che il Padreterno prima di tutto è una fonte di bontà e questi bambini ne sono una scintilla». Per questo, il sacerdote benedice con l’acqua santa le scatole bianche contenenti i feti prima che un carro funebre le porti al cimitero. «Sono dei martiri», dice una suora spagnola presente all’incontro.
La destinazione delle cassette che escono dal crematorio è una cappella celeste nel vicino cimitero di Giubiano, concessa in comodato d’uso nel 2015 dal Comune. Davanti a questa cappella, piena di giocattoli e di pensieri affidati a biglietti e disegni, ci tornano in mente le parole della volontaria incontrata all’ospedale: chi non crede, diceva, può sempre interpretare il funerale e il seppellimento come atti di civiltà. Sembra vederla allo stesso modo l’Asl Roma 1, l’azienda ospedaliera portata in tribunale da una delle donne coinvolte nello scandalo del cimitero Flaminio del 2020, che ha menzionato in sede legale un principio di etica comune.
«L’assenza di richiesta di seppellimento equivale a un abbandono del prodotto fetale [...]; un diverso trattamento a discrezione della donna – hanno dichiarato gli avvocati dell’Asl in una memoria in aula a Roma – potrebbe risultare esso stesso pregiudizievole al sentimento dell’intera comunità».
Dunque, di chi sono questi feti, della donna o della società, o magari di Dio? E chi dovrebbe decidere del loro destino dopo l’aborto? C’è questo e molto altro nelle puntate del podcast 20 Settimane, che escono ogni giovedì per tutto dicembre sul sito di Domani e sulle principali piattaforme di ascolto podcast.
Le inchieste sostenute dai lettori
Fin dalla fondazione di Domani, abbiamo deciso di coinvolgere lettrici e i lettori che dal 2020 sostengono, anche con pochi euro, la realizzazione di alcune delle nostre inchieste: finora con le tante donazioni ne abbiamo realizzate oltre 20. Dal 14 novembre è partito il nuovo ciclo con il podcast “20 settimane”: nove puntate disponibili sul nostro sito, su Spotify e sulle altre principali piattaforme. Firmato da Flavia Cappellini e Gabriele Barbati, prodotto con Emons Record, è possibile sostenerlo sul nostro sito.
Venti settimane è lo spartiacque temporale in cui la donna può scegliere cosa avviene al feto dopo l’aborto. Tutto comincia in un cimitero di Roma, dove vengono scoperte centinaia di sepolture. Sulle croci i nomi e i cognomi di chi ha abortito. Sepolti i loro feti. Inizia da qui un’indagine sul campo, con le testimonianze di chi ha scoperto i propri nomi su quelle croci.
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