Per dodici presidenti che sono stati eletti al Quirinale, molti altri ci hanno provato senza riuscirci, anche più di una volta. La maledizione si è accanita soprattutto sui segretari della Dc. Non solo loro: nessun nome femminile è mai riuscito a sfondare il tetto della maggioranza assoluta
“Nano maledetto, non verrai mai eletto”, c’era scritto su una delle tante schede nulle votate dai grandi elettori durante le 23 votazioni dell’elezione al quirinale, nel 1971.
Il nano maledetto si riferisce Amintore Fanfani. Basso di statura, il segretario della Dc e presidente del Senato è candidato ufficiale del suo partito al Colle.
Durante lo scrutinio è seduto accanto al presidente della Camera, Sandro Pertini e fa in tempo a leggere la scheda. Quel distico perfido sarebbe stato scritto da uno dei franchi tiratori democristiani aizzati da Giulio Andreotti.
Amintore Fanfani è uno dei grandi delusi del Quirinale, che per lui è stato una vera maledizione. Nato ad Arezzo nel 1908, Fanfani fa parte della corrente sinistra della dc, prende il potere del partito nel congresso del 1954. Il suo amico e compagno di corrente, Giuseppe Dossetti, lo definisce “un uomo nato sotto il segno del comando” e la carriera di Fanfani lo conferma: 6 volte presidente del consiglio, 5 volte presidente del senato, due volte segretario della dc, undici volte ministro e l’unico presidente italiano dell’assemblea generale Onu. Tanto da venire soprannominato dal giornalista Indro Montanelli “il rieccolo”.
Al Quirinale, però, non c’è mai arrivato. E non perché non ci abbia provato.
La prima occasione arriva nel 1964: l’assemblea dei parlamentari della Dc si è riunita e ha votato il suo candidato ufficiale. è Giovanni Leone, ma già dalle prime votazioni il suo nome non decolla: i franchi tiratori hanno colpito e sta prendendo quota il nome di Fanfani. Quando però si rende conto che comunque non avrà i voti dei comunisti, Fanfani telefona a Leone e gli comunica che si ritira. I voti non bastano comunque e al Quirinale viene eletto Giuseppe Saragat.
L’occasione si ripresenta, sette anni dopo. Nel 1971 è lui il candidato ufficiale della Dc ed è convinto di venire eletto. Glielo dice anche il suo avversario politico di sempre all’interno della Dc, Giulio Andreotti. Le cronache raccontano che la frase sia stata “Ti abbiamo scelto e verrai eletto, perché non ci sarai più tu a manovrare i franchi tiratori”. Fanfani, infastidito, avrebbe detto ad Andreotti di occuparsi dei voti degli altri partiti, lui si sarebbe assicurato di avere quelli della Dc.
Proprio l’arroganza, però, gli ha fatto perdere il Colle.
Un’altra delle regole non scritte è quella di non inimicarsi la stampa, durante i delicati giorni del voto. Invece, Fanfani accusa uno dei più importanti giornalisti politici del tempo, Vittorio Gorresio, di averlo rappresentato scorrettamente nei suoi articoli sulla Stampa. In Transatlantico, davanti a tutti, gli dice che i suoi articoli vengono tagliati dai suoi padroni. Gorresio, d’accordo con il direttore, scrive il dialogo sul giornale insieme a una nota di tre righe”Il linguaggio del senatore fanfani non si addice a un presidente, anche solo del Senato.
Il giorno dopo si conclude la corsa di Fanfani al Colle, sotto i colpi della stampa e dei franchi tiratori Dc.
Andreotti e Forlani
I franchi tiratori sono sempre stati uno degli incubi della democrazia cristiana, che ha sempre avuto una disciplina di partito meno rigida rispetto a quella del partito comunista e la divisione in correnti ha fatto maturare vendette e agguati. Non è un caso che nessuno dei segretari del partito siano mai stati eletti: sempre espressioni di parte, è stato il loro partito a non garantirgli il consenso necessario.
Il fenomeno si è acuito a mano a mano che ci si avvicina alla fine della prima repubblica. Per il quirinale come per il paese, l’anno maledetto è il 1992.
Dopo le dimissioni del presidente Cossiga, la Democrazia cristiana è ancora il partito più numeroso nonostante il crollo di cinque punti alle elezioni politiche. Quell’anno, ad aspirare al quirinale sono due personaggi di primo piano: il primo è l’attuale segretario della Dc, Arnaldo Forlani. Il secondo è Giulio Andreotti, il Divo giulio come era già soprannominato, ex segretario democristiano e abile manovratore di franchi tiratori. Entrato in parlamento nel 1946, nell’assemblea costituente, è stato artefice di cinquant’anni di storia della repubblica e ha ha giocato una parte nell’elezione di tutti i presidenti della repubblica, da Luigi Einaudi in poi.
Tra Forlani e Andreotti la spunta Forlani, che sembra avere l’appoggio dei socialisti guidati da Bettino Craxi.
Nell’aula del parlamento, però, mancano all’appello più di cinquanta voti. I franchi tiratori hanno colpito di nuovo.
Sembra allora arrivato il tempo di Andreotti, che si mette al lavoro per trovare interlocutori tra i socialisti. Ma la sua candidatura, mai nemmeno annunciata, muore il 23 maggio 1992.
La strage mafiosa di capaci, in cui muore il giudice istruttore Giovanni Falcone, invade anche l’assemblea in seduta comune. La strage viene letta anche come un colpo contro la candidatura Andreotti. I fatti dicono che gli ex comunisti del Pds chiudono ogni trattativa e avvertono la Dc: bisogna andare su un nome istituzionale.
E’ così che prende forma la candidatura del presidente della Camera democristiano, Oscar Luigi Scalfaro.
Nilde Iotti
L’elezione di Scalfaro, però, è un passaggio nevralgico nella storia della repubblica anche per un’altra ragione. E’ il momento in cui una donna va più vicina all’elezione e quella donna è Leonilde Iotti, detta Nilde, la prima donna e la più longeva presidente della Camera.
Originaria di Reggio Emilia, eletta in assemblea costituente con il Pci, è stata deputata ininterrottamente dal 1948 al 1999. Per tredici anni e tre legislature ha presieduto Montecitorio.
Nella sua lunga carriera politica, è anche la prima donna a ottenere il mandato esplorativo per costituire un governo. Glielo assegna nel 1987 il presidente della Repubblica Francesco Cossiga e fa di lei la prima esponente del partito comunista ad arrivare vicino alla presidenza del consiglio.
Nel 1992, il nome di Iotti è nella rosa dei nomi per salire al Quirinale e lei è pronta alla sfida. Eppure non è lei la candidata ufficiale degli ex comunisti, che scelgono invece il candidato di bandiera Giorgio Amendola.
Nel IV scrutinio ottenne 256 voti, ancora oggi il più alto numero di consensi ottenuti da una donna nel collegio elettorale. Oltre non andrà e al ventiseiesimo scrutinio viene eletto Scalfaro.
Nilde Iotti muore nel 1999 ed è stata sepolta, come da suo desiderio, nel cimitero del Verano a Roma, nella tomba del Pci, accanto Palmiro Togliatti, morto trentacinque anni prima.
Iotti è stata si compagna di vita del segretario del Pci, ma non si è mai fatta oscurare dal Migliore. Anzi, nonostante le iniziali maldicenze è stata capace di essere orgogliosamente entrambe le cose: la compagna di togliatti e una dirigente comunista capace di guadagnarsi spazio in un partito e in parlamento ancora a prevalenza maschile.
Dopo di lei, nessuna donna è arrivata così in alto nel cursus delle cariche istituzionali, né così vicina alla presidenza della repubblica. Chissà per quanto il suo primato rimarrà ineguagliato: speriamo ancora per poco.
Si conclude così il mio racconto sulla storia, i segreti e le strategie che ruotano intorno al colle più alto di Roma.
Ogni elezione è stata una storia politica a se e racchiude un pezzo della nostra Repubblica. Se esiste però una regola generale, che vale per tutti i presidenti, è quella enunciata da uno dei grandi sconfitti. Diceva Giulio Andreotti che non c’è nessun metodo che garantisca la vittoria, ci sono solo errori da non commettere.
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