«Non basto io». Non basta Elly. Se qualcuno cerca uno slogan o una traccia per capire come sarà il Partito democratico guidato da Elly Schlein eccolo qui, coniato dalla neo-segretaria nella notte a sorpresa in cui è stata eletta leader del Pd, rovesciando il voto dei circoli, i sondaggi, i pronostici (e forse anche gli auspici) dei media principali, che avevano spedito i loro inviati a Bologna, nel quartier generale di Stefano Bonaccini, lo sconfitto. E invece era evidente, ben prima della valanga nei gazebo, che l'unica possibile novità, la notizia, si sarebbe mossa attorno al destino della candidatura della deputata di Bologna.

La segretaria più giovane, la prima donna, la sola a sovvertire nella storia una vicenda di risultati già scritti, cooptazioni, caminetti tra capicorrente che avevano già stabilito l'esito prima che si aprisse il primo gazebo.

Il primo segno che qualcosa si stava spostando è stato l'imprevisto costruito sul consenso. Il consenso di chi non era stato invitato, di chi non era tesserato, di chi è uscito di casa senza essere stato chiamato da nessuno.

L'opposto delle truppe cammellate, le stanze fumose degli accordi di vertice. Per questo si vota, per questo si fanno le primarie, perché farle altrimenti?

Il primo merito di Elly Schlein è di aver rivitalizzato uno strumento considerato defunto, infatti per candidati sindaci e presidenti di regione si fanno a intermittenza, per i candidati in Parlamento mai, con l'eccezione del 2013, più confermative che elettive, però. E così facendo ha rinverdito il mito fondativo dell'Ulivo e del Partito democratico.

Nel merito della gara, poi, Schlein ha fatto fare a Bonaccini la fine di Joseph Crowley, il deputato democratico di New York, quarto in gerarchia, destinato a diventare lo speaker della Camera dei rappresentanti, da diciotto anni riconfermato dagli elettori, e invece mandato a casa nel 2018 da una sconosciuta attivista, Alexandra Ocasio-Cortez, o di Susana Diaz, la potentissima presidente dell'Andalusia, sconfitta in Spagna nel partito socialista dal rientrante Pedro Sanchez.

Tra Obama e Veltroni

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Il secondo segno è la sua biografia. Elly Schlein ha avuto il suo primo incontro con la politica da attivista e volontaria nella campagna elettorale di Barack Obama negli Usa, nel 2008, lo stesso anno della prima prova elettorale del Pd, guidato da Walter Veltroni.

La sua radice va cercata lì, lì è scattata in lei la vocazione alla politica, nella radicalità dello scontro tra destra e sinistra che si è aperto all'inizio del secolo negli Usa, piuttosto che in improbabili nostalgie di partiti che la nuova segretaria non ha mai conosciuto.

Elly Schlein è la prima leader a essere nata dopo la morte di Enrico Berlinguer, è nata il 4 maggio 1985, aveva da poco quattro anni quando è caduto il muro di Berlino, la sua vicenda umana e politica è tutta dentro la storia del Pd e di questi anni.

Si era avvicinata alla politica da videomaker, nei gruppi di giovani attorno a Pippo Civati, che parteciparono nel 2010 alla prima edizione del meeting della stazione Leopolda, prima che diventasse la cattedrale incontrastata del renzismo.

Nelle nostre astruse mappe sulla geografia interna del Pd li chiamavamo i Piombini, perché si vedevano a Piombino oppure al campeggio di Albinea che si intitolava: “Andiamo Oltre”. Erano l'embrione di Occupy Pd, il gruppo nato per protestare contro i 101 franchi tiratori che avevano affossato la candidatura di Romano Prodi al Quirinale, che fece conoscere Schlein per la prima volta.

Una biografia da irregolare, anche per le radici familiari che si spostano da un mondo all'altro, dall'Ucraina a un quartiere di New York, dall'ebraismo all'antifascismo italiano. Irregolare anche la carriera politica di Elly Schlein: giovanissima eurodeputata del Pd nel 2014, a 29 anni, eletta con oltre 53mila preferenze, esce dal partito durante la stagione dell'egemonia renziana.

Relatrice della riforma del trattato di Dublino, nel 2019 rinuncia a ricandidarsi, nel Pd di Nicola Zingaretti o in una formazione di sinistra. «Abbiamo bisogno di costruire un Terzo Spazio: né con chi si pone in continuità con politiche che hanno prodotto un disastro a sinistra, né con chi pensa, a destra come a sinistra, che la soluzione sia di chiudersi nei confini nazionali», dice a Giuseppe Genna sull'Espresso, il 17 febbraio 2019, quattro anni fa, poche settimane dopo l'uccisione di un suo caro amico, Antonio Megalizzi, durante un attentato terroristico a Strasburgo.

Anche questo è un incontro della sua generazione: l'incontro della generazione di Megalizzi, o di Valeria Solesin, con il dolore e la sofferenza, la stessa generazione di Giulio Regeni, raramente Schlein si separa dal braccialetto giallo che testimonia la richiesta di verità e giustizia non adombrata dalla realpolitik.

Non è il ritorno di Marx o di Togliatti, la vittoria di Elly Schlein, e neppure la versione italiana di Jeremy Corbyn, che della neo-segretaria potrebbe essere padre. Ma l'ingresso sulla scena nella parte principale di una generazione della crisi, nata in un contesto collettivo fragile, in cui fare qualcosa insieme, e per di più fare politica, è già in sé una conquista, una reazione al cinismo, al disincanto, alla visibilità e alla realizzazione personalissima del proprio ego.

La ricerca di un altro mondo possibile, di un'altra politica, spesso effimera e deludente, perché pochi sono i punti di riferimento, i maestri, i testimoni, i luoghi in cui incontrarsi e crescere, negli anni in cui la politica è sembrata tramontare per lasciare il posto alla tecnica o all'antipolitica.

È un caso, uno scherzo del calendario non considerato, che la sua elezione sia coincisa con una data, il 26 febbraio 2013, che segna l'inizio della lunga crisi del Pd.

Mentre l'altra notte arrivavano i risultati delle primarie, le periferie e i piccoli centri, non solo i centri storici e i quartieri Ztl mi è venuto in mente un altro quartier generale elettorale di dieci anni fa, di un altro leader.

Dieci anni dopo Bersani

Alle cinque del pomeriggio del 25 febbraio 2013, si era fermata la corsa di Pier Luigi Bersani, il segretario dell'epoca. A quell'ora nel grande Acquario romano, inaugurato nel 1887, a due passi dalla stazione Termini, scelto dal Pd per aspettare il risultato del voto, gli esponenti del partito stavano già commentando la vittoria, gli exit poll danno il centrosinistra largamente in vantaggio alla Camera e al Senato.

Quasi nessuno, invece, si era accorto che le proiezioni stavano dando un risultato molto diverso: il Movimento Cinque stelle di Beppe Grillo passava dal nulla al 25 per cento, otto milioni di voti, il primo partito italiano, sopra il Pd. Mai si era visto qualcosa di simile, neppure nel 1994 della vittoria di Berlusconi.

Giè all'epoca le ricerche davano il Pd e la sinistra in difficoltà nelle fasce di elettorato più colpite dalla crisi seguita alla recessione del 2008: i giovani under 35, i lavoratori delle piccole imprese del Nord, le periferie delle grandi città.

A due giorni dal voto, il segretario si era rinchiuso in un teatro romano, l'Ambra Jovinelli, prestigioso ma minuscolo, a far vedere un disastroso spot preparato dal suo staff, i militanti che battevano le mani al ritmo di «lo-smacchiamo» (il giaguaro da smacchiare era Berlusconi), mentre Beppe Grillo, a pochi metri, aveva occupato la piazza San Giovanni delle grandi manifestazioni di sinistra con una folla straboccante, alla fine di una campagna elettorale in cui aveva riempito ogni angolo della penisola, sotto la neve e la pioggia. Bersani riapparve per la prima volta il 26 febbraio, davanti alle telecamere di mezzo mondo, inforcò gli occhiali e ammise: «Siamo i primi, ma non abbiamo vinto».

La vittoria di Elly Schlein è arrivata dieci anni dopo la non-vittoria di Bersani. Lei alle primarie, lui alle elezioni vere, tutta un'altra partita, appena poche settimane prima Bersani alle primarie per la premiership aveva battuto Matteo Renzi.

Quel 2013 rappresenta un versante storico, in cui la politica, e la politica di sinistra, si trova di fronte a un desolante fallimento, e alla ascesa di tre volti del nuovo che si candida a ereditare il vecchio sistema fondato sul bipolarismo tra centro-sinistra e berlusconismo.

Il nuovo fondato sulla tecnica: la politica aveva fallito, toccava ai tecnici, ai competenti riportare l'ordine.

Il nuovo fondato sull'anti-politica: non i politici, tutti arraffoni, senza distinzioni tra onesti e disonesti ma casta da mantenere in quanto politici, e non i tecnici, i competenti, tutti per definizione al soldo di Bilderberg o di qualche altro santuario globale, ma i cittadini qualunque, sarebbe toccato a loro sistemare le cose: uno vale uno, recitava il dogma numero uno del Movimento Cinque stelle di Grillo e di Gianroberto Casaleggio.n

Il nuovo fondato sull'anagrafe: la rottamazione di Matteo Renzi aveva come bandiera ideologica la giovane età e come bersaglio i vecchi miti della sinistra.

Il Pd è stato stritolato, dall'esterno e dall'interno. Perché restava. ed è rimasta senza ascolto, la richiesta di un'altra politica, di una nuova politica. Una generazione della crisi che riconosce la competenza e la professionalità della politica, ma non pensa che tutte le soluzioni siano uguali, che siano “né di destra né di sinistra”, come abbiamo ascoltato dire per almeno un decennio.

Fino a teorizzare che l'unico progressismo politico fosse quello, il True Progressivism coniato dall' Economist: un radicale moderatismo politico, l'idea delle politiche contrapposta alla politica, di cui aveva parlato anche Enrico Letta nel suo discorso programmatico da premier nel 2013, citando Beniamino Andreatta.

Dieci anni dopo questo ciclo si chiude, anche per il Pd. Nel nome di «una linea politica chiara», ha chiesto agli elettori Elly Schlein. Figlio delle «culture ibridate» che sono alla base del Pd. Usando l'immagine del ponte, di ricucitura tra le fratture, che non sono quelle tra le correnti ma quelle, molto più devastanti, che si muovono nell'elettorato.

Un paese ferito dalle fratture: tra vecchi e giovani, tra donne e uomini, tra Nord e Sud, tra centro e periferia, più le disuguaglianze inedite, i diritti negati, le nuove povertà che, diceva Ermanno Gorrieri, «sono una mistificazione perché servono a nascondere che i poveri non sono nuovi, sono di più». Il successo della candidatura Schlein è trasversale, come succede quando una coalizione si crea prima nella società che nel Palazzo. Ma è solo un inizio.

Il ritorno dell’identità

Foto Guido Calamosca/LaPresse 24-02-2023 Bologna, Italia - Cronaca Bologna, Italia - Cronaca Elly Schlein vota nella sede Pd di via Mentana, per la corsa a segretario nazionale del PD february 24, 2023 Bologna Italy - News Elly Schlein votes in the Pd headquarters in via Mentana, for the race for national secretary of the Pd

Il Pd aveva questo obiettivo storico: ricucire le differenze (quella antica tra laici e cattolici sembra svanita per abbandono del campo), costruire una identità che non fosse la semplice ripetizione delle antiche culture politiche, dare una risposta di governo alle questioni, ma che non fosse la sbiadita ripetizione della copia e dell'originale. Ovvero la stessa risposta della destra, magari in forma più educata.

La parabola di Giorgia Meloni conferma invece che si può arrivare al governo partendo da una identità precisa di destra, lo stesso aveva già dimostrato Silvio Berlusconi, mentre la sinistra si infilava nel complesso di inferiorità, l'Italia paese di destra, i figli di un dio minore, la mimetizzazione di se stessa.

La sinistra si è resa establishment, si è rinchiusa nello stato di necessità, nella paura della libertà che è il sale di ogni azione politica: non solo la sinistra politica, ma culturale, editoriale. Questa nuova generazione non ha nessun complesso, non avendo nulla da perdere. Non ci sarebbe oggi Elly Schlein segretaria se non ci fosse Giorgia Meloni alla guida del governo, l'estrema umiliazione per l'elettorato del Pd e del centro-sinistra.

L'ultimo segno è quello della maturazione avvenuta, l'incontro con il potere. Con Elly Schlein non sale alla leadership del Pd una figura leggera. Chi la sottovaluta ha già sbagliato i suoi calcoli. Guai a considerarla una giovane politicamente corretta che sorride anche troppo.

È una politica esperta, pragmatica, una che ha voluto rivedere le sue liste per l'assemblea nazionale nome per nome, una che si siede al tavolo delle trattative e non si alza finché non ha portato a casa il risultato. Non ha timore del potere e di esercitarlo. Avrà bisogno di tutto l'armamentario di cui dispone per domare la bestia di largo del Nazareno.

L'operazione Ponte è cominciata ieri con la consegna del melograno da parte del segretario uscente Enrico Letta, la replica con sorriso della campanella di Palazzo Chigi che Letta quasi lanciò addosso a Renzi al momento di andarsene.

E sarà lunga e faticosa, piena di serpenti sotto le foglie. Il serpente più insidioso non sono i capicorrente, è la sfiducia: vediamo che fa, se ce la fa.

L'alleato più promettente è il popolo che è emerso domenica: meno dei votanti delle ultime primarie, nel 2019, ma molto più delle attese. Un voto che permette a Elly Schlein di provare a fare quello che neppure a Renzi era riuscito nel 2012: prendere il Pd dall'interno con le elezioni primarie.

«È il nostro tempo», ripete in queste ore la nuova segretaria. Il tempo scadrà alle elezioni europee del 2024. In cui si scontreranno due idee di Italia e di Europa: l'Europa delle nazioni modello Meloni e l'Europa federalista di Schlein. In questo tempo breve che è la politica italiana, da ieri in molti calcolano di spartirsi le spoglie del Pd, ma non Giorgia Meloni.

Meloni si aspetta una «opposizione durissima». È l’annuncio di una possibile radicalizzazione, che esclude alleati, rivali, terzi poli. Uno scenario mai visto che riconsegna l’Italia al suo status di laboratorio politico più originale d’Europa. Il primo effetto Elly. Poi c’è tutto da fare, certo. Le macerie del Pd sono lì, da ricostruire. E non ci sono alternative, tra la catastrofe finale e la rinascita.

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