Il cognato del ministro delle Infrastrutture ha chiesto di patteggiare una pena di 2 anni e 10 mesi per i reati che gli vengono contestati nell’inchiesta sugli appalti Anas. La stessa società di cui a breve il ministro dovrà decidere i vertici
«Un ragazzo in gambissima, di cui mi fido». Così il vicepremier Matteo Salvini lo aveva definito dopo gli arresti domiciliari disposti a fine dicembre 2023. Una dichiarazione che era un po’ un attestato di stima, un po’ una mano sul fuoco sul suo operato.
Il segretario della Lega non ha commentato invece gli ultimi sviluppi della vicenda giudiziaria che vede coinvolto il cognato Tommaso Verdini, che ha chiesto alla procura di Roma di patteggiare una pena di 2 anni e 10 mesi per i reati che gli vengono contestati nell’inchiesta sugli appalti Anas.
I magistrati, guidati dall’aggiunto Paolo Ielo, accusano il fratello di Francesca Verdini, compagna di Salvini, di corruzione e turbativa d’asta. Nei giorni scorsi avevano chiesto il giudizio immediato per lui e per uno dei suoi soci, l’umbro Fabio Pileri. Nei guai è finito anche il terzo “socio” della Inver, la società di consulenza nel mirino dei detective.
È Denis Verdini, il padre di Tommaso, che pur non figurando negli atti della camera di commercio riceveva lauti compensi e gestiva incontri evadendo dai domiciliari, dove stava scontando la condanna a sei anni per il fallimento del Credito Fiorentino. Per questo motivo l’ex senatore berlusconiano è tornato in carcere, a Sollicciano, dove il genero Salvini è corso a trovarlo. Perché il leader della Lega non abbandona i parenti in difficoltà.
Ma adesso tutto ruota intorno al vicepremier, in crisi di consenso nel paese, insidiato nel partito da chi ne vorrebbe la testa, e messo in imbarazzo dalle grane giudiziarie dei parenti. E che da una rapida conclusione dell’inchiesta sul “sistema Verdini” ha tutto da guadagnare.
La partita delle nomine
È un momento molto difficile per il ministro delle Infrastrutture, che nelle prossime settimane dovrà gestire la delicata partita delle nomine in Anas, la società (non indagata) finita al centro delle mire dei Verdini e degli imprenditori che a loro si rivolgevano per ottenere commesse e appalti.
Il ruolo di Salvini come ministro è centrale nella decisione sui prossimi vertici della partecipata. E dall’inchiesta sulla Inver possono arrivare solo grane e imbarazzi. Dalle indagini della guardia di finanza è emerso il rapporto molto stretto tra i parenti del ministro e gli uomini della Lega, come il sottosegretario all’Economia Federico Freni (non indagato), che spesso incontrava i clienti dei Verdini.
Ma il suo non è l’unico nome di esponenti leghisti di primo piano che salta fuori nelle intercettazioni dei finanzieri. La decisione di patteggiare da parte di Tommaso Verdini, però, può permettere una rapida chiusura della vicenda giudiziaria, sui cui i vertici della Lega sperano cali il silenzio. In modo da lasciare mano libera al ministro Salvini nelle scelte sui prossimi vertici della partecipata.
Il “sistema Verdini”
L’inchiesta sulle commesse Anas ha creato forti imbarazzi nel governo, nonostante una copertura di facciata da parte della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. «Non credo che Salvini debba riferire in parlamento», aveva dichiarato la premier nei primi giorni di gennaio.
Da molti a palazzo Chigi è stata ritenuta solo una difesa d’ufficio dell’alleato, con cui da mesi è in corso una guerra sotterranea fatta di dichiarazioni sibilline e sgarbi, più o meno piccoli, che rischiano di mettere in crisi la maggioranza e la tenuta del governo.
Come raccontato da Domani – attraverso la lettura degli atti di indagine e con delle inchieste giornalistiche indipendenti – erano numerosi i legami del ministro e di esponenti leghisti con il “sistema Verdini”. A partire dagli incontri dei clienti della Inver con esponenti della Lega nel governo, come quello di inizio dicembre 2023 tra Salvini e i vertici di Huawei avvenuto al ministero delle Infrastrutture. O quelli che hanno avuto luogo in lussuosi ristoranti della capitale tra il sottosegretario Freni e imprenditori delle infrastrutture clienti di Tommaso Verdini e Fabio Pileri. O ancora le “cene gourmet” in una tavernetta della provincia umbra in cui, oltre ai due proprietari della Inver, era presente anche la governatrice leghista Donatella Tesei insieme a rappresentanti dell’imprenditoria e della finanza locale.
Non ci sono solo cene e incontri che attestano il legame tra le attività delle società dei Verdini e gli uomini della Lega. C’è anche un “ufficio politico” di Salvini a casa Verdini: un’abitazione in via Barberini utilizzata da Tommaso Verdini e dagli altri della Inver, frequentata anche dal ministro delle Infrastrutture.
Il sottosegretario Freni, che frequentava l’abitazione, lo ha definito solamente «un appartamento utilizzato dalla Lega per riunioni politiche». «Una casa di transizione per Salvini e Francesca Verdini», scriveva il settimanale Chi nel 2020. Sono tante le storie che si intrecciano. Il patteggiamento del «ragazzo in gambissima» potrebbe facilitarne l’oblio. Per la gioia di Salvini.
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