«Non sono assolutamente preoccupato dalla richiesta di un referendum abrogativo, ammesso che la Corte lo dichiari legittimo. Io vado avanti. Abbiamo questa Costituzione e intendiamo applicarla». Roberto Calderoli, ministro per gli Affari regionali e le Autonomie, intervistato in esclusiva da Presadiretta al recente raduno leghista di Pontida, tira dritto sui negoziati delle intese per l’autonomia differenziata tra regioni e governo, avviati formalmente - non senza polemiche - lo scorso 3 ottobre.

Veneto, Lombardia, Piemonte e Liguria le regioni che hanno già presentato richiesta di avvio delle trattative per differenziarsi sulle materie cosiddette non-Lep (Livelli essenziali di prestazioni) tra cui, ad esempio, il commercio estero e la Protezione Civile.

Tuttavia, a far discutere in questi giorni è il clima di segretezza che avvolge queste intese, ma anche l’opportunità politica di procedere coi negoziati, mentre pendono i giudizi della Consulta sui ricorsi per incostituzionalità presentati da quattro regioni e sull’ammissibilità stessa del referendum, su cui la Corte Costituzionale si esprimerà entro inizio anno. «Questo modo di procedere è lesivo dei più elementari doveri di trasparenza e di rispetto delle istituzioni, nonché dei cittadini», fanno sapere i Comitati per il ritiro di ogni autonomia differenziata.

Marina Boscaino, loro portavoce, sottolinea come «lo spirito di cooperazione e lealtà, che dovrebbe guidare le relazioni tra organi dello Stato, richiederebbe che regioni e governo fermassero il negoziato in attesa delle decisioni della Corte». Ma su questo aspetto Calderoli non arretra: «C'è una Costituzione, c’è una legge. Sa quanti giudizi ci sono pendenti della Corte? Nessuna legge viene fermata - fa notare - laddove ci fosse un giudizio di incostituzionalità ci si ferma, ma intanto abbiamo l’obbligo di andare avanti».

Il 30 settembre si è chiusa la raccolta firme per la richiesta del referendum abrogativo della legge sull’autonomia differenziata. «Il dato è impressionante: più di 700 mila firme su 1 milione e 300mila sono state raccolte con i banchetti in strada. Si è trattato di un poderoso atto di democrazia partecipata, altro che firme ‘dal divano’, come ha commentato il Ministro», chiosa Boscaino.

Tra le molte voci critiche anche quella del professore Francesco Pallante, che insegna diritto costituzionale all’Università di Torino: «Procedere nelle trattative mentre pendono i giudizi della Corte è un’oggettiva forzatura, un tentativo di imporre il fatto compiuto. Quel che accade nel chiuso delle stanze ministeriali non si sa, tutta la vicenda del regionalismo differenziato si muove nel segreto, squarciato ogni tanto da fughe di notizie. È un vero vulnus democratico».

La guerra dei Lep

Il nervo scoperto della riforma sull’autonomia differenziata è la determinazione e il finanziamento dei livelli essenziali di prestazioni, i Lep, ovvero quei servizi essenziali connessi con diritti civili e sociali, tra cui istruzione e sanità, che devono essere garantiti in modo uniforme su tutto il territorio nazionale, come previsto dalla Costituzione, affinché le regioni a statuto ordinario abbiano lo stesso punto di partenza e non vi siano sperequazioni tra chi vorrà differenziarsi e chi no. Un tema cogente in un paese dove il divario Nord-Sud si allarga ogni anno a dismisura.

Secondo la Svimez, l’associazione per lo sviluppo industriale del Mezzogiorno, finanziare i Lep costerebbe allo Stato 80 miliardi l’anno. Tuttavia, la legge Calderoli non prevede nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica. E dunque, dove si troveranno i soldi per finanziare i Lep? Il ministro leghista, ai microfoni di Presadiretta, ribadisce che «se dovessero esserci dei Lep che costassero di più, il bilancio dello Stato dovrà prevedere quelle risorse, ma questo non preclude l'equilibrio di bilancio». Calderoli, dunque, resta vago.

«La risposta - secondo Marina Boscaino - si trova nel Piano strutturale di bilancio, predisposto dal Governo e approvato dalla maggioranza, nel quale non si prevede alcun fondo da qui al 2029 per soddisfare i bisogni finanziari al fine di garantire i Lep. Anzi, come ha fatto rilevare l’Anci in sede di audizione - fa sapere Boscaino - per i livelli essenziali di assistenza in sanità le risorse diminuiranno. Ecco perché i divari territoriali e sociali aumenteranno».

Tra le incognite ancora da chiarire ci sono i criteri in base ai quali si stanno determinando i Lep. Sollecitato da Presadiretta, Calderoli sottolinea un aspetto decisivo: «Ci sono mille fattori che andranno a individuare i fabbisogni standard, uno di questi può essere anche la territorialità. Se un comune per erogare un servizio ha bisogno di avere il riscaldamento da settembre ad aprile, è evidente che ha un costo maggiore. A quel comune bisogna dare risorse maggiori rispetto a chi invece tiene acceso il riscaldamento tre o quattro mesi».

Secondo Pallante «definire costi e fabbisogni misurandoli anche attraverso criteri legati al territorio, quali il clima, il costo della vita e le condizioni socio-demografiche, così come pare stia facendo il Comitato Cassese (incaricato di determinare i Lep, ndr), serve esattamente a questo: a dire che erogare le medesime prestazioni al Nord costa di più che al Sud, legittimando l’attuale squilibrio nella spesa pubblica a danno del Mezzogiorno ed escludendo la necessità di interventi perequativi. Il Sud - aggiunge Pallante - ha sempre ricevuto meno risorse rispetto al Nord: tutti gli studi registrano l’esistenza di uno scarto ingente».

Di altro avviso il ministro leghista, secondo il quale «non esiste che un territorio abbia ricevuto le risorse necessarie e poi i cittadini verificano un servizio inferiore, ma non perché siano arrivate meno risorse, ma perché quelle risorse sono state mal utilizzate». Il tema, dunque, è anche la responsabilizzazione delle regioni.

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Autonomia e sanità

Eppure oggi è del tutto evidente che qualcosa non funzioni nell’applicazione dei livelli essenziali di assistenza, i Lep in sanità, gli unici già determinati sulla base della riforma del Titolo V del 2001 e disattesi da una regione su tre. Su questo aspetto, Calderoli avanza una proposta: «I Lea sono dei livelli essenziali che vengono applicati solo a posteriori, io invece voglio applicarli anche prima ed utilizzare quei livelli essenziali anche per il riparto del Fondo sanitario nazionale, usandoli veramente come verifica, con premialità e punizioni nel caso non vengano applicati». Secondo il Ministro, perciò, dovrebbe cambiare anche il metodo di riparto del Fondo sanitario nazionale: «Il riparto che c'è oggi - dichiara a Presadiretta - è un po’ grossolano, basato più sul sistema capitario e poche variabili. Possiamo aggiungere ulteriori variabili sulla base dei Lea, ma a condizione che se uno riceve i soldi poi deve spenderli per la sanità e non per recuperare dei voti».

La Svimez chiede da tempo che cambi il metodo di riparto del Fondo sanitario nazionale incrementando, ad esempio, il valore dell'indicatore della deprivazione economica e sociale, perché laddove c'è più povertà ci si ammala di più e c'è bisogno di una maggiore spesa sanitaria. Luca Bianchi, direttore della Svimez, sottolinea che «questo indicatore adesso vale appena il 2 per cento del fondo complessivo. Se noi lo portassimo intorno al 10-12 per cento avremmo una ripartizione della spesa sanitaria più equa e maggiormente in grado di ridurre i divari di cittadinanza tra nord e sud».

Il ministro ha quindi ragione a chiedere una correzione, ma dimentica di dire che ciò implicherebbe un aumento del finanziamento al Sud. «In ogni caso - fa notare Pallante - Calderoli ci dà una notizia, perché sinora tutti avevano sempre escluso che il regionalismo differenziato avrebbe avuto un impatto sul finanziamento della sanità». Intanto, il prossimo 12 novembre la Corte Costituzionale ha fissato l’udienza sui ricorsi per incostituzionalità della legge Calderoli. L’autonomia differenziata, che per ora resta una legge di procedura estremamente complicata da attuare, è quindi una partita ancora tutta da giocare.

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