Il segretario del Pd, Enrico Letta, e la leader di Fratelli d’Italia, Giorgia Meloni, si sono incontrati ieri, ospiti del Corriere della Sera, per l’unico faccia a faccia tra leader prima delle elezioni del prossimo 25 settembre. Uno spettacolo non particolarmente eccitante, come il resto della campagna elettorale. Entrambi garbati e dimessi, i due si sono punzecchiati, ma sui temi chiave sono rimasti più che prudenti. A metà dibattito, una breve irruzione a distanza di Salvini.
Europa ed alleanze
Il direttore del Corriere, Luciano Fontana, dà il via alla discussione con una domanda sulle alleanze internazionali. Nulla di inaspettato da Letta, mentre Meloni fa sfoggio del suo nuovo atlantismo pro ucraino e antirusso e ne approfitta per lanciare una prima stoccata all’avversario: «La coalizione di centrosinistra è divisa: nel programma di Sinistra italiana si chiede stop all’invio di armi». Le regole del dibattito assegnano a ciascuno dei due un massimo di tre possibilità di replica, ma Letta per il momento lascia correre. Meloni torna all’attacco sullo stesso tema più tardi, costringendo il segretario del Pd a una replica secca: «Con Fratoianni (leader di Sinistra italiana, ndr) e con i Verdi abbiamo fatto un’alleanza per difendere la costituzione, ma non faremo un governo con loro».
Quando si passa a parlare di Pnrr, Letta accusa Meloni di aver proposto soluzioni fantasiose, come l’intervento del Fondo monetario internazionale, per uscire dalla crisi causata dal Covid. Poi l’affondo in puro stile lettiano: il fatto che il centrodestra chieda di rinegoziare il Pnrr renderà l’Italia «inaffidabile» agli occhi dei nostri partner. Meloni risponde seccamente a entrambe le accuse; è uno dei pochi momenti in cui il soporifero dibattito si scalda. «Ho chiesto l’intervento del Fondo monetario internazionale non al posto del Pnrr, ma al posto del Mes», dice e poi assesta un duro colpo sulla questione della rinegoziazione: «Il governo portoghese ha portato una proposta di revisione del Pnrr e il commissario Gentiloni lo ha approvato. Con il Portogallo va bene perché ha un governo di sinistra?».
Tasse e bollette
Fontana introduce il tema dell’energia, sul quale i due non hanno moltissimo da dire. Meloni illustra una proposta non chiara che, dice, costerebbe appena 3-4 miliardi da qui a marzo, ma non spiega i dettagli. A questo proposito però chiarisce: «Non serve lo scostamento di bilancio, è una extrema ratio. Sarebbe regalare soldi alla speculazione». È la dichiarazione più importante fino a questo momento, tanto che attira una replica di Salvini, che invece sono settimane che parla dell’importanza dello scostamento. «Non capisco i tentennamenti dell’amica Giorgia», comunica Salvini a discussione ancora in corso.
Dall’energia i due leader passano a parlare di tasse e lavoro (la domanda del direttore fontana include: contratti precari, bassi stipendi, reddito di cittadinanza e salario minimo). Letta è asciutto, persino troppo. ««La nostra proposta di riduzione fiscale è una sola: ridurre il cuneo fiscale per dare ai lavoratori una quattordicesima in più. Abbiamo messo diverse coperture: riduzione dei sussidi ambientalmente dannosi e lotta all’evasione fiscale», dice.
Meloni non ha molto di più da dire: «Anche noi abbiamo come obiettivo la riduzione del cuneo fiscale», ma ha gioco facile ad attaccare Letta, ricordando che il Pd ha governato per gli ultimi dieci anni senza mai riuscire a fare le cose che ora promette. Sia letta che Meloni si muovono con cautela sul reddito di cittadinanza. Nessuno parla di abolizione ed entrambi dicono che la parte che riguarda il lavoro attivo va riformata, ma Meloni è più dura e dice che il sussidio non va destinato a chi è in grado di lavorare. Non dà una buona impressione quando si lascia sfuggire: «Ho una proposta sulle politiche attive, ma non ho tempo di spiegarla».
Immigrazione e diritti
Tutto come previsto nella discussione sul tema più congeniale alla leader di Fratelli d’Italia. Meloni distingue tra profughi e immigrati, parla di riaprire i flussi (una richiesta che le associazioni imprenditoriali fanno da tempo) e propone una missione europea in Libia per creare hotspot dove esaminare le richieste d’asilo. Non parla mai di blocco navale e Letta la incalza per questa omissione.
Sui diritti civili, dove invece dovrebbe essere Letta ad aver gioco facile, c’è qualche scintilla, ma il discorso resta confuso. «Legge 194 sull’aborto: mai proposta abolizione o modifica. Proponiamo una sua piena applicazione nella parte sulla prevenzione – dice Meloni – Non ho nulla contro le unione civili, ma no alle adozioni. Ai bambini che hanno perso i genitori va garantito il massimo: e il massimo sono una mamma e un papà». La risposta di Letta si perde in un bisticcio confuso tra i due.
Draghi, presente e futuro
Meloni è più in difficoltà invece quando si parla di Draghi. L’occasione è la riforma presidenziale proposta dal centrodestra che Letta attacca frontalmente. Meloni risponde che è simile a riforme presentate in passato dal centrosinistra, ma finisce comunque con l’innervosirsi e per un istante sembra ritornare la vecchia leader anti establishment: «Quello che avevamo con Draghi era un presidenzialismo con un presidente non eletto. Un sistema in cui il parlamento viene mortificato. Non mi dire che ha funzionato: Draghi è andato a casa senza fare tutto quello che voleva».
Letta replica provando ad alzare il livello dello scontro: «Le prossime elezioni sono come un referendum, sono come Brexit. Abbiamo posizioni nettissime, scelte di strada radicalmente diverse». Ma il dibattito si conclude con un messaggio finale di unità. Fontana domanda se faranno un governo di grande coalizione. I due ridono e rispondono insieme: «No».
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