Lo storico britannico David Broder, autore de I nipoti di Mussolini. Il fascismo nell’Italia contemporanea, dirige la sezione sull’Europa di Jacobin e sul New York Times ha pubblicato interventi come L’estrema destra vuol prendersi l’Europa e Meloni apre la strada. In questa intervista analizza la strategia meloniana
Quando Giorgia Meloni annuncia che con le europee vuole «alzare la posta», o quando la si vede alla stessa convention con Marine Le Pen, la sua strategia va interpretata così: «È una strategia che ha due versanti. Meloni deve cercare le alleanze con il centrodestra mainstream dei Popolari e al contempo resistere alla possibile concorrenza elettorale della Lega e di altre forze di estrema destra». Insomma la «posta» della leader consiste «nell’egemonizzare questo campo di forze alla destra dei popolari e far sì che possa condizionare tutte le scelte future dell’Ue».
Questa è l’analisi di David Broder, autore de I nipoti di Mussolini. Il fascismo nell’Italia contemporanea. Lo storico britannico dirige la sezione sull’Europa di Jacobin e sul New York Times ha pubblicato interventi come L’estrema destra vuol prendersi l’Europa e lei apre la strada. Lei è Meloni.
La preoccupa solo Meloni o anche il modo in cui la si racconta? Anche nel mondo anglofono, una parte importante dei media ha contribuito all’opera di normalizzazione dell’estrema destra meloniana.
All’estero c’è la tendenza a commentare la vita pubblica italiana senza ponderare troppo gli effetti che ciò avrà in Italia. È ovvio che quando Fareed Zakaria sulla Cnn fa un piccolo film su Meloni, diventa un motivo della propaganda di Fratelli d’Italia. C’è l’illusione che un paio di anni fa vi sia stato allarmismo sull’avvento di Meloni ma lei non sia così male; questa illusione comprende l’idea che la premier sia una pragmatica che vuole arrivare a compromessi, collaborare con von der Leyen e così via.
Ma le cose non stanno così. Possiamo dire con cognizione di causa che la cultura politica di Fratelli d’Italia, il suo complottismo, il suo razzismo e la sua tendenza autoritaria non sono cambiati. Ben prima che Meloni andasse al governo, avevo avvertito che la sua tattica sarebbe stata di cercare prestigio all’estero, o almeno mostrare la sua lealtà a una certa collocazione internazionale, per pagare così gli altri peccati del partito.
Con l’operazione di facciata della leader «pragmatica» e grazie al canale aperto coi Popolari dal 2021, Meloni ha fatto scuola in Europa in termini di rottura del cordone sanitario. Apripista dell’estrema destra europea?
Sì, certo. Meloni apre la strada perché riesce a superare o a mettere in crisi le barriere tra i Popolari e l’estrema destra. Ovviamente c’è un gioco di linee rosse, di distinzioni; per esempio von der Leyen dice che non ci saranno alleanze con partiti che non appoggiano l’Ucraina e che non rispettano le istituzioni Ue.
Ma stiamo comunque parlando delle condizioni per alleare il Ppe e l’estrema destra. Lo si può sintetizzare come un processo di convergenze parallele, e in tutto questo è già evidente che un cordone sanitario semplicemente non esiste più.
Dopo aver sabotato nel 2021 l’unione tra conservatori e sovranisti, e aver così ottenuto un lasciapassare dal Ppe, ora Meloni dialoga con Le Pen. Sembra intenzionata a sfruttare dopo il voto i nuovi equilibri di forze: coi Popolari vuol continuare a dialogare, ma farà valere il peso delle destre estreme. Quali schemi di gioco e alleanze aspettarci?
Dopo il voto non ci sarà l’alleanza formale di tutte le destre: non vedremo von der Leyen con Afd. Non dobbiamo pensare alle collocazioni ragionando con il modello della mozione di fiducia parlamentare, né aspettarci qualcosa di dichiarato. Il punto è che nella logica della prossima legislatura ci saranno dossier e votazioni nelle quali queste forze faranno blocco e avranno la maggioranza; penso a immigrazione o temi verdi.
La «posta» di Meloni non sta nel diventare il perno di una alleanza formale tra tutte le destre, ma nell’egemonizzare questo processo, che porta il campo dell’estrema destra a condizionare tutte le scelte dell’Ue.
In che modo le vecchie radici fasciste e le nuove tattiche scambiate tra estreme destre europee (penso a quella orbaniana) si combinano coniando un sovranismo 2.0?
Se si legge il nuovo libro di Fabrizio Tatarella si vedrà bene come la destra meloniana riesca a interpretare la sua stessa tradizione in modo tale da spiegare questo presunto momento di riscatto nel quale finalmente arriva al centro della politica europea e crea l’Europa nazione. C’è una citazione di Almirante che è molto cara a Meloni: «L’Europa o va a destra o non si fa».
Non si può continuare a dire che i meloniani non sono europeisti perché sono di estrema destra, visto che alla fine loro avranno modo di coniugare le due idee. Hanno una loro visione dell’Europa – come civiltà assediata dal mondo musulmano e africano – e sempre più successo nel realizzarla. Mettono insieme il passato fascista, il mito complottista della sostituzione etnica, e così via, dentro un progetto che per certi versi è anche propositivo per l’Europa. Il fatto è che è un progetto minaccioso, reazionario e con conseguenze gravi per le minoranze. Chissà che i liberali e il centrodestra vogliano accorgersene.
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