Aspettare il voto di giugno: è questa la tattica di Giorgia Meloni, nonché la risposta a ogni quesito. Sostiene un bis sempre più traballante di Ursula von der Leyen? «Bisogna vedere come votano gli europei». E che ne pensa di un ruolo europeo per Mario Draghi? «Finché non si vota, è fare filosofia».

Ma mentre la premier, nonché presidente del partito europeo dei Conservatori, aspetta che le urne le consegnino una posizione più forte in campo (e in Europarlamento), intanto i suoi alleati storici la strattonano.

Tanto per fare un esempio, proprio questa settimana a Bruxelles il grande azionista di Ecr, cioè il Pis polacco, con Mateusz Morawiecki ha organizzato eventi assieme ai candidati di Marine Le Pen, ha spinto per l’ingresso di Viktor Orbán nel gruppo e ha riesumato il progetto di unione delle destre. Dentro Ecr c’è fibrillazione.

Finora Meloni si è limitata a consolidare dall’esterno il suo rapporto coi Popolari europei, garantendo in cambio di boicottare l’unione tra conservatori (Ecr) e sovranisti (Id, tra cui la Lega). In questa legislatura, la premier ha schivato l’ipotesi – che dal Ppe era stata ventilata dietro le quinte – di sciogliersi dentro i Popolari e abbandonare la marmaglia di destre estreme: la leader è sempre stata consapevole che avere un gruppo alle spalle le garantisse peso negoziale; inoltre porsi come pontiere («saper dialogare con tutti») è il suo principale argomento per imporre un proprio ruolo in Ue.

Ma che cosa succederà quando i sovranisti – non solo FdI ma soprattutto Id – faranno l’en plein alle urne? Fratelli d’Italia potrà davvero giocare con il Ppe da azionista di maggioranza. I meloniani d’Europa si irritano anche solo se si pone loro la domanda, su un futuro nei Popolari. Ma la fibrillazione dentro Ecr è evidente.

La doppiezza tattica di Giorgia Meloni – dialogare col Ppe da pontiere con gli estremi, e stare con gli estremi impedendone l’aggregazione – a un certo punto della storia diventerà difficile da sostenere; anche se i suoi uomini in Ue si dicono fiduciosi che lei ricompatterà la riottosa squadra conservatrice.

Lo show di Morawiecki

Anzitutto, è dai conservatori stessi che arrivano segnali anomali. L’exploit arriva in particolare dall’ex premier polacco, Mateusz Morawiecki, che a inizio settimana si trovava a Bruxelles con il pretesto della conferenza NatCon, e che ultimamente prova a fare il “premier ombra”: anche se ormai a governare la Polonia è Donald Tusk (del Ppe), Morawiecki si presenta quando ci sono i summit dei leader, e anche stavolta ne ha approfittato per un bilaterale con Meloni.

L’esponente del Pis ha dato evidenti segnali di scompiglio. Il più clamoroso si è concretizzato lunedì all’Europarlamento, quando Morawiecki prima ha perorato ancora una volta l’ingresso di Orbán nel gruppo, e poi – sotto l’egida di «evento organizzato da Ecr», quindi dal gruppo – ha avuto tra i correlatori non solo il premier ungherese ma anche un candidato di punta di Identità e democrazia. Infatti l’ex capo di Frontex, Fabrice Leggeri, è ora in lista alle europee con il Rassemblement national (che fa parte di Id) guidato da Marine Le Pen e Jordan Bardella, dei quali ha riferito i calorosi saluti; peccato che dentro Ecr ci sia un altro partito francese, Reconquête.

Se si prova a chiedere al capogruppo dei Conservatori, il meloniano Nicola Procaccini, la ratio di un «evento Ecr» con Id, la reazione è irritata, e la risposta nessuna. Morawiecki invece risponde eccome: tiene a dare segnali. Proprio a un’agenzia di stampa italiana, Ansa, ha affidato le sue riflessioni. La prima riguarda il riavvicinamento a Id: «Dobbiamo guardare con occhio amichevole ad alcuni partiti dell'Id, ma queste coalizioni devono essere fatte dopo le elezioni».

Va ricordato che il piano per combinare i due gruppi – o almeno una buona parte, escludendo Afd ad esempio – era stato lanciato già nel 2021, quando Orbán era rimasto orfano in Europarlamento e la Lega in termini di seggi era più forte di FdI. Meloni preferì all’epoca sabotare questo piano e avviare l’alleanza tattica col Ppe, che ha garantito a Ecr un vicepresidente dell’Europarlamento e a Meloni il patentino di governo oltre che il rapporto privilegiato con la presidente della Commissione europea, von der Leyen.

La sirena dei popolari

L’altro indizio lasciato da Morawiecki è tra le righe, quando dice che «Meloni è la grande leader dell’Ecr e spero che staremo tutti in un’unica famiglia anche dopo le elezioni»: è una speranza, non una certezza. Non a caso anche Orbán nelle stesse ore a Bruxelles se n’è uscito con una sviolinata su Meloni che «può guidare i conservatori in Europa», come se questa fosse solo una possibilità.

Finora la strategia del Ppe – che non solo in Ue ma in vari paesi europei ha avviato cooperazioni con l’estrema destra – è stata quella di assimilare gradualmente gli estremi così da mantenere il controllo del processo; e Meloni ha fatto altrettanto nel suo campo. Ma la legislatura in corso partiva dal presupposto di una Lega in gran spolvero e FdI no.

A giugno gli equilibri cambieranno, e molto: soprattutto per i consensi di Le Pen, in Ue Id crescerà; se non prende Fidesz, e con alcuni come i fiamminghi (Nva) pronti ad andare nel Ppe, Ecr gli sarà secondo. Meloni ne uscirà invece molto meglio che nel 2019.

Accetterà di fare la leader di un Ecr nel quale il Pis ormai è all’opposizione, Orbán se entra creerà problemi da gestire, e altri sentono le sirene del Ppe? Le opzioni sono due. Una consiste nell’assorbire gradualmente pezzi di Id, ed è l’opzione Morawiecki.

Poi c’è l’opzione popolare; qualche mese fa, nei corridoi dell’Europarlamento, una fonte vicinissima a Manfred Weber, il leader del Ppe, faceva capire che l’opzione di ingresso di FdI nel Ppe è plausibile. Cosa farà Giorgia Meloni? Per ora fa la temporeggiatrice. Ma dopo giugno, non basterà tergiversare.

© Riproduzione riservata